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www.ildialogo.org Essere o non essere!,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Essere o non essere!

di Giovanni Sarubbi

Nel mondo ci sono stati, fin dai tempi del Manifesto del Partito Comunista di Carlo Marx, due tipi di comunisti. Un tipo è quello che potremmo definire dei chiacchieroni, dei raccontaballe, degli azzeccagarbugli, di coloro che sanno ripetere a menadito belle parole e ottengono grandi applausi, che dicono magari continuamente "io sono comunista", "io sono comunista",... e lo ripetono come un rosario senza però avemaria e padre nostro. Si riempiono di se stessi e quando bevono vino sono anche meglio. Questi sono quelli che magari ottengono i posti in parlamento e traggono grandi profitti per se stessi e per la propria famiglia. Di tali "comunisti" ce ne sono stati a migliaia di migliaia, ne parla anche Engels che ne descrive anche qualcuno in qualche suo libro. Negli ultimi vent'anni ne abbiamo visti molti in azione nel nostro paese.
Poi ci sono i comunisti che in silenzio e senza dichiarare alcunché, senza vantarsi di nulla e senza pretendere posti da funzionari in qualsivoglia organizzazione o primi posti nelle liste per il parlamento, costruiscono sindacati, organizzano associazioni di difesa dei disoccupati, organizzano associazioni di difesa dell'ambiente, si battono contro l'inquinamento, insegnano a leggere e a scrivere a chi non lo sa fare, stimolando i cittadini qualunque a mobilitarsi per la difesa della salute, o per il diritto allo studio. Questi comunisti non ripeteranno mai continuamente di essere comunisti ma lo saranno di fatto. Non tradiranno mai un loro compagno di lotta e non si attaccheranno mai alle loro ricchezze che anzi cercheranno di condividere con gli altri. Renderanno concreto la parola compagno, che deriva dal latino cum panis, cioè colui con cui si spezza insieme il pane, come facevano i primi cristiani che erano riconosciuti dallo spezzare insieme il pane e dalla comunione fraterna che avevano fra di loro (Atti 2,42). E il partito di questi comunisti sarà una comunità di uomini e donne liberi ed uguali che insieme cambieranno dal basso e ineluttabilmente la società, che non si divideranno ad ogni alito di vento e che metteranno al bando al loro interno le beghe e le calunnie, l'arrivismo individuale ed eviteranno il culto della personalità di chicchessia. Questi sono i comunisti che hanno capito fino in fondo il significato della parola comunista. Di se stessi diranno di essere "tentativamente comunisti", con grande umiltà e non si vanteranno di questa loro convinzione. Praticheranno il comunismo, cioè la condivisione dei beni piuttosto che predicarlo.

Anche nel cristianesimo delle origini ci sono stati personaggi come i comunisti del primo tipo che sono stati in grado di utilizzare per se la credulità popolare. Lo stesso Engels riconosce i tratti di similitudine fra il primo movimento cristiano ed il primo movimento comunista seguito al manifesto del 1848. E questi cristiani arruffoni, imbroglioni, ciarlatani, sono anche quelli che hanno conquistato i primi posti nelle sinagoghe, contrariamente a quello che insegnava Gesù, e che hanno trasformato le ecclesiai (le chiese) del primo secolo da organizzazioni laiche che praticavano la condivisione, in strutture religiose oppressive, come e più dei templi di Gerusalemme o dei templi pagani dove si rendeva culto all'imperatore.

E come per i comunisti anche per i cristiani ci sono stati nel corso dei secoli e a partire dalle prime comunità coloro che hanno praticato le beatitudini evangeliche, dal beati i poveri al beati i perseguitati per la giustizia, rifiutando di recitare i credi stabiliti dall'imperatore Costantino a Nicea e resi obbligatori con la violenza in tutto l'impero romano. E questi cristiani hanno pagato spesso con la vita le loro convinzioni come è stato per i comunisti che il comunismo lo hanno praticato invece che predicarlo.

La storia, oggi come duemila anni fa, nella sua essenza, è ancora sempre la stessa. Essere o non essere, questo è il problema, direbbe Shakespeare. Apparire cristiani e fare tutt'altro, oppure praticare il cristianesimo senza proclamare alcunché? Praticare la condivisione dei beni, chiedere che i diritti umani di tutti siano rispettati, che tutti abbiano un lavoro, che a tutti sia riconosciuto l'indispensabile per sopravvivere, rifiutando lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, oppure proclamare urbi et orbi di essere di sinistra, socialisti, comunisti o quant'altro e poi magari essere pronti a vendersi al miglior offerente?

Mi diceva un amico, vecchio socialista, che da quando una ventina di anni fa, dopo la caduta del muro di Berlino, fu proclamato urbi et orbi la fine delle ideologie, la vita dei voltagabbana è stata di molto facilitata. Da allora si può passare da uno schieramento all'altro senza neppure l'obbligo della revisione ideologica delle proprie idee, o del trovare una qualche giustificazione teorica o morale per il proprio gesto di tradimento di quello in cui si è creduto fino ad un attimo primo. Invece di avere come punto di paragone il meglio, la correttezza, l'onesta e la coerenza, sono diventati costume comune della società tutto ciò che è deleterio e ingiusto. E ne è prova la folla che ieri riempiva a Roma p.zza San Giovanni ad ascoltare il comizio del duce di Arcore.

E i cosiddetti comici, quelli che vanno per la maggiore e che aprono o chiudono le trasmissioni politiche di maggior successo con i loro “editoriali”, hanno finito per imbastardire ancora di più la realtà della politica, cioè del nostro vivere civile. E questo perché il loro far ridere è stato finalizzato a diffondere e rafforzare l'idea che bianco e nero siano la stessa cosa, che essere operaio o grande multimiliardario non sia poi così importante e che tutti, vendendo la propria dignità o il proprio voto o i propri diritti umani, possono avere l'occasione di diventare indefinitamente ricchi, e muoia pure tutto il resto del mondo. I comici, hanno devastato a tal punto la coscienza delle persone che chi vuole fare politica deve necessariamente avere un comico di grido che lo appoggi, che in qualche modo lo sostenga con battute che ne mettano in risalto positivamente il proprio carattere, altrimenti è inutile che si presenti. Un dirigente sindacale della CGIL provinciale mi ha detto recentemente, parlando di Antonio Ingroia, che egli era finito sol perché l'altro comico genovese di grido, che risponde al nome di Crozza, lo dipinge nero ed è quindi inutile che egli insista. Cioè siamo arrivati al punto che le persone serie devono conformarsi ai pagliacci e ai clown quando parlano della politica e dei destini del paese. Come dare torto a quel leader socialdemocratico tedesco che ha parlato dell'Italia come di un paese in mano ai comici?

Credo che tali logiche non possono essere accettate da chi ha un minimo di dignità e di rispetto per la propria e per l'altrui intelligenza e per chi voglia dare un futuro a questo nostro paese. E non può essere accettato proprio in questo momento nel quale il nostro paese è sull'orlo del più profondo baratro che ci sia mai capitato di incontrare nel corso della storia della nostra repubblica.

Lo spettro della ripetizione di ciò che è capitato alla Grecia nell'ultimo anno sta diventando sempre più concreto. E in quel caso l'essere o il non essere, farsi orientare dai pagliacci o ragionare con la propria testa, scegliere la condivisione o dar libero sfogo all'egoismo e allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, non sarà più un dubbio amletico fine a se stesso, ma diventerà una drammatica scelta di fronte a cui tutti ci troveremo di fronte. E tutto ciò che non è costruito sulla roccia andrà in rovina.

Giovanni Sarubbi




Domenica 24 Marzo,2013 Ore: 15:59
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 25/3/2013 12.13
Titolo:Shakespeare
Non ho molto da dire, perchè condivido parola per parola il messaggio di Sarubbi.

Il dubbio amletico resterà sempre lo specchio delle coscienze deboli o, perchè no?, del qualunquismo che domina oggi più che mai ed è la forma più comoda per imitare Ponzio Pilato, allorchè si sciacquava le mani.
Porsi (forse) delle domande, ma guardarsi dal prendere posizione: troppo scomodo e troppo pericoloso...Meglio LAVARSENE LE MANI, lasciare ad altri questo genere di rischio!
Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 30/3/2013 20.11
Titolo:la paura del cambiamento
la vita è una sorpresa,un divenire continuo, come natura insegna e non bisogna avere paura di canbiare,perchè è il grande insegnamento della vita,il bene è in tutti noi,basta cercarlo e fare la cosa giusta non quella che conviene,seguire il cuore non il profitto,non vedo niente di terrificante e pericoloso nel pensiero del movimento.
IL vero pericolo è il dominio delle banche con il terrore del debito che ti porta via anche la tua prima casa e i partiti che fanno da camerieri alla dittatura finanziaria che gioca a monopoli con le nostre vite,e ingrassano senza curarsi di chi non ha nulla.
Se la democrazia,è poter sciegliere fra idee diverse,be finora non è stato così ci hanno dato l'illusione di scegliere,la strada era tracciata da tempo centralizzare il potere,economico finanziario,a piccoli passi renderci dipendenti da tutto e con il ricatto della paura di perdere quel tutto inpedirci anche di avere idee.
Ma hanno sbagliato i conti ci sono molte persone disposte a morire per le proprie idee,perchè hanno dentro la forza dell'amore.
I momenti di crisi sono una ricchezza ,perchè ci fanno capire dove abbiamo sbagliato e ti danno l'occasione di rinascere.
Se la serietà ci ha portato sin qui è meglio la comicità che sdrammatizza( non parlo dello psiconano quello è un mafioso che prova di fare il comico)e i tedeschi sarebbe meglio guardassero all'olocausto che hanno alle spalle,e risarcissero i danni che hanno fatto al mondo,ecco perchè ridono poco.

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