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www.ildialogo.org Il tempo della parresia,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Il tempo della parresia

di Giovanni Sarubbi

Prigionieri della propria ingordigia e del potere che da essa deriva. Questo sono coloro che detengono oggi il potere di vita e di morte su miliardi di essere umani.
Secondo l'ONU sono un miliardo le persone povere nel mondo il che significa che ve ne sono senz'altro il triplo. Questi poveri devono la loro povertà all'ingordigia di pochi individui che sono a capo delle grandi multinazionali (un centinaio appena) che detengono il potere economico e politico a livello mondiale.
L'ingordigia, la smisurata sete di potere di questi pochi individui determina e condiziona la vita dell'intera umanità. L'ingordigia si manifesta in tutti gli aspetti della vita sociale, sul piano economico, politico, filosofico e in quello culturale o spirituale che dir si voglia. Non c'è campo delle conoscenze umane e del comune sentire delle persone che non sia pieno di ingordigia. Non c'è persona che non subisca lo stimolo a praticare l'ingordigia, descritta e magnificata come “legge naturale”, che poi nutre gli abusi di potere che sono l'altra faccia dell'esercizio di qualsiasi potere. Non c'è potere che venga esercitato, politico economico religioso, che non comporti anche un suo abuso con il relativo contorno di violenza che si manifesta in mille modi.
Sono ingorde le filosofie che tendono a porsi come assolute. Sono ingorde le teologie che danno a se stesse la patente di infallibilità. Sono ingorde le scienze che si descrivono come assolute, che non presentano i propri risultati come relativi e suscettibili di smentita da successive ricerche. Sono ingordi coloro che non fanno i conti con “il tempo della fine” che incombe su ogni essere umano, su ogni istituzione sociale, economica, politica, religiosa che l'umanità abbia potuto creare nel corso della sua storia. Sono ingorde e generatrici di distruzioni le filosofie che cancellano il concetto hegeliano della “negazione della negazione”, che nei Vangeli viene richiamato con l'espressione «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Sono ingorde tutte le filosofie e le teologie che negano che ci possa essere alcuna “buona notizia” per l'umanità e che l'oppressione dell'uomo sull'uomo, la violenza e la guerra siano destini ineluttabili a cui nessuno può sottrarsi. Sul piano economico il vecchio Marx definiva l'ingordigia con l'espressione “massimo profitto”, che è l'idea che sta dietro a tutte le decisioni politiche economiche che si stanno oggi scaricando sulla pelle di milioni di disoccupati nei paesi occidentali o sui paesi del sud del mondo defraudati dalle loro materie prime e ridotti letteralmente alla fame.
Non c'è vita nei buchi neri prodotti dall'ingordigia che tutto risucchia, che tutto assorbe ed ingloba facendo terra bruciata attorno a sè.
Per secoli, si è inteso il libro dell'Apocalisse come un libro di sventure e di raccolta di avvenimenti storici che si manifesteranno quando ci “sarà la fine del mondo”. Si è traslato letteralmente il termine greco della prima parola del libro (apokalypsis traslato in apocalisse) per impedire che la gente capisse il messaggio profondo che il libro contiene, che è valido per tutti i tempi della storia dell'umanità, piccola o lunga che essa sia. Apokalypsis significa invece svelamento, togliere il velo, mettere a nudo quello che c'è dietro a ciò che appare, o, per rimanere nell'attualità, andare al fondo delle notizie che ci vengono proposte quotidianamente. E si tratta di un atteggiamento e di un messaggio che riguarda “il tempo della fine”, inteso non come fine della storia o distruzione totale della Terra ma come tempo durante il quale occorre rendere dolce, pieno di amore, di solidarietà e misericordia il proprio approccio con la natura e con gli altri esseri umani, costruendo strutture sociali e realizzando rapporti umani privi di ingordigia, facendo quindi i conti con la propria limitatezza e con il non essere proprietari neppure del proprio corpo, che dalla terra è nato e alla terra ritornerà.
Ho fatto riferimento, nei miei ultimi editoriali, su cui intrattengo i miei quattro lettori da qualche settimana, alla caduta dell'impero romano per indicare il senso del termine “tempo della fine” . La fine dell'Impero Romano non ha significato la fine della storia. Era finito un pezzo di storia, un altro cominciò il suo cammino. Ma il paradigma imperiale basato sulla violenza, sul potere di pochi ai danni di tutti, sull'ingordigia elevata a sistema, non cambiò. Questo paradigma mutò forma, aggiornò la sua filosofia, si vestì di teologia, sposò il monoteismo senza però abbandonare del tutto il politeismo e l'idolatria che tuttora continua. I nuovi popoli che invasero l'Europa portarono linfa nuova allo stesso paradigma, non ci fu alcuna “buona notizia” che nacque dalla caduta dell'Impero Romano che anzi usò e stravolse il movimento dei seguaci di un oscuro predicatore itinerante ebraico di nome Gesù. Un Gesù ucciso e perseguitato come capita, anche oggi, a tutti coloro che si permettono di indicare “una buona notizia” che metta in discussione il paradigma dell'oppressione dell'uomo sull'uomo che genera ingordigia, una “buona notizia” che invita tutti gli esseri umani a fare i conti quotidianamente con “il tempo della fine”. Un Gesù che invita gli uomini a vivere il proprio rapporto sociale come “ecclesia”, cioè come “assemblea” dove condividere amore, pane e vino, gli elementi essenziali della vita, e decidere insieme, senza prepotenze e ingordigie, tutta la propria vita comunitaria. Una “ecclesia” dove doveva vigere il “chi vuol essere primo serva” indicato dal Gesù “figlio dell'uomo”, che aveva come Dio l'umanità e non le fredde statue dei templi o il Dio della metafisica di coloro che hanno poi, alcuni secoli dopo, trasformato l'ecclesia da lui propugnata in una “sinagoga di satana”, prosecutore del paradigma imperiale sine die.
E coloro che dovevano servire si sono trasformati in padroni della ecclesia, unici depositari della verità, ingordi accentratori di ogni potere e di ogni decisione. L'ecclesia sono loro e senza di loro l'ecclesia non esiste.
Oggi ci troviamo di fronte di nuovo nella nostra storia umana a dover fare i conti con “il tempo della fine” del paradigma imperiale. Un paradigma che è incentrato sul sistema politico-sociale facente capo agli USA e ai suoi alleati europei e che ha radicato la propria ideologia ingorda anche in quei paesi che, a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre del 1917,hanno cercato di rappresentare una alternativa possibile al paradigma imperdiale. E anche oggi ci troviamo di fronte ad una migrazione eccezionale sia verso l'Europa, sia verso gli USA sia verso l'Australia dei popoli resi schiavi e sfruttati dal sistema imperiale USA. Allora sono stati definiti barbari oggi li chiamiamo “clandestini”. Anche oggi ci troviamo di fronte alla incapacità di quelle forze che dovrebbero rappresentare il nuovo o la “Buona notizia” per l'intera umanità a dare indicazioni o a guardare al di là del proprio naso, privi di speranza come erano le sette chiese di cui parla il libro dell'Apocalisse. Sette ecclesie divise, confuse, amareggiate e scoraggiate, né fredde né calde, piene di imbroglioni, maghi, falsi profeti ingannatori, uomini e donne prezzolati al servizio dell'impero che non sapevano più cosa significava amare ed essere amati e avevano dimenticato come si dovesse condividere tutto per continuare ad essere speranza per sé e per l'umanità.
Di solito l'esegesi biblica corrente del libro dell'Apocalisse associa il numero sette all'idea di totalità, per cui il messaggio alle sette chiese viene interpretato come messaggio a tutte le chiese, senza metterne in risalto la marginalità, la divisione e frammentarietà, il loro essere inserite in un mondo ostile, quale era quello dell'Asia dove esse erano collocate, ricco e potente e pieno di simboli e riti tipici del potere imperiale che sembrava impossibile riuscire a sconfiggere. Sette chiese a cui far riscoprire la speranza e l'obiettivo di una nuova umanità che sconfigga definitivamente il paradigma imperiale.
Il fenomeno dei ministri (parola che letteralmente significa servitori[1]) che si trasformano in padroni non ha riguardato solo le chiese cristiane divenute religione dell'impero romano, ma anche tutti quei movimenti che in qualche modo hanno cercato di abbattere, lungo il corso dei secoli, il paradigma imperiale e sostituirlo con il paradigma della “buona notizia” dell'agape fraterna, dell'amatevi gli uni gli altri. Il paradigma imperiale è altamente infettivo e mortale, rende le persone incapaci di comprendere di essere prigionieri di idee e comportamenti senza speranza e distruttivi. E' successo nella ex Unione Sovietica nata nel 1917 ed è successo in tutti quei paesi che fino a 25 anni fa costituivano il cosiddetto socialismo reale.
Per questo, per dare una speranza alla “buona notizia” di un mondo altro, occorre interrogarsi sul “tempo della fine” o, come scrive l'Apocalisse, sulle cose che abbiamo visto finora e su quelle che avverranno in seguito, perché il paradigma imperiale ripete le sue lugubri e mortali liturgie dalla notte dei tempi, da quando nelle prime comunità umane è prevalsa l'ingordigia di pochi ai danni della grande maggioranza della comunità.
Oggi, fare i conti con “il tempo della fine”, è più urgente e necessario, perché più grave e distruttivo è il potere mortifero del paradigma imperiale.
Ed è per questo che occorre parlare senza perifrasi e senza rispettare alcuna autorità costituita. O, per dirla con Papa Francesco, è l'ora della parresia[2] di cui tutti possiamo essere portatori.
Giovanni Sarubbi
NOTE
[1]Ministro deriva dal latino minister (a sua volta derivato da minus, 'meno') che indicava genericamente una persona subordinata ad un'altra, il magister (da magis, 'più') e, più specificamente, chi era al servizio di un'autorità o un'istituzione, come i littori e coloro - generalmente schiavi o liberti - che prestavano servizio nella casa imperiale con svariate incombenze. (Da wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Ministro)
[2] parreṡìa s. f. [dal gr. παρρησία «libertà di parola»]. – Schiettezza, franchezza; estens., libertà di parola eccessiva, sfrenata. (da http://www.treccani.it/vocabolario/parresia/ vedi anche http://it.wikipedia.org/wiki/Parresia o http://it.cathopedia.org/wiki/Parresi )



Domenica 12 Ottobre,2014 Ore: 16:31
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 13/10/2014 18.42
Titolo:Sotto scacco
Mentre leggevo l'editoriale "Il tempo della parresia" pensavo di dover esprimere il mio apprezzamento . Ognuno di noi dovrebbe sentire l'esigenza di  esprimere il proprio parere su quanto scritto da Giovanni Sarubbi. La riflessione sull'ingordigia di chi detiene il potere economico,culturale e plolitico è da condividere in pieno. Penso anch'io che non c'è limite all'egoismo ,alla sete di potere di alcuni uomini che purtroppo tracciano la linea della vita di chi invece non ha nessuna possibilità di "difesa". Gli ingordi fanno tutto in nome del profitto e dell'accumulo di ricchezza. 
Credo più che mai che la libertà di parola è in pericolo, credo che la comunicazione è asservita ,credo che i cittadini sono continuamente mortificati e tenuti sotto scacco.La speranza di un mondo migliore sta venendo meno.
Autore Città Giorno Ora
RAFFAELLO SAFFIOTI PALMI 14/10/2014 11.38
Titolo:

Carissimo Direttore,
ho atteso e letto avidamente il tuo nuovo editoriale, col titolo "Il tempo della parresia".
Non mi limito a esprimerti, come sempre, il mio apprezzamento, dicendo anche che mi ritrovo in quanto vai scrivendo. Dietro quanto hai scritto oggi nel nuovo editoriale ho visto molta dottrina, molte letture, esprimendoti, giornalisticamente, con grande capacità di sintesi e in forma semplice, senza fare dotte e noiose, pur autorevoli, citazioni che avrebbero reso pesante il testo.
 
Il tema della "parresia" come anche il tuo richiamo, frequente, all'Apocalisse, mi stanno molto a cuore. Nella mia vita, fin dai tempi di Pio  XII, i tempi del mio impegno associativo all'interno della  Chiesa cattolica, ho sempre difeso strenuamente il diritto della libertà di parola ed il senso auentico della "parresia" di fronte all'autoritarismo ecclesiastico.
Se non ricordo male, "La libertà di parola nella Chiesa" era il titolo di un libro pubblicato dalla Borla, in anni molto lontani.
E' trascorso, quindi, più di mezzo secolo.
Quindi mi ha fatto senso il recente richiamo alla "parresia" da parte di Papa Francesco.
 
Dall'Apocalisse ho tratto ripetutamente per i miei documenti il versetto "Vidi cieli nuovi e terre nuove", come motto epigrafico.
Ho sempre visto quel versetto come ispiratore della mia visione del mondo e della vita.
Prima del recente numero della rivista internazionale di teologia "Concilium" (3, 2014), pubblicata dalla Editrice Queriniana, col titolo "Ritorno della coscienza apocalittica?", tra le mie varie letture, una che mi ha molto aiutato è stata quella del tuo testo "L'Apocalisse, il libro sconosciuto o bistrattato", pubblicato dalla Chiesa Cristiana Libera, Avellino, (seconda edizione del 2006).
Questo testo mi fa capire meglio i tuoi frequenti richiami all'Apocalisse, libro profetico, valido per ogni tempo di crisi.
Valido anche nel nostro tempo, come "tempo della fine".
E' un tempo di gravissima crisi, "crisi di un sistema" come lo ha definito Padre Alex Zanotelli in un recente discorso a San Giovanni in Fiore, la città del profeta Gioacchino.
 
Ora cerco di collegare i tuoi ultimi tre editoriali, e intendo valermi dell'ultimo, "Il tempo della parresia", in riferimento alla Marcia Perugia-Assisi che avrà luogo domenica prossima, 19 ottobre.
 
Richiamo la mia "Lettera al Direttore" pubblicata lo scorso 6 ottobre col titolo "Un dibattito sullo stato attuale del movimento per la pace".
La nostra amica Giulia Guzzo, valorosa ed attivissima animatrice dell'Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo di San Giovanni in Fiore, ieri mi ha scritto:
 
"Sono andata su "il dialogo" e ho riletto sia la tua "Lettera al Direttore" che la tua "Letttera aperta".
(Si riferiva alla Lettera pubblicata col titolo "La pace si studia La pace s'impara Proposte per educare alla pace contro la terza guerra mondiale nella città di Gioacchino da Fiore")
"Ho notato che le visite ricevute dalla Lettera aperta ad oggi sono 584, mentre le visite ricevute dalla Lettera al Direttore sono solo 53. Una differenza abissale, si vede che nel movimento non c'è molto spazio per la discussione della tua proposta di aprire un dibattito sul movimento e sulla sua funzione, proposta che piace a pochi. Sarebbe stato davvero interessante che la proposta venisse accettata.
 Personalmente penso che quando si discute, si riflette sulla vita di un partito, di un movimento, di un'associazione, significa che ancora c'è speranza per la democrazia, la partecipazione, la critica costruttiva. Al contrario, invece, se tutto tace, tutto scorre senza scossoni, senza dibattito, significa che si vuole lasciare le cose come sono, immutate, per non cambiare nulla".
 
Mi ritrovo nelle parole di Giulia Guzzo ed ho pensato che fosse utile riprenderle per fartele conoscere e provocare la tua riflessione.
M'interessa moltissimo, come al solito, conoscere la tua opinione.
Intanto non mi resta che prendere atto che la "Lettera al Direttore", dopo una settimana, sembra caduta nel vuoto.
Attendo l'esito della Marcia Perugia-Assisi per proseguire con lo studio e con l'iniziativa.
 
Raffaello Saffioti

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