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www.ildialogo.org Fatti e non parole,di Giovanni Sarubbi

Editoriali
Fatti e non parole

di Giovanni Sarubbi

“La chiesa è viva”, lo dice il Sinodo dei Vescovi che si concluderà oggi 28 ottobre con una solenne messa in piazza San Pietro presieduta dal Papa. “La chiesa è viva” descrive in realtà la scena di un moribondo in coma che cerca di rianimare se stesso.

Per tre settimane 262 fra vescovi e cardinali, nominati dal Papa e non certo eletti da quello che il Vaticano II chiamava “il popolo di Dio”, hanno discusso comodamente alloggiati in Vaticano (quanti soldi sprecati che potevano essere usati per i poveri!) sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, e lo hanno fatto utilizzando un linguaggio che nel suo vocabolario contiene espressioni come “Ordo Synodi Episcoporum”, “Lineamenta”, “Instrumentum laboris”, “Disceptatio”, “Relatio ante disceptationem”, “Relatio post disceptationem”, “Nuntius”. Vocabolario e linguaggio per interpretare i quali non basta un semplice vocabolario di latino ma occorre la conoscenza dettagliata dei riti e dei salamelecchi vari che si scambiano “le loro eccellenze reverendissime”, i mosnignori, gli aiutanti di camera e i baciatori di pantofole targate Prada, di quella macchina mostruosa che è la Curia Romana, quella che ha dato mostra di se con l'affare Vatileaks, che ha portato in carcere l'ex maggiordomo del Papa, coprendo altre responsabilità, o che è da sempre impegnata a coprire gli affari e le nefandezze dello IOR, che è forse la più nefanda di tutte le istituzioni pontificie.

Dice il Vangelo di Matteo, in quello che può essere considerato il “manifesto programmatico” dei seguaci di Gesù, «Sia invece il vostro parlare: "Sì, sì", "No, no"; il di più viene dal Maligno». Ed è “il maligno” quello che viene fuori da ogni riga dei documenti approvati dai 262 “padri sinodali” (padri di che, visto che non hanno figli, almeno ufficialmente!), che sono stati resi noti in “una versione in lingua inglese, provvisoria, ufficiosa e non ufficiale, a cura della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi” per, udite udite, “benevola decisione del Santo Padre Benedetto XVI”, capo assoluto dello stato Città del Vaticano. Si, perché i documenti approvati dai vescovi potranno essere cambiati in tutto o in parte dal Papa, quel capo assoluto indicato nella sentenza che ha condannato il suo ex maggiordomo come “felicemente regnante”, anche se, guardardandolo, Papa Benedetto XVI non ci sembra molto felice.

Sembra di ascoltare e di rivedere (chi ha una sessantina d'anni lo ricorderà), quel duetto fra la cantante Mina e l'attore Alberto Lupo che cantavano la canzone “PAROLE PAROLE PAROLE”(1), che nella sua parte centrale contiene il ritornello che dice: “Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi”.

Oggi non è più tempo di parole fra la gerarchia ecclesiastica e quello che il Vaticano II chiamava “il Popolo di Dio”. Oggi occorrono gesti concreti se si ha una buona novella da raccontare al monto. Altrimenti nessuna rianimazione è possibile ed il morto morirà definitivamente.

Proviamo ad elencare qualcuno di questi gesti, invitando tutti i nostri 4 lettori a scrivere quelli che secondo loro possono essere i gesti necessari oggi affinché l'evangelo di Gesù di Nazareth possa far sentire di nuovo la sua forza dirompente.

Per me innanzitutto occorre ritirare immediatamente tutti i cappellani militari da tutti gli eserciti del mondo, sciogliendo l'ordinariato militare e inviando i suoi membri, a titolo di rieducazione permanente, nei posti più disagiati della terra, a condividere la vita degli ultimi e dei derelitti, senza stipendio o alloggio e cibo sicuri, come dice il Vangelo, con l'obbligo di proclamare continuamente il comandamento del “tu non uccidere” come propria missione costante, chiedendo perdono quotidianamente con le parole e con i fatti di tutte le guerre che la Chiesa cattolica, insieme a tutte le altre chiese, ha benedetto nei secoli, dai tempi dell'imperatore Costantino ad oggi. Con tale gesto riavranno valore le parole e sarà dato il giusto onore alla enciclica “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII, quella che considerava la guerra una vera e propria pazzia.

Ho cominciato con la questione dei cappellani militari, apparentemente marginale, per segnalare l'urgenza della guerra nella quale siamo immersi da 11 anni, e di cui in Europa non ci rendiamo conto perché non ci piovono le bombe in testa. Le bombe che le industrie belliche italiane ed europee producono, che sono ora benedette anche dal conferimento del premio nobel per la pace alla UE, le vanno a scaricare sui popoli arabi o in Afghanistan, dove soldati italiani combattono da 11 anni, uccidono e sono uccisi in spregio della Costituzione e con la benedizione dell'ordinariato militare che dirà, ne siamo certi, ancora una volta parole, soltanto parole, che avalleranno la retorica militarista sull'eroe morto per adempiere al proprio dovere, di fronte all'ennesimo soldato italiano ucciso in questi giorni, il 52°, e non accuserà i veri responsabili di questo omicidio, che sono i governi ed i presidenti della Repubblica che hanno consentito e che ancora consentono a che l'Italia partecipi ad una guerra in spregio della nostra Costituzione. Come dice il Vangelo non si possono servire due padroni, ed è difficile che il vescovo castrense, questo il titolo del capo dei cappellani militari, che è insignito del grado militare di generale di corpo di armata per il quale viene regolarmente retribuito, possa mordere la mano di chi gli paga lo stipendio.

Occorre poi abolire tutti gli ordini e gradi gerarchici all'interno delle chiese, non solo di quella cattolica. Basta con chi, nascondendosi dietro ad una chiamata divina ricevuta miracolosamente, impone di fatto il proprio potere personale, il proprio egocentrismo, la propria visione e i propri sentimenti come provenienti direttamente da Dio, diventandone di fatto il padrone e l'intermediario, come di chi ha le chiavi di una cassaforte piena di tesori da distribuire solo a chi è fedele e obbedisce a questi poteri che si sono sostituiti di fatto al potere assoluto di Dio.

La chiesa cattolica, come tutte le altre chiese, ritornino ad essere organismi collettivi, comunità dove non ci sono padroni, ne schiavi, ne persone con poteri particolari di dare salvezze eterne. Mettiamoci gli uni a servizio degli altri, aiutiamoci fraternamente e sororamente(2), condividiamo i nostri dolori e le nostre speranze, la nostra ricerca per dare un senso alla nostra vita, smettiamo di vedere nell'altro/a il nemico da battere o il mostro da cui difenderci mentre invece è solo un nostro fratello/sorella con cui abbiamo l'obbligo di condividere la vita e l'Unica Terra su cui viviamo.

Basta preti, pastori, pope, vescovi, cardinali, monsignori, sacerdoti.... Basta vestiti che solo a guardarli mettono paura e generano distanza e repulsione. Basta mitria(3), casule(4), pastorali(5) tempestate di diamanti, anelli altrettanto ingioiellati, croci di oro massiccio imbracciate o portate al collo come armi per diffondere terrore e paura, miseria e subordinazione, come ai tempi dell'imperatore Costantino che, non ha caso, proclamò “in hoc signo vince”, col segno terroristico della croce vincerai, ma non è questo il senso della croce dell'evangelo di Gesù di Nazareth.

Basta con il vivere nella ricchezza e maneggiare decine o centinaia di miliardi di euro o dollari, e questo non vale solo per la chiesa cattolica che, su tale terreno, ha dei competitori in altre chiese molto attrezzati. Basta stati teocratici, come quello Vaticano, che ha benedetto nel corso dei suoi 1700 anni di storia le peggiori dittature e benedetto le peggiori guerre sante, le più sanguinose e violente che la storia umana abbia mai registrato.

Dive il Vangelo “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Marco 8,34), cioè non abbia paura di sporcarsi le mani contestando i poteri ingiusti che opprimono l'umanità e affronti anche l'ignominia della croce se necessario.

E, infine, riappropriamoci di quella frase del Vangelo di Matteo la dove è scritto «Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici».(Marco 8,34). Basta dunque con quell'orribile dottrina sacrificale su “Gesù agnello di Dio” sacrificato dal Padre per la salvezza dell'umanità, che è un retaggio mefitico e orribile della cultura sacrificale, che prevedeva anche i sacrifici umani per placare la collera degli dei e che la stessa Bibbia condanna fin dal libro della Genesi, con il racconto del “mancato sacrificio di Isacco”, che viene invece raccontato da tutte le chiese cristiane come “il sacrificio di Isacco”, solo per poter giustificare la mostruosità della dottrina sacrificale applicata a Gesù di Nazareth. Archiviamo questa dottrina sacrificale orrenda e consegniamola alla storia, o meglio alle mostruosità della storia di cui dobbiamo al più presto liberarci se vogliamo avere ancora un evangelo, una buona notizia, da raccontare alla umanità.

Ecco sarebbe bello se oggi 28 ottobre tutti i vescovi ed il Papa in piazza san Pietro si spogliassero dei loro paramenti sacri e dei loro simboli di terrore, si inginocchiassero, chiedessero perdono per le nefandezze della Chiesa e di tutte le chiese e dopo si mescolassero insieme alla folla come viandanti fra altri viandanti, come fratelli che percorrono la stessa via che hanno già percorso Gesù, o altri suoi fratelli come Francesco di Assisi, o Helder Camara, o Oscar Romero, o Martin Luther King o i tantissimi uomini e donne senza volto che hanno dato la loro vita per sostenere gli ultimi della Terra, e si sono opposti al potere maligno dei soldi e del potere politico militare e religioso che invece alberga oggi saldamente nella Città del Vaticano, rinnovando il peggio che in quelle stanze è successo e oscurando i pochi raggi di luce che le hanno attraversate ai tempi di Celestino V o di Giovanni XXIII o durante il Concilio Vaticano II. Ed insieme a tutta la folla in piazza San Pietro si spezzasse e si condividesse il pane che ognuno si è portato da casa, ed il vino e le altre bevande, segno di condivisione di quella vita che solo con la condivisione diventa degna di essere vissuta.

Giovanni Sarubbi


NOTE

1Parole parole parole

Mina & Alberto Lupo

Chiosso - Del Re - Ferrio

(1971)

Parlato: Cara, cosa mi succede stasera, ti guardo ed è come la prima volta
Canto : Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei
Parlato: Non vorrei parlare
Canto: Cosa sei
Parlato: Ma tu sei la frase d’amore cominciata e mai finita
Canto: Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai
Parlato: Tu sei il mio ieri, il mio oggi
Canto: Proprio mai
Parlato: È il mio sempre, inquietudine
Canto: Adesso ormai ci puoi provare/ chiamami tormento dai, già che ci sei
Parlato: Tu sei come il vento che porta i violini e le rose
Canto: Caramelle non ne voglio più
Parlato: Certe volte non ti capisco
Canto: Le rose e violini/ questa sera raccontali a un’altra,
violini e rose li posso sentire/ quando la cosa mi va se mi va,
quando è il momento/ e dopo si vedrà
Parlato: Una parola ancora
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ascoltami
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ti prego
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Io ti giuro
Canto: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
Parlato: Ecco il mio destino, parlarti, parlarti come la prima volta
Canto: Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei,
Parlato: No, non dire nulla, c’è la notte che parla
Canto: Cosa sei
Parlato: La romantica notte
Canto: Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai
Parlato: Tu sei il mio sogno proibito
Canto: Proprio mai
Parlato: È vero, speranza
Canto: Nessuno più ti può fermare/ chiamami passione dai, hai visto mai
Parlato: Si spegne nei tuoi occhi la luna e si accendono i grilli
Canto: Caramelle non ne voglio più
Parlato: Se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti
Canto: La luna ed i grilli/ normalmente mi tengono sveglia/
mentre io voglio dormire e sognare/ l’uomo che a volte c’è in te quando c’è/
che parla meno/ ma può piacere a me
Parlato: Una parola ancora
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ascoltami
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Ti prego
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Io ti giuro
Canto: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole
Parlato: Che cosa sei
Canto: Parole, parole, parole, parole parole soltanto parole, parole tra noi

2 Termine derivato da sororale, relativo, proprio della sorella

3La mitria (o mitra) è un paramento liturgico. È il copricapo usato dai vescovi nella Chiesa cattolica e in alcune altre confessioni cristiane durante le celebrazioni liturgiche.

4La casula è la veste liturgica propria di colui che celebra il rito della messa

5 Il pastorale (o vincastro) è una sorta di bastone, dall'estremità ricurva e spesso riccamente decorata, usato dal vescovo nei pontificali e nelle cerimonie più solenni. È in uso presso varie chiese cristiane a ordinamento episcopale, tra cui la Chiesa cattolica, l'ortodossa, l'anglicana e la luterana. Deriva dal lituo etrusco.




Domenica 28 Ottobre,2012 Ore: 09:14
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
vittorio pedrali marigliano 28/10/2012 11.34
Titolo:articolo "fatti non parole"
Carissimo Giovanni
Cosa vuoi che scriva come commento? rammenterai bene come la penso. A costo di cadere in contraddizione con me stesso, potrei giungere ad affermare che se il diavolo esistesse, il suo nome sarebbe "chiesa"

Ciaone

Vittorio
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2012 12.23
Titolo:I vestiti nuovi dell’Imperatore ( il "Dominus Iesus" ratingeriano) e il bambino ...
I vestiti nuovi dell’Imperatore

di Hans Christian Andersen

Molti anni fa viveva un imperatore, il quale amava tanto possedere abiti nuovi e belli, che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza. Non si curava dei suoi soldati, non si curava di sentir le commedie o di far passeggiate nel bosco, se non per sfoggiare i suoi vestiti nuovi: aveva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: - E’ in Consiglio! - di lui si diceva sempre:
- E’ nello spogliatoio -

Nella grande città, dove egli abitava, ci si divertiva molto. ogni giorno arrivavano stranieri, e una volta vennero due impostori; si spacciarono per tessitori e dissero che sapevano tessere la stoffa piu straordinaria che si poteva immaginare. Non solo i disegni e i colori erano di singolare bellezza, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili a quegli uomini che non erano all’altezza della loro carica o che erano imperdonabilmente stupidi.

- Sarebbero davvero vesti meravigliosi! - pensò l’imperatore - Con quelli indosso, io potrei scoprire quali uomini nel mio regno non sono degni della carica che hanno; potrei distinguere gli intelligenti dagli stupidi. Ah! si! mi si deve tessere subito questa stoffa! -

E diede molti soldi in mano ai due impostori perchè incomiciassero a lavorare. Essi montarono due telai, fecero finta di lavorare, ma non avevano assolutamente niente sul telaio. Chiesero senza complinenti la seta più bella e l’oro piu brillante, li ficcarono nella loro borsa e lavorarono con i telai vuoti, senza smettere mai, fino a tarda notte.

- Adesso mi piacerebbe sapere a che punto è la stoffa! - pensò l’imperatore; ma in verità si sentiva un po’ agitato all’idea che una persona stupida, o non degna della carica che occupava, non avrebbe potuto vederla. Egli, naturalmente, non pensava di dover temere per sè; tuttavia preferì mandare un altro, prima, a vedere come andava la faccenda.

Tutti gli abitanti della città sapevano dello straordinario potere della stoffa, e ognuno era desideroso di conoscere quanto incapace o stupido fosse il proprio vicino di casa.

- Manderò dai tessitori il mio vecchio, bravo ministro! - pensò l’imperatore. - Egli può vedere meglio degli altri che figura fa quella stoffa, perchè è intelligente e non c’è un altro che sia come lui all’altezza del proprio compito! -

Così quel vecchio buon ministro andò nella sala dove i due tessitori lavoravano sui telai vuoti: - Dio mio! - pensò spalancando gli occhi - non vedo proprio niente! - Ma non lo disse forte.

I due tessitori lo pregarono di avvicinarsi, per favore, e gli domandarono se il disegno e i colori erano belli; e intanto indicavano il telaio vuoto. Il povero vecchio continuò a spalancare gli occhi, ma non riuscì a vedere niente perchè non c’era niente.

- Povero me! - pensò. - Sono dunque stupido? Non l’avrei mai creduto! Ma ora nessuno deve saperlo! O non sono adatto per questa carica? No, non posso andare a raccontare che non riesco a vedere la stoffa! -
- E allora, non dice niente? - chiese uno dei tessitori.
- Oh! incantevoli, bellissimi! - esclamò il vecchio ministro, guardando da dietro gli occhiali. - Che splendidi disegni, che splendidi colori! Sì, sì ! dirò all’imperatore che mi piacciono in un modo straordinario! -
- Ah! ne siamo davvero contenti! - dissero i due tessitori, e presero a enumerare i colori e a spiegare la bizzarria del disegno. Il vecchio ministro stette bene a sentire per ripetere le stesse cose, quando fosse tornato dall’imperatore; e così fece.

Allora i due impostori chiesero altri soldi, e ancora seta e oro; l’oro occorreva per la tessitura. Si ficcarono tutto in tasca, e sul telaio non ci arrivò neanche un filo. Tuttavia essi seguitarono, come prima, a tessere sul telaio vuoto.

Dopo un po’ di tempo l’imperatore mandò un altro valente funzionario, a vedere come procedeva la tessitura, e a chiedere se la stoffa era finita. Gli successe proprio come al ministro; guardò, guardò; ma siccome non c’era niente all’infuori dei telai nudi, non potè vedere niente.

- Non è forse una bella stoffa? - dissero i due impostori; e gli mostravano e gli spiegavano il bellissimo disegno che non c’era per niente.

- Stupido che sono! - pensò l’uomo. - Dunque, vorrà dire che non sono degno della mia alta carica? Sarebbe molto strano! Ma non bisogna farsi scoprire ! - E così prese a lodare il tessuto che non vedeva, e parlò del piacere che gli davano quei bei colori e quei graziosi disegni.
- Sì, è proprio la stoffa piu bella del mondo! - disse all’imperatore.

Tutti i cittadini discorrevano di quella stoffa magnifica. Allora l’imperatore stesso volle andare a vederla mentre era ancora sul telaio. Con uno stuolo di uomini scelti, tra i quali anche quei due bravi funzionari che già c’erano stati, egli si recò dai due astuti imbroglioni che stavano tessendo con gran lena, ma senza un’ombra di filo.

- Eh!? non è "magnifique"? - dissero i due bravi funzionanari. - Guardi, Sua Maestà, che disegni, che colori! - E indicavano il telaio vuoto, perchè erano sicuri che gli altri la vedevano, la stoffa.
- Che mi succede? - pensò l’imperatore. - Non vedo nulla! Terribile, davvero! Sono stupido? O non sono degno di essere imperatore? Questa è la cosa piu spaventosa che mi poteva capitare! -
- Oh! bellissimo! - disse. - Vi concedo la mia suprema approvazione! - E annuiva soddisfatto, contemplando il telaio vuoto; non poteva mica dirlo, che non vedeva niente! Tutti quelli che s’era portato dietro, guardavano, guardavano, ma, per quanto guardassero, il risultato era uguale; eppure dissero, come l’imperatore:
- Oh! bellissimo! - E gli suggerirono di farsi fare, con quella stoffa meravigliosa, un vestito nuovo da indossare al grande corteo che era imminente.
- Magnifique! Carina, excellent! - dicevano l’un l’altro; e sembravano tutti profondamente felici, dicendo queste cose.

L’imperatore diede ai due impostori la Croce di Cavaliere da appendere all’occhiello e il titolo di Nobili Tessitori.

Per tutta la notte, prima del giorno in cui doveva aver luogo il corteo, gli imbroglioni restarono alzati con piu di sedici candele accese; tutti potevano vedere quanto avevano da fare per ultimare i vestiti nuovi dell’imperatore. Finsero di staccare la stoffa dal telaio, con grandi forbici tagliarono l’aria, cucirono con ago senza filo e dissero infine:

- Ecco, i vestiti sono pronti! - Giunse, allora, l’imperatore in persona, con i suoi più illustri cavalieri: e i due imbroglioni tenevano il braccio alzato come reggendo qualcosa e dicevano:
- Ecco i calzoni, ecco la giubba, ecco il mantello! - e così via di seguito.
- E’ una stoffa leggera come una tela di ragno! Si potrebbe quasi credere di non avere niente indosso, ma è appunto questo, il suo pregio! -
- Si! - dissero tutti i cavalieri, ma non vedevano niente, perchè non c’era niente.
- E adesso, vuole la Sua Imperiale Maestà graziosamente consentire a spogliarsi? - dissero i due imbroglioni.
- Così noi Le potremo mettere questi vestiti nuovi proprio qui, dinanzi alla specchiera! - L’imperatore si spogliò e i due imbroglioni fingevano di porgergli, pezzo per pezzo, gli abiti nuovi, che, secondo loro, andavano terminando di cucire; lo presero per la vita, come per legargli qualcosa stretto stretto: era lo strascico e l’imperatore si girava e si rigirava davanti allo specchio.
- Dio, come sta bene! Come donano al suo personale questi vestiti! - dicevano tutti.
- Che disegno! Che colori! E’ un costume prezioso ! -
- Qui fuori sono arrivati quelli col baldacchino che sarà tenuto aperto sulla testa di Sua Maestà durantc il corteo! - disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
- Si, eccomi pronto! - rispose l’imperatore. - Non è vero che sto proprio bene? - E si rigirò un’altra volta davanti allo specchio fingendo di contemplare la sua tenuta di gala.

I ciambellani che dovevano reggere lo strascico, finsero di raccoglierlo tastando per terra; e si mossero stringendo l’aria: non potevano mica far vedere che non vedevano niente!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2012 20.18
Titolo:Chiamato a partecipare al sinodo in qualità di «esperto» ...
IL "ROMANZO FAMILIARE" DEL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO E' FINITO, MA ENZO BIANCHI FA FINTA DI NIENTE E CONTINUA AD AMMIRARE "I VESTITI DELL'IMPERATORE"!!!

L’ARCA DELL’ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!!

FEDE E CARITA’ ("CHARITAS")!!! CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI") O A "MAMMONA" ( Benedetto XVI, "Deus caritas est"9?!

Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato! (FLS)

____________________________________________________________

La speranza che arriva dal Sinodo

di Enzo Bianchi (La Stampa, 28 ottobre 2012)

Si conclude oggi il sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica per una evangelizzazione rinnovata nel mondo contemporaneo, un mondo che muta rapidamente e che richiede ai cristiani un «aggiornamento», per usare l’espressione coniata dal Papa del Concilio, Giovanni XXIII.

Sono passati ormai cinquant’anni da quell’evento atteso, preparato e vissuto come una nuova pentecoste: da allora, più volte la Chiesa cattolica ha fatto ricorso allo strumento del sinodo per mettere a fuoco nuove problematiche e delineare scelte concrete per la vita dei cattolici.

Così, per tre settimane, circa duecentocinquanta vescovi, provenienti dalle diverse terre in cui vivono i cristiani, si sono ascoltati, hanno ricercato insieme, hanno discusso e dialogato. Chiamato da Benedetto XVI a partecipare al sinodo in qualità di «esperto», ho potuto essere testimone di questa assemblea di respiro mondiale e imparare ad assumere uno sguardo più informato e più attento sulle situazioni diverse e sui differenti problemi che attraversano la Chiesa.

Sì, per la Chiesa cattolica e per le chiese cristiane questo tempo sta sotto il segno della crisi: nelle terre di antica cristianità la trasmissione della fede conosce fatiche e intoppi, la Chiesa registra una diminuzione di membri e di vocazioni al suo interno e, in una società segnata dalla secolarizzazione, appare a volte minoritaria, periferica, marginale. Inoltre, la cultura instauratasi come dominante è sì per molti versi ancora ispirata al cristianesimo, ma sovente i valori che appaiono emergenti e performativi - valori che privilegiano l’individualismo e la negazione di ogni forma di solidarietà e di vincolo comunitario - non sono certo di supporto alla vita cristiana.

In Occidente il cristianesimo è ormai una via religiosa tra le altre e l’indifferentismo della società consumistica mette in affanno i cristiani che vorrebbero aiutare il cammino di umanizzazione attraverso l’annuncio stesso del Vangelo. D’altro canto, in continenti come il Sud America, l’Africa e l’Asia, la Chiesa cattolica, oltre al confronto con le altre religioni «storiche», conosce anche la concorrenza di sette cristiane, di spiritualità esoteriche e di fenomeni legati alla magia. Così, se il mondo è ancora «incantato», potremmo dire «religioso», tuttavia le chiese tradizionali sembrano incapaci di eloquenza.

È indubbio che oggi in Africa, in Medioriente, in Asia e ora anche nei Paesi dell’Occidente a causa dell’immigrazione, l’Islam con le sue diverse componenti costituisce una presenza che interroga: i padri sinodali provenienti dalle Chiese più direttamente implicate in questa non facile convivenza, hanno cercato di far conoscere con molto rispetto i loro problemi, le difficoltà che la dimensione missionaria incontra a causa della mancanza di libertà religiosa, il rischio che i cristiani - pur abitando da secoli, prima che l’Islam apparisse, le terre ora a maggioranza musulmana - siano percepiti come «Occidente», quasi degli intrusi nel loro stesso Paese, e siano spinti a emigrare.

Proprio per questo ho trovato straordinario poter ascoltare le voci di questi vescovi, tutte testimoni di un impegno nel dialogo, prive di accenti aggressivi o toni da crociata. La Chiesa è veramente mutata in questi ultimi cinquant’anni: non più ostilità verso gli «infedeli», ma dialogo, comune responsabilità per il bene della società, ricerca di pace tra le religioni, libertà di coscienza, affermazione della necessaria «ragione umana» in ogni dottrina religiosa...

La Chiesa non vuole promuovere un proselitismo che imponga il Vangelo o seduca gli uomini, ma vuole che la Buona Notizia possa essere ascoltata da tutti, perché ogni essere umano ne ha il diritto. Per questo si impegna a evangelizzare innanzitutto se stessa e quindi a offrire una vita che abbia senso, un messaggio che affermi che l’amore vissuto può vincere la morte.

Ma la Chiesa nella sua opera evangelizzatrice è consapevole che il mondo non è un deserto, un vuoto senza bene e senza valori, bensì un mondo in attesa di risposte adeguate, un mondo ogni giorno abitato e plasmato dall’uomo che è sempre un figlio di Dio, una creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio, dunque capace del bene, anche se a volte il male la ferisce e la rende disumana.

Per annunciare il Vangelo, i cristiani devono allora ascoltare il mondo, conoscerlo, leggerne le gioie e le sofferenze e, soprattutto, discernere in esso i «poveri», gli ultimi, le vittime del potere e di quanti dispongono della ricchezza e non si curano degli altri. Se Gesù ha dichiarato di essere venuto a portare la buona notizia del Vangelo ai poveri, la Chiesa non può fare altrimenti perché, al seguito del suo Signore, è chiamata a essere innanzitutto Chiesa povera e di poveri.

Se qualcuno si attendeva dal sinodo parole di speranza e di bontà per le quotidiane storie di amore che oggi appaiono faticose, contraddette e non sempre adeguate all’ideale di fedeltà e di unione proposto dal Vangelo, queste parole sono state dette e ascoltate: si è ribadito a più riprese che l’amore del Signore resta fedele anche quando ci sono situazioni di infedeltà, perché la Chiesa è casa di tutti i battezzati, anche di quelli che vivono situazioni di contraddizione al Vangelo. Sì, l’evento del sinodo, ormai «ordinario» nella vita della Chiesa cattolica, ha dato un messaggio di speranza ai fedeli, ma ha anche indicato a quanti non appartengono alla Chiesa e se ne proclamano estranei che i cristiani che vivono in mezzo a loro partecipano senza esenzioni alla costruzione di una convivenza più umanizzata e sanno di dover essere portatori di fiducia e di speranza.

La Chiesa è impegnata più che mai nel dialogo con la post-modernità, nella consapevolezza che ciò che le risulta faticoso - ma che costituisce la sua opera più propria - è vivere il Vangelo: questo il mandato ricevuto da Gesù. Realizzare il Vangelo è compito sempre arduo, a volte appare persino impossibile, eppure ai cristiani questo solo è richiesto se vogliono assolvere l’unico vero debito che hanno verso tutti.
Autore Città Giorno Ora
Vincenzo Napolitano Quadrelle ( Av) 29/10/2012 16.54
Titolo:Fuori i mercanti dal tempio
Non sono molto pratico di religione, perche' l' ho sempre considerata come l' oppio dei popoli, ne' da ragazzo mi interessava l'ora di religione ( con qualche sacerdote che magari si addormentava durante la lezione).
Posso dire sulla questione dei cappellani militari, che e' un vero e proprio ossimoro : benedici, proteggi, confessi chi si arroga il diritto di ucidere un proprio simile.
In quanto ai fumi diabolici che infestano la Chiesa e' il giusto risultato delle contraddizioni in cui si barcamena da millenni.
ratzinger cerca ora il colpo di coda ( del diavolo) per ridare dignita' ad una potenza massonica, che comunque continua ad avere consitenza ed influenza in Italia.
Adesso vogliono iniziare, sembra, ad attuare i precetti del Concilio Vaticano II. pur sempre di precetti si tratta, anche se risultato di una teologia di liberazione.
E' una tattica, perche' il Vaticano, che ha ormai invaso tutte le sfere della nuova italia clerico-fascista, vuol darsi una verginita'ed un ruolo importante nel nuovo ordine mondiale costituitosi.
Doveremmo noi cacciare i mercanti dal tempio ?? Il loro tempio ove hanno edificato e progettato un ' Italia neo autoritaria.
O i preti e sacerdoti che catechizzano con il loro " logos" patristico i nostri figli ??
Autore Città Giorno Ora
Giorgio Forti Milano 04/11/2012 19.13
Titolo:Chiesa e Stato Vaticano
Sono anch'io contrario alla politica dello Stato Città del Vaticano, che considero tutt'altra cosa rispetto alla Chiesa fondata da Gesù Cristo. Il Vaticano è un'istituzione della storia umana, anacronistica rispetto ai tempi moderni che non prevedono più l'istituto della monarchia assoluta.Tuttavia, mi sembra che Sarrubi, che se non sbaglio è sacerdote cattolico,trascuri molti fatti della vita della Chiesa che nhon sono affatto spregevoli, come lui sembra considerarli: se non altro, la continuità dell'insegnamento di fondamentali valori, anche quando l'istituzione chiesa non li praticava. Il tono eccessivamente astioso di Sarrubi nuoce al messaggio che vuol comunicare, almeno così sembra.
Giorgio Forti
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 04/11/2012 23.52
Titolo:Non sono affatto un sacerdote cattolico
Liberi tutti di considerare astioso questo mio intervento, ma non sono affatto un sacerdote cattolico. Non capisco proprio da dove salta fuori questa qualifica.

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