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www.ildialogo.org Io so ma non ho le prove!,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Io so ma non ho le prove!

di Giovanni Sarubbi

Di fronte ai morti occorrerebbe rimanere in silenzio, soprattutto quando si tratta di morti ammazzati. Occorre pietà per le vittime e i loro familiari. Nessuno può permettersi di strumentalizzare i morti, cosa che si chiama sciacallaggio, per le proprie campagne politiche o per incitare alla vendetta e all’odio nei confronti di determinati gruppi sociali o religiosi che siano.
È questo un elementare senso di umanità che ogni giornalista dovrebbe avere quando tratta di vicende come quelle di Dacca. Oltre che il buonsenso e l’umanità che dovrebbe caratterizzare ogni essere umano, lo prescrive anche la legge e le norme deontologiche approvate dall’Ordine dei Giornalisti[1].
Ma in Italia c’è un gruppo di giornali, sempre gli stessi e sempre gli stessi giornalisti, che gridano il loro “me ne frego” ogni giorno e usano i morti per parlare di “vendetta” e attaccano spudoratamente, loro che si definiscono difensori della “cristianità”, il massimo responsabile della chiesa cattolica. «Oggi – scrive il direttore de "Il Giornale" – devono tacere quelle voci dissennate che hanno teorizzato una eguaglianza che non esiste, un solidarismo senza contropartita, una accoglienza senza regole».  Sono le cose che predica quotidianamente Papa Francesco, a cui viene intimato il silenzio con quella che e una vera e propria minaccia a mezzo stampa, che è stata fra l'altro più volte ripetuta.
E nel mentre scrivo queste note mi arriva il twitt di Papa Francesco che dice: «Amare e perdonare come Dio ama e perdona. Questo è un programma di vita che non può conoscere interruzioni o eccezioni». Lo sottoscrivo. Nessuno ha diritto di gridare alla vendetta o di strumentalizzare il dolore delle famiglie per stimolare sempre di più la guerra, questa dannata guerra, che è in corso dall’11 settembre del 2001. E nessuno può gridare alla vendetta e poi dirsi allo stesso tempo cristiano.
Cristiano è colui che ha fatto proprio le parole della Prima Lettera di Pietro laddove è scritto:
«anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca ;
insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui
che giudica con giustizia.» ( 1Pt 2,21-23)
La guerra consiste di uccisioni di massa e distruzioni. Lo sanno bene i popoli musulmani che sono oggi le principali vittime di questa guerra e dei terroristi dell’ISIS. Lo abbiamo più e più volte denunciato, e siamo in molto pochi a farlo. Le principali vittime dell’Isis (il cosiddetto “terrorismo islamico”) sono proprio i musulmani al 94%. Lo hanno affermato a più riprese organizzazioni come Amnesty International, che certo non può essere accusata di essere filo-islamica, o gli stessi massimi esponenti della chiesa cattolica che vivono in Medio Oriente, in Siria, in Iraq o lo stesso Papa Francesco.
Di queste vittime, e sono svariate centinaia di migliaia, nessuno parla in occidente, come se non esistessero o non fossero mai nate. Queste vittime non esistono certamente per quella banda di islamofobi che dai loro “giornali-bollettini di guerra”, gridano alla vendetta contro i musulmani italiani. Le nascondono perché questi dati reali della guerra in corso smentiscono categoricamente le loro dottrine sulla guerra che l’islam starebbe combattendo contro l’occidente. L’ISIS invece combatte contro i musulmani e gli occidentali che vengono uccisi nei loro attentati o sono vittime collaterali, oppure sono vittime mirate a sostenere la guerra e a spingere i paesi colpiti a scendere in guerra, se non lo sono, o a intensificare il loro impegno bellico, come è il caso dell’Italia.
Come diceva Pasolini, “Io so ma non ho le prove”. Io so, ma non ho le prove, che c’è un legame strettissimo tra i terroristi dell’ISIS e coloro che in Italia e nel mondo vogliono criminalizzare tutti i musulmani. Sono posizioni che si sostengono e si rafforzano a vicenda. E sono storie già viste. Basta solo che si legga la storia del colonialismo, quello delle grandi potenze europee, Italia compresa, e quello degli USA. Una storia che gronda sangue dei popoli coloniali sottomessi e rapinati delle risorse naturali.
Che civiltà è quella che imputa un crimine a chi non lo ha commesso? Che civiltà è quella che consente a pochi “terroristi della penna” di istigare la popolazione all’odio contro un’intera religione? E non si tratta di una piccola setta, ma di una religione praticata da oltre un miliardo e mezzo di persone.
Hanno fatto così i nazisti contro gli ebrei. Lo stanno facendo oggi contro i musulmani. Ed è, guarda caso, proprio il quotidiano “Il Giornale”, che è il capofila degli islamofobi italiani, che nelle settimane scorse ha pubblicato e diffuso in Italia il libro del capo del nazismo, quel “Main Kampf” fonte di tutte le dottrine che hanno spinto un intero popolo, quello tedesco, a commettere mostruosità su mostruosità, con rare eccezioni.
Ho letto stamattina un commento sul titolo, “Bestie islamiche”, che oggi apre il quotidiano “Il Giornale”. «E' come se – scrive l’autore del commento - a proposito di uno dei tanti massacri fatti dai nazisti in Italia o in Europa durante la II guerra mondiale, qualche giornale avesse titolato "Bestie cristiane"». Come è noto i nazisti inneggiavano a “Dio” e hanno goduto dell’appoggio delle chiese cristiane tedesche, cattoliche e protestanti, con pochissime e rare eccezioni.
Si può ancora continuare così? Istigare all’odio con le parole, come ha fatto oggi il quotidiano “Il giornale”, non è libertà di opinione, è razzismo.
Giovanni Sarubbi

NOTE
1 Riportiamo l’articolo 1 del Testo unico dei doveri del giornalista
Articolo 1
Libertà d’informazione e di critica
L’attività del giornalista, attraverso qualunque strumento di comunicazione svolta, si ispira alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione italiana ed è regolata dall’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963:
«È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori».



Domenica 03 Luglio,2016 Ore: 17:25
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 04/7/2016 10.42
Titolo:Complimenti!
Senza dilungarmi, sottolineo soltanto il mio più completo accordo con quanto scrive G.Sarubbi: è ora e giusto mettere i puntini sulle "i". Non si possono più tollerare interventi sul tipo di quelli de "Il giornale"! Auguri!

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