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www.ildialogo.org La nonviolenza, la rivoluzione, la storia ed il futuro dell'umanità,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
La nonviolenza, la rivoluzione, la storia ed il futuro dell'umanità

Una risposta all'amico Rocco Altieri, presidente del Centro Gandhi di Pisa


di Giovanni Sarubbi

Il carissimo amico Rocco Altieri, presidente del Centro Gandhi di Pisa, ha scritto un commento al mio ultimo editoriale del 2 agosto dal titolo “Appunti per l'estate” (vedi link) a cui ho risposto con la lettera che di seguito riporto. Voglio cogliere l'occasione per ringraziare l'amico Rocco per il suo commento. Come dico continuamente, sono questi i commenti che ci consentono di fare un salto di qualità sia nella reciproca stima e crescita spirituale, sia nell'approfondimento delle tematiche poste a oggetto della discussione, portando la conoscenza su quelle problematiche ad un livello superiore. Sono questi i commenti che personalmente prediligo, perché mi aiutano da un lato a precisare meglio il mio pensiero, e dall'altro aiutano me e tutti i lettori a confrontarci con pensieri diversi. Il pensiero unico non fa parte del mio orizzonte culturale e umano e quando ho la possibilità di confrontarmi con pensieri diversi dal mio sono estremamente contento. La risposta, come cerco di fare sempre, è scritta con spirito di amicizia fraterna e anche le eventuali asprezze polemiche che qualcuno dovesse riscontrare, sono scritte con tale spirito fraterno. Ringrazio e ricambio quindi i saluti fraterni dell'amico Rocco. (Giovanni Sarubbi)

Caro Rocco,
non ho rivalutato affatto quello che tu definisci “il regime di Honecker”. Di quel regime, cosa che di solito viene ignorato da tutti i mass-media, faceva parte anche la CDU, il partito dell'attuale cancelliera Merkel, che esisteva anche in Germania est e che aveva ministri nel governo definito “comunista”.
Mi sono limitato a citare le conseguenze politiche, sociali ed economiche accadute dopo la caduta del muro di Berlino. La distruzione della intera economia della ex Germania est non l'ho inventata io, è un dato di fatto; come non ho inventato io la storia della Treuhandanstalt, la società che ha privatizzato tutte le imprese della ex Germania est, o i 3 milioni e più di disoccupati, o la ostalgie, che è ancora oggi un business fiorente delle imprese tedesche occidentali. Non rivaluto la ostalgie ma se essa esiste, significa che in Germania est c'è stata una violazione della dignità umana di milioni di persone tanto da potersi trasformare in un fenomeno economico-sociale. Così come non ho inventato io la miseria generale dei lander della ex Germania Est che è stata definita “il mezzogiorno della Germania”[1].
Il mio invito non è a magnificare ciò che c'era prima ma a giudicare le vicende della storia, tutte le vicende della storia e sopratutto le rivoluzioni, dai frutti che esse producono di cui quelle rivoluzioni sono responsabili. Le rivoluzioni sono sconvolgimenti sociali. La grande maggioranza di esse sono state violente sia nei metodi che nei risultati. Se definiamo una rivoluzione come nonviolenta ci dovremmo attendere dei risultati nonviolenti oppure no? Altrimenti che differenza ci sarebbe tra una rivoluzione violenta e una nonviolenta? E le rivoluzioni sono  responsabili dei risultati che da esse derivano oppure no? Se così non fosse sarebbe come buttare una pietra nello stagno e non solo nascondere la mano che l'ha buttata, ma negare anche che da quella pietra siano nate onde che si sono propagate in tutto lo specchio d'acqua. E se quelle onde fossero così forti da provocare il rovesciamento di una barca e la morte di coloro che vi erano a bordo, sarebbe come negare per chi ha lanciato la pietra l'imputazione di omicidio colposo che a ragion di logica gli spetterebbe.
Lo dice anche il Vangelo, l'albero buono si riconosce dai frutti che produce e se i frutti di una “rivoluzione” sono il trionfo di un sistema economico e sociale violento e distruttivo, che assegna poi ad un paese un potere enorme su un intero continente, io mi guarderei bene dal definire quei fatti come “rivoluzione” e per di più “nonviolenta”.
Voglio dire che la “nonviolenza” non può esserci solo nei metodi che vengono utilizzati ma anche nei risultati che vengono ottenuti. Tutte le iniziative nonviolente di Martin Luther King o di Gandhi avevano per oggetto questioni che andavano a beneficio della intera collettività del loro paese o dell'intera umanità e non a favore di una piccola classe sociale e del suo potere economico o politico. Gandhi ha lottato in modo nonviolento per l'indipendenza dell'India dal colonialismo inglese. Martin Luther King ha lottato contro il razzismo. Danilo Dolci ha lottato per il diritto al lavoro. La loro nonviolenza era applicata a questioni di grande rilenza sociale e non a favore di piccoli gruppi.
Facendo riferimento al libro che tu citi “Il Potere dal basso” di Theodor Ebert[2] ti dico che non sono affatto d'accordo con lui quando egli afferma che “in linea di principio non sono affatto contrario a che il miliardario americano Soros finanzi un training di azione nonviolenta, o anche che l'ambasciata americana sostenga l'opposizione a un regime corrotto con denaro, che viene utilizzato per stampare volantini, per sondaggi elettorali o, infine, per verificare la correttezza delle elezioni”. Come ho scritto nell'editoriale, ripeto “dimmi chi ti paga e ti dirò chi sei” e quali interessi persegui perché, è sempre il Vangelo che parla, “non si possono servire due padroni”. Altrimenti non riusciremmo a spiegare perché non esiste la stampa libera se essa dipende dagli introiti pubblicitari. Altrimenti, caro Rocco, la “nonviolenza” di cui tu parli diventa qualcosa di astratto, staccata dai risultati che essa produce. Così, secondo questa logica, una azione nonviolenta può produrre un sistema violento e distruttivo che ha impoverito tutta la ex Germania est, tutti i paesi dell'est europeo e poi, con l'unificazione monetaria, tutta l'Europa.
Soros è un multi miliardario in dollari la cui ricchezza personale è stimata in oltre 20 miliardi di dollari. È uno di quelle poche centinaia di persone al mondo che detengono il potere di decidere sulla sorte di miliardi di persone e che sono responsabili della miseria di oltre la metà della popolazione mondiale. Io faccio parte di quelle persone che ritengono che la ricchezza, come quella che possiede Soros, sia un furto ed una violenza nei confronti dell'intera umanità e nessun teorico di qualsivoglia filosofia o religione mi potrà mai convincere, ed è sempre il Vangelo che parla, che strumenti cattivi possano essere usati per produrre frutti buoni per l'umanità. Io penso che il denaro puzzi ed emani la puzza di chi quel denaro possiede, ed è un odore che ti impregna tutto e che non puoi toglierti di dosso. E se il denaro appartiene ad un multimiliardario esso puzza sicuramente di sangue, di sfruttamento, di violenza.
Ancora. Io non credo che l'ambasciata di un paese come gli USA, che sono il paese più armato del mondo e dove il commercio delle armi è la forza trainante dell'economia; che dalla fine della seconda guerra mondiale è perennemente in guerra (Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria…); che ha promosso la corsa agli armamenti; che ha usato l'arma atomica ad Hiroshima e Nagasaki; che ha sostenuto armato e finanziato decine di colpi di stato sanguinari (Cile, Argentina, Grecia, …); dove la corruzione economica è sistematica, possa all'improvviso diventare paladino della democrazia e della lotta alla corruzione e sostenitore della “nonviolenza”. Questa “nonviolenza” staccata dai fini e dai risultati che essa produce non mi appartiene. Questa “nonviolenza” credo sia la negazione di ciò che hanno fatto Gandhi, Martin Luther King e tutti quelli che vengono celebrati come “maestri della nonviolenza”.
Quando nel mio editoriale ho parlato della nonviolenza, ho posto proprio la necessità che anche chi si definisce “nonviolento” riesamini la storia alla luce dei frutti prodotti e si chieda perché la nonviolenza sia oggi una tematica marginale nel dibattito politico-sociale. È una questione ormai non più eludibile e non per riesumare ciò che c'era prima del 1989, ma per porre l'accento sui valori da mettere al centro della nuova umanità che necessariamente dobbiamo costruire, pena la distruzione dell'umanità che, per la quantità enorme di armi di distruzione di massa e per l'inquinamento globale che sta devastando la Terra, non è più un fatto teorico ma una drammatica realtà dell'oggi.
Ciò che è successo nei paesi dell'ex campo socialista, a partire dalla caduta del muro di Berlino, è stata non una “rivoluzione nonviolenta” ma la lotta di un sistema sociale ispirato ai cosiddetti “valori occidentali” del capitalismo o del libero mercato, intrinsecamente violento, contro paesi dove il “libero mercato” non c'era, dove l'economia era diretta dallo Stato. Paesi che erano sotto l'influenza politico-militare dell'ex Unione Sovietica che i paesi occidentali, ed in primo luogo gli USA e poi la riunificata Germania, volevano distruggere per motivi economico-politico e storico. Il cosiddetto occidente voleva conquistare un intero mercato per i propri prodotti, cosa che ha fatto la Germania occidentale, ripigliandosi quel ruolo che la sconfitta nella seconda guerra mondiale le aveva tolto. Si voleva stroncare sul nascere la possibilità che potessero esserci una serie di stati che cominciassero a porre seriamente la questione dell'abbandono e del superamento di un sistema sociale, quello capitalista, basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Ecco, per la “nonviolenza” di cui tu parli, caro Rocco, l'abolizione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo è qualcosa per la quale vale la pena battersi? Ripeto, può la nonviolenza essere staccata dai risultati concreti che l'azione nonviolenta produce? O la nonviolenza è una questione astratta, una teoria che qualsiasi soggetto o classe sociale o Stato può utilizzare a proprio piacimento per imporre i propri interessi? Come si fa a non vedere che in tutta la vicenda europea e mondiale, che si è andata sviluppando a partire dalla caduta del Muro di Berlino, c'è stato l'uso strumentale dell'idea della “nonviolenza” da parte di paesi, singoli capitalisti, gruppi economici che sono intrinsecamente violenti, per i propri fini economici e politici?
I risultati, i frutti parlano e la realtà dei fatti è più dura di qualsiasi filosofia.
Io non inneggio ad Honeker o a ciò che c'era negli ex paesi dell'est europeo e nella ex Unione sovietica. Ma i risultati ottenuti sono peggio del male che si voleva combattere e prima di usare etichette come “rivoluzioni nonviolente” io ci penserei dieci volte su. Anche perché con tale definizione si sono trasformati personaggi e paesi violenti e sanguinari in difensori della democrazia o dei diritti umani, produttori di armi in difensori della pace, fino a giungere all'immonda decisione di assegnare il premio nobel per la pace al presidente USA Obama. Quel presidente che fa la guerra con i droni, usati per uccisioni mirate in Afghanistan e in Medio oriente, che ha scatenato e sostiene le guerra in Libia, Siria… ecc ecc.
Ma le cosiddette “rivoluzione nonviolente”, hanno avuto come frutto anche l'emergere degli USA come unica superpotenza mondiale, che ha di fatto distrutto l'ONU, che sta usando la NATO come struttura militare aggressiva e che sta guidando una quarantina di stati in quella “terza guerra mondiale a pezzi”, di cui parla Papa Francesco,  contro il resto del mondo. La conquista dei mercati dell'est europeo, Russia compresa, non ha certamente risolto le questioni economiche legate alle crisi cicliche tipiche del sistema economico capitalistico. L'inizio di una guerra di carattere mondiale era scritto nei fatti accaduti dal 1989 in poi e così è stato. Capisci così perché, caro Rocco, non posso essere d'accordo con l'affermazione di Ebert prima citata ne posso essere d'accordo nel definire “rivoluzione nonviolenta” ciò che è successo in Germania nel 1989 e nel paesi dell'est negli anni successivi?
Il “movimento nonviolento” deve fare i conti con la realtà e, soprattutto, evitare di farsi strumentalizzare da chi ha potenti uffici studi in grado di usare qualsiasi argomento o qualsiasi filosofia per perseguire i propri obiettivi. Orwell lo scrisse nel 1948. Noi stiamo vivendo ciò che Orwell scriveva ma non ce ne accorgiamo. Ma è una cosa non nuova, è un fatto antichissimo. È successo per il movimento dei seguaci di Gesù di Nazareth, trasformato da movimento di liberazione dalla religione oppressiva dei sacerdoti di Israele, in religione dell'impero romano. Non c'è movimento di liberazione o idea nata per liberare l'umanità dall'oppressione dell'uomo sull'uomo e dalla violenza del sacro, che non sia stata con gli anni trasformata essa stessa in strumento di oppressione. Si pensi al francescanesimo dopo la morte di Francesco. Si pensi al femminismo.
Non credo che questa mia posizione sia in contrasto con il sostegno all'azione di p. Alex Zanotelli né che essa vanifichi  l'appello a Papa Francesco per la pace, né che vada in contraddizione con l'iniziativa fatta a San Giovanni in Fiore lo scorso anno che è stata raccontata nel libro "La montagna, la luce e il fiore" che verrà presentato proprio in questo mese di Agosto, o che il movimento per la pace possa essere esposto  "alle facili accuse di vetero-stalinismo". Credo anzi che sia il contrario.
Non ci può essere progresso dell'umanità se essa non prende coscienza della storia che ci ha portato alla situazione in cui siamo, dicendoci tutte le verità, senza falsità o giustificazioni per chicchessia, chiamando le cose con il loro none, per quanto dolorose esse possano essere per ognuno di noi.
E io credo che ciò sia possibile ed è questo il motivo per il quale continuiamo, insieme a decine di lettori che ci sostengono economicamente e agli altri amici della redazione, a tenere in vita il nostro giornale che vuole continuare ad essere luogo libero da condizionamenti economici di alcun tipo, dove si possa continuare a scrivere ciò che non si trova da nessun altra parte. Ed è questa l'unica cosa di cui personalmente mi vanto.
Ti saluto con grande amicizia e cordialità.
Giovanni Sarubbi
NOTE
[1] Sulle vicende della caduta del muro e sulle sue conseguenze storiche sono molti i testi di riferimento. La pubblicistica in lingua tedesca è immensa. Fra gli ultimi libri in lingua italiana, cito il libro di Vladimiro Giacchè, Imprimatur editore, dal titolo “ANCSHLUSS L'ANNESSIONE – L'unificazione della Germania e il futuro dell'Europa”, che pur se in modo confusionario ed in una forma editoriale pessima, contiene molti elementi obiettivi sulla vicenda e una bibliografia in tedesco utile per ulteriori approfondimenti.
[2]Theodor Ebert, Il potere dal basso con l'azione nonviolenta, Quaderni Satyagraha n. 27 del Centro Gandhi Pisa, pag . 26

L'amico Rocco Altieri, mi ha inviato ieri notte una risposta alle mie osservazioni al suo commento. Riproduciamo con molto piacere di seguito questa sua risposta senza ulteriori commenti se non sul punto della scelta del governo indiano di dotarsi dell'arma atomica che non si può certo far discendere dalla lotta di Gandhi per l'indipendenza dell'India con la quale non c'è nessun nesso. Ci auguriamo che altre persone possano intervenire sull'argomento.
Caro Giovanni,
ti ringrazio della lunga risposta che mi hai inviato in risposta alle mie obiezioni.
Non amo battibeccare via internet, ma non posso non fare alcune precisazioni per i lettori che non sono in possesso dell'ultimo Quaderno Satyagraha su Il potere dal basso con l’azione nonviolenta e non possono, quindi, leggere il testo di Ebert nella sua interezza.
Due sono i punti importanti del saggio di Ebert che voglio riassumere per dare peso politico all'azione nonviolenta dopo l'89.
Il primo è il progetto di Gandhi per realizzare l'alternativa alla difesa armata e agli eserciti.
Scrive Ebert:
“Gandhi pensava a una rete diffusa di gruppi nonviolenti, che potessero attivarsi in caso di agitazioni interne e minacce dall’esterno. L’organizzazione di questi gruppi si chiamava Shanti Sena, letteralmente “esercito pacifico”, concretamente una rete di brigate di pace a livello locale o task force composte da uomini e donne.
In risposta all’entrata della RFT nella NATO i renitenti alla leva tedeschi tentarono di realizzare l’idea gandhiana dello Shanti Sena nell’Europa della Guerra Fredda. All’interno del movimento per la pace si parlò di “difesa sociale”. L’idea di fondo era che con la resistenza nonviolenta si dovessero difendere prima di tutto non i territori, bensì l’autodeterminazione nelle istituzioni sociali.
La resistenza nonviolenta all’occupazione della Cecoslovacchia nel 1968 provocò un’ampia discussione sulla difesa sociale all’interno del movimento pacifista tedesco. Anche i Verdi, per iniziativa di Roland Vogt e Petra Kelly, per un certo tempo adottarono come proprio il modello della difesa sociale. Nel 1989 varie associazioni pacifiste fondarono a Minden il Bund für Soziale Verteidigung, la Lega per la Difesa Sociale, con lo scopo dichiarato di rimpiazzare del tutto l’esercito con la resistenza nonviolenta adeguatamente preparata e i servizi civili di pace (cfr. Ebert, Il potere dal basso con l’azione nonviolenta, p. 38-39).
E ancora: “Benché Gandhi si rendesse conto dell’inadeguatezza della preparazione dell’Hind Swaraj, vale a dire dell’autodeterminazione nonviolenta dell’India, si rese conto che i politici indiani stavano cogliendo l’opportunità dell’indipendenza per fondare uno stato di taglio non anarchico, bensì conservatore, partitico e con un apparato militare e di polizia simile a quello lasciato dagli inglesi. Questo non gli faceva piacere e evitò quindi di partecipare ai festeggiamenti per l’indipendenza. Lo stesso è capitato nei molti cambiamenti di regime promossi da azioni nonviolente di massa. Non è però inevitabile che questo continui a ripetersi. È pensabile che i movimenti nonviolenti arrivino all’abolizione dell’esercito e dichiarino come loro obiettivo politico la sostituzione di esso con un servizio civile di pace diffuso e ben preparato, utilizzando il tempo che occorre per assumere la responsabilità politica per scrivere un nuovo capitolo della storia della pace attuando, con l’ausilio dei gruppi di azione nonviolenta già esistenti, una vera rivoluzione nonviolenta dal basso che si riverberi poi a livello globale”(cfr. Ebert, cit., p. 48).
Caro Giovanni, se l'India di oggi si è dotata di armi atomiche allora diremo che la nonviolenza di Gandhi è un inganno e un fallimento?
Continuiamo col secondo punto sottolineato da Ebert e che riguardala pratica della disobbedienza civile per la trasformazione sociale, secondo l'insegnamento di Martin Luther King :
Scrive Ebert:
“Le azioni dirette nonviolente erano per Martin Luther King strumenti pratici per far capire e praticare il contro-potere. Egli parlava di power from below, potere dal basso.
King sapeva bene che quando mancano vie democratiche, legali, per cambiare una determinata situazione sociale, o quando sono percorribili in maniera insufficiente, limitarsi a parlare di atteggiamento pacifico e rinuncia alla violenza è fare ideologia, cioè il gioco del potere dominante. Con le sue azioni dirette egli sperava di aver trovato una via d’uscita dal dilemma se rispondere alla violenza con altra violenza o rassegnarsi. Nel suo primo libro, in cui descriveva il boicottaggio dei mezzi pubblici a Montgomery nel 1956, scrisse: “Come nella sintesi della filosofia hegeliana, il principio della resistenza non violenta deve poter armonizzare gli opposti resa e violenza evitando l’estremo e l’immorale che caratterizza ambedue. Il sostenitore della resistenza nonviolenta accetta il suo destino, decidendo di non agire con violenza contro l’avversario. D’altra parte accetta anche di reagire, opponendosi al male. Evita quindi sia di rassegnarsi, che di diventare violento. Chi resiste in forma nonviolenta, non si piega di fronte a un’ingiustizia né da singolo, né come gruppo, e allo stesso tempo non ha bisogno di ricorrere alla violenza per far valere il proprio diritto”. ( cfr. Ebert, cit., p. 86).
Questi aspetti radicali della teoria politica di Martin Luther King non vengono di solito menzionati poiché l’establishment si è affrettato a farne, come “apostolo della nonviolenza”, un patrono tutelare della quiete e dell’ordine.
King suggerì come metodo di lotta incisivo la disobbedienza civile da parte delle masse dei disoccupati, dei sottoccupati e dei bisognosi di formazione. L’azione doveva cominciare il 28 aprile del 1968 a Washington.
King pensava in primo luogo al blocco dei centri cittadini con migliaia di scioperanti in sit-in, poi a sit-in davanti e dentro le fabbriche e a un gran raduno di neri disoccupati a Washington. Spiegava così queste iniziative: “Come mezzi di lotta non consideriamo né la rivolta violenta, né inutili richieste a un governo che non ci vuole ascoltare ... Dobbiamo operare con la disobbedienza civile. Impedire che una città funzioni, senza distruggerla, può essere più efficace di una rivolta, perché la disobbedienza civile può durare più a lungo, e anche se non è facile mantenerla, ha il vantaggio di non essere distruttiva. Inoltre per un governo è difficile combattere la disobbedienza civile con mezzi violenti. La disobbedienza civile di massa può anche utilizzare la rabbia come forza costruttiva e creativa. È inutile raccomandare ai negri di non arrabbiarsi, quando è normale che lo siano. È persino meglio per la psiche di una persona non reprimere la sua rabbia, ma rivolgere l’energia in una direzione costruttiva, pacifica e decisa, per impedire il normale funzionamento di una città repressiva.” ( cfr. Ebert, cit., p. 90).
Caro Giovanni, ti accalori per una frase, estrapolandola dal contesto, in cui Ebert risponde all'establishment culturale americano di Timothy Ash, discutendo non della rivoluzione nonviolenta dell'89, ma delle dinamiche e degli esiti delle recenti agitazioni in Serbia, Georgia, Ucraina e su cui si è molto discusso del ruolo dei finanziamenti allo scopo di destabilizzare i governi di quei paesi.
Invece di essere nostalgici del mondo bipolare, non dobbiamo forse trovare il coraggio per organizzare una diffusa rete di azioni nonviolente e chiederci perché il movimento per la pace non sia stato in grado di capire i compiti che gli spettavano dopo l'89 e di perseguire i due obiettivi programmatici evocati da Ebert: promuovere la difesa sociale e costruire attraverso la pratica della disobbedienza civile, che pure ha avuto risultati positivi nella lotta contro le centrali nucleari, un nuovo potere politico e un nuovo modello di sviluppo.
Fraterni saluti
Rocco Altieri



Mercoledì 05 Agosto,2015 Ore: 12:55
 
 
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