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www.ildialogo.org Quando le parole uccidono,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Quando le parole uccidono

di Giovanni Sarubbi

I grandi mass-media sono per la guerra. Una politica di pace non rientra nei loro piani editoriali. La pace non attira investimenti pubblicitari, la guerra sì. E la pubblicità è in effetti una forma di guerra, la più subdola e meschina perché colpisce innanzitutto i bambini e li usa anche per ottenere persone schiave di un determinato prodotto, magari inutile e dannoso ma che farà arricchire l’industriale o il banchiere di turno.
Non credete che sia così e che queste affermazioni siano prive di fondamento? Provate allora a guardare tutti i quotidiani del giorno 21 settembre scorso. Il giorno prima si era conclusa ad Assisi la tre giorni indetta dalla Comunità di Sant’Egidio per ricordare i 30 anni del precedente incontro mondiale delle religioni del 27 ottobre 1986. E come 30 anni fa ad Assisi c’erano tutte le religioni del mondo. E alla fine dell’incontro è stato approvato un Appello alla pace(vedi link), dove si dicono parole inequivocabili contro la guerra, contro la dottrina demoniaca della “guerra di religione”, contro le industrie di armamenti. «Imploriamo i Responsabili delle Nazioni – afferma l’appello in uno dei suoi punti salienti - perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di povertà, ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana». Il motore delle guerre è il denaro, lo sfruttamento, le ingiustizie, l'ingordigia di pochi ai danni di tutti. Le religioni non centrano come vanno invece dicendo da anni i giornali.
Solo due quotidiani hanno riportato sulla loro prima pagina ciò che era successo ad Assisi e sono il quotidiano l’Avvenire (che è il quotidiano della CEI, Conferenza Episcopale Italiana), e il quotidiano comunista “il Manifesto”. Tutti gli altri hanno ignorato la notizia, come se ad Assisi non fosse successo nulla.
La guerra è un business e l’Italia vi partecipa alla grande. Siamo il terzo paese esportatore di armi cosiddette leggere al mondo. Dovunque ci sia una guerra, potete essere sicuri, c’è un’arma “made in Italy” che spara, sia essa una pistola, un fucile, o un mitra. Poi bombe, aerei, navi, e quant’altro, anche a paesi che sono in guerra, come all’Arabia Saudita che è in guerra in Yemen. Il nostro export militare è triplicato negli ultimi anni. Ma questo i nostri quattro lettori lo sanno. Chi non lo sa sono i milioni di italiani che leggono i grandi giornali e ascoltano ebetiti le nostre TV, che sono veri e propri bollettini delle nostre forze armate e delle nostre industrie belliche. A distanza di un secolo, pensate un po’, c’è chi ha ancora la spudoratezza di descrivere la Prima Guerra Mondiale come un atto eroico, come dicevano i fascisti durante il ventennio.
E l’Italia partecipa alla guerra anche con diverse migliaia di soldati mandati su vari fronti di guerra. Siamo nei Balcani, in Libano, in Afganistan, in Iraq, in Libia in diversi paesi africani. Siamo al seguito dell’esercito imperiale USA. Senza di loro non saremmo in grado di andare da alcuna parte perché, ed è un bene, il nostro esercito non è in grado di fare alcuna guerra. Troppi generali e nessuna “carne da cannone”. Ma le armi le compriamo, eccome, perché così favoriamo la loro vendita all’estero.
Ma anche non essendo in grado di fare neppure una battaglia, siamo in guerra per poterci “sedere al tavolo dei vincitori” quando le ostilità finiranno, se finiranno. Era l’idea di Mussolini quando decise di partecipare alla seconda guerra mondiale. È l’idea di sempre di tutti coloro che partecipano alle guerre e usano la guerra per risolvere le controversie internazionali, proprio ciò che la nostra Costituzione vieta.
E ha avuto pienamente ragione Papa Francesco quando, due giorni dopo Assisi il 22 settembre, ha detto ai giornalisti convocati in Vaticano che «Le vostre chiacchiere sono terroristiche e uccidono». Unico giornale che ne ha parlato, ovviamente per attaccare il Papa, è stato il quotidiano Libero, che di chiacchiere terroristiche è maestro. Gli altri lo hanno ignorato. Nessuna autocritica, nessun cambio di linea. Sulla guerra e su tutto quello ad essa connesso (vendita di armi, migranti e profughi, soffiare sul fuoco della guerra di religione) tirano dritto. Gli affari sono affari e le armi vengono vendute a prezzi esorbitanti. E diciamo questo, ovviamente, salvando il buon nome e la buona reputazione di quei giornalisti, pochi ma ci sono, che cercano di fare il loro mestiere correttamente.
E pur di difendere i massimi responsabili delle industrie belliche, il governo, per bocca del ministro Del Rio, scende in campo a difendere l’attuale AD di Finmeccanica, quel Mauro Moretti già amministratore delegato delle FS, imputato per la strage di Viareggio[1] per il quale la procura ha chiesto 16 anni di carcere. Il tutto a fronte di un processo che fra pochi mesi andrà in prescrizione e con 32 morti che rimarranno senza colpevoli. E non hanno neppure il pudore di stare zitti.
Giovanni Sarubbi

NOTE

1Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Strage di Viareggio
L'incidente ferroviario di Viareggio avvenne il 29 giugno 2009.[3]
Esso si verificò in seguito al deragliamento del treno merci 50325 Trecate-Gricignano e alla fuoriuscita di gas da una cisterna contenente GPL perforatasi nell'urto; per cause fortuite si innescò quasi subito un incendio di vastissime proporzioni che interessò la stazione di Viareggio, con il successivo scoppio della cisterna stessa, qualche centinaio di metri a sud del fabbricato viaggiatori e le aree circostanti.



Domenica 25 Settembre,2016 Ore: 18:03
 
 
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