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www.ildialogo.org A che gioco giochiamo?,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
A che gioco giochiamo?

di Giovanni Sarubbi

La finanziaria 2014 fa sognare la Confindustria che l'approva entusiasticamente e senza riserve. Il governo ha, infatti, cancellato una parte consistente dell'IRAP, l'unica tassa attualmente esistente sulle imprese che è proporzionale al fatturato e non applicata all'utile di esercizio. La legge che l'ha istituita prevede che il 90% del gettito ottenuto sia attribuito alle regioni allo scopo di finanziare il Fondo sanitario nazionale, come quota parte della spesa pubblica. Nel 2011 il gettito dell'IRAP ha finanziato il 30% della spesa sanitaria italiana.[1] Chi pagherà oggi quel 30% della spesa sanitaria?
Ai lavoratori viene “offerto” il TFR in busta paga, cioè soldi che sono già di loro proprietà ma che sono differiti alla fine del rapporto di lavoro. Su questi soldi verrà applicata la tassazione ordinaria che è di molto superiore a quella prevista per il TFR.
Alle imprese vengono tolte tasse importanti che servono a finanziare il cosiddetto “stato sociale” quale la sanità pubblica, ai lavoratori vengono applicate altre tasse per coprire quei buchi. Il buco dell'IRAP tolto alle imprese equivale, infatti, ai soldi pagati in più come tasse dai lavoratori sul TFR ricevuto mese per mese. Chi più ha, sia in termini finanziari sia in termini di potere economico e politico, non dà nulla alle casse pubbliche. A chi non ha nulla, viene tolto anche il necessario, leggasi spesa sanitaria.
Il risultato di tale politica, del togliere soldi ai lavoratori per darli ai loro ricchi padroni, sono 16 milioni di cittadini poveri, il 26% della popolazione italiana, una cifra mai raggiunta prima. Questi dati sono i dati presentati la settimana scorsa, in occasione della Giornata Mondiale per l'eliminazione della povertà di venerdì 17 ottobre, dalla Campagna del Gruppo Abele e Libera "Miseria Ladra" durante il sit-in di fronte a Montecitorio. Ci sono oltre 3,2 milioni di disoccupati, con il 44% di disoccupazione giovanile, con le regioni del Sud oltre il 60% e oltre quattro milioni di precari.
Chi è responsabile della crisi e quali politiche l'hanno favorita ed incentivata? Le risposte che il governo da a questa domanda con questa ennesima finanziaria da Robin Hood al contrario, dicono che si continua ad operare come se la crisi economica fosse una sorta di cataclisma naturale che non dipende da scelte umane e che, in particolare, non dipende da precise responsabilità proprio della classe imprenditoriale nelle sue varie componenti (industriale, finanziaria, agricola, del commercio) che ha operato come meglio ha ritenuto opportuno, cioè secondo i propri esclusivi interessi, fin dal 1979, almeno per rimanere ai tempi moderni. Nel 1979, lo ricordo per i più giovani, ci furono i primi ventimila licenziamenti della FIAT, che posero termine al decennio di conquiste sindacali iniziati nel 1969 e che rappresentarono l'inizio della trasformazione dell'allora Partito Comunista che portò poi al suo scioglimento.
Chi ha infatti diretto l'economia, le imprese o i lavoratori? Di quanti finanziamenti pubblici hanno usufruito le imprese con risultati disastrosi sia per la finanza pubblica sia per l'ambiente e i lavoratori? Chi ha tratto profitto, ad esempio, da tutte le privatizzazioni dei servizi pubblici finora realizzate dal Governo, le imprese o i lavoratori? Le privatizzazioni hanno significato per i lavoratori solo licenziamenti, pesanti ristrutturazioni aziendali con le cosiddette “esternalizzazioni” di attività prima realizzate dalle singole aziende. E anche qui con pesanti riduzioni di personale e tagli dei salari. Per la generalità dei cittadini le privatizzazioni hanno significato aumento delle tariffe e servizi peggiori. Si tratta di dati obiettivi, di fatti che ogni lavoratore ha vissuto e continua a vivere sulla propria pelle.
Ma ancora oggi la maggioranza della popolazione e anche degli stessi lavoratori, continua a sperare nel decisionismo del presidente Renzi. La speranza è l'ultima a morire, si dice, e ci si aggrappa a tutto pur di sopravvivere. In più la maggioranza degli italiani non si è mai avventurata, se non per brevi periodi della sua storia, in iniziative che abbiano avuto come obiettivo il mettere in discussione lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo ed il raggiungimento della giustizia sociale.
Dobbiamo quindi aspettarci una acuiescenza abbastanza diffusa nei confronti della ennesima rapina governativa, con sprazzi sporadici di ribellione di gruppi marginali. E questo anche se è facile prevedere che l'ennesimo regalo alla classe sociale, che una volta avremmo chiamata “borghese”, dei ricchi e gaudenti imprenditori e finanzieri, produrrà solo ulteriori povertà e nessuna ripresa del fatidico “mercato”, vero idolo sul cui altare vengono sacrificati le vite dei poveri dell'Italia e del mondo.
E la sinistra? Balbetta, non è ne calda ne fredda, dice che “non c’è uno straccio di politica economica e industriale degna di questo nome”, sembra non vedere le persone concrete (industriali, banchieri, ricchi agricoltori...) a cui sono finalizzate le decisioni economiche del governo, che fa una politica finalizzata a precisi gruppi sociali economicamente forti. Le decisioni economiche governative sono anzi spesso realizzati dagli uffici studi di tali gruppi, quali la Confindustria o da singole grandi aziende, come la FIAT. Le imprese chiedono ed il governo approva le leggi che le favoriscono. A chi sono andati, per fare un esempio, il miliardo di euro serviti a costruire, dopo il terremoto, la città dell'Aquila, già fatiscente a pochi anni dalla sua realizzazione?
La ex sinistra è essa stessa impregnata dell'ideologia del mercato. Anche essa parla della necessità di competere sul mercato internazionale “indirizzando l’economia sul terreno dell’innovazione e della ricerca”, sulla qualità dei prodotti italiani e via blaterando. I lavoratori si dovrebbero cioè mettere in competizione sul terreno della “qualità” con i lavoratori dei paesi in via di sviluppo per vincere così la concorrenza che questi paesi fanno alle merci realizzate in Italia, accettando di fatto l'idea che l'economia è finalizzata al guadagno (che nasce dalla concorrenza, cioè dal mettere in ginocchio le aziende avversarie) e non al benessere della società, come prescrive l'art. 41 della nostra Costituzione.
Ma chi ferma quell'enorme buco nero che tutto assorbe che si chiama “classe dei ricchi e gaudenti” che con la finanziarizzazione dell'economia ricava profitti dal nulla creando in più debiti sulla base di contratti truffaldini che mettono in ginocchio interi stati? Chi deve promuovere il cambiamento del paradigma imperiale basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo? Una volta era la sinistra a porsi questi obiettivi. Oggi i deputati di ciò che è rimasto della sinistra dicono che non hanno nulla contro la Confindustria ed i suoi sogni[2].
E questa sinistra continua a parlare di se stessa come di una “classe dirigente”, cioè come di un gruppo separato di persone, una élite culturale-economica o politica, che ritiene di poter dirigere (o sarebbe meglio dire comandare) il paese. Ma su quali idee e programmi si sviluppa questa ipotetica direzione? Qual è il collante che tiene insieme questa presunta classe dirigente con il resto del paese e con la varie classi sociali esistenti? E a quali classi sociali ci si riferisce, ai ricchi e gaudenti (il 10% della popolazione che possiede il 50% della ricchezza nazionale) o agli altri strati della popolazione (90%) che si dividono le briciole della ricchezza nazionale?
Un gioco molto noto qualche anno fa era quello del Monopoli. Si giocava in famiglia e serviva a diffondere l'ideologia di base della società capitalista. Lo scopo del gioco era quello di diventare monopolista. Il gioco può terminare in due modi: se non ci si da un tempo limite il gioco finisce quando rimane una sola persona con tutte le ricchezza disponibili (case, alberghi, terreni, soldi) e gli altri tutti falliti; se si stabilisce un tempo limite, che so una o due ore, vince il gioco chi diventa il più ricco di tutti.
Noi stiamo giocando sul piano mondiale al Monopoli, con la differenza che mentre al monopoli virtuale giocato in casa nessuno fallisce realmente e magari si suicida perché non può pagare i debiti, nella vita reale alla ricchezza dell'unico che vince (il monopolista che oggi possiamo individuare nelle grandi multinazionali) corrisponde la miseria, la morte, la distruzione dell'ambiente, la guerra per miliardi di persone.
Allora, cara sinistra, a che gioco vogliamo giocare? Non si possono servire due padroni. Ed anche se può sembrare antiquato e non alla moda, noi continuiamo a credere che la ricchezza è un furto e che bisogna impegnarsi per la giustizia sociale, perché tutti siamo uguali e tutti abbiamo diritto ad una vita libera e dignitosa.
Giovanni Sarubbi
NOTE
[1]Relazione generale sulla situazione economica del Paese (2011) del Ministro dell'Economia e delle finanze
[2]Affermazione del capogruppo di SEL alla Camera durante la trasmissione Ballaro della settimana scorsa.



Domenica 19 Ottobre,2014 Ore: 16:14
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 20/10/2014 16.48
Titolo:E "l'ottimismo della volontà"?
Caro amico, scontato "il pessimismo dell'intelligenza", ma, d'accordo con Gramsci, non ci si deve fermare lì. D'accordo anche sulla proprietà - furto, ma quali sono le alternative? Respingo anche la rassegnazione del precedente commento... Non si dovrebbe impegnarsi ad allargare i consensi alla base? (Vedi, per es. don Ciotti, che non perde tempo ad inveire contro i governanti; inoltre non suggeriscono nulla gli zapatisti?) Di parole non si vive e, almeno personalmente, sono stufo! Saluti cari.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 20/10/2014 19.22
Titolo:Il Premier in Tv
A che gioco sta giocando Renzi è molto chiaro....Dobbiamo renderci conto che la Sinistra non è Renzi nè tanto meno il Pd visto che Renzi è il garante di Berlusconi e che entrambi traggono benefici dal patto che hanno stretto. E poi....andare dalla D'Urso mentre Genova è sotto il fango e la disoccupazione giovanile raggiunge punta 44 per cento è proprio grave e inammissibile. 

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