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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org 75+75=100,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
75+75=100

di Giovanni Sarubbi

«Signorina, signorina, dove sta, chi è, la signorina, quale signorina, hai detto signorina, è entrata la signorina, avanti, animale signorina è l'intestazione autonoma della lettera,
signorina
veniamo noi con questa mia adirvi una parola che scusate se sono poche ma settecentomila lire; noi ci fanno specie che questanno una parola ce stato una grande moria delle vacche come voi ben sapete. : ma si fai avvedere che abbondiamo, abbondandis adbondandum. questa moneta servono a che voi vi consolate dai dispiacere che avreta che avreta e già è femminile perchè (è aggettivo qualificativo no) perchè dovete lasciare nostro nipote che gli zii che siamo noi medesimo di persona vi mandano questo perché il giovanotto è studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto cioè sul collo.;.; , troppa roba, lascia fare che dicono che noi siamo provinciale che siamo tirati, salutandovi indistintamente, sbrigati i fratelli caponi apri una partente dici (che siamonoi) hai aperto una parente? Chiudila. Volevi aggiungere qualcosa, senza nulla a pretendere non c'è bisogno, in data odierna, quello poi si capisce. piega i lembi, chiudi, andiamo»

(Trascrizione della famosa lettera che Totò detta a Peppino nel film “Totò peppino e la Malafemmina”. La scena può essere vista al seguente link: youtube.com . In altri film successivi altre coppie di comici Italiani si sono cimentati nella dettatura di una lettera prendendo spunto da quella di Totò e Peppino)

Condivido completamente le analisi fatte dall'amico Gianni Mula nei suoi articoli sul “furto di informazione (vedi il primo Il furto di informazione e le nuove generazioni, e l'ultimo Sulle attuali risse tra economisti).

Al concetto di “furto di informazioni”, cioè informazioni che vengono negate e sottratte alla pubblica conoscenza, io aggiungerei anche quello di “mistificazione delle informazioni”, di completo rovesciamento della realtà che passa attraverso lo stravolgimento della nostra stessa lingua, con l'invenzione di una vera e propria “neolingua” che viene realizzata in vario modo: negli articoli pubblicati sui vari quotidiani stampati oppure on-line; nei film e filmetti di cui abbondano le nostre TV; nelle pubblicità commerciali di tutti i tipi al ritmo di 3000 al giorno (cosicché chi accende una TV non può in alcun modo evitare di assorbire la sua dose quotidiana di veleno) ; negli strumenti tecnologici che usiamo tutti i giorni (cellulari, palmari, tablet ecc); ma anche, infine, nei cosiddetti social-network (facebook e Youtube in primis) che trasmettono una realtà completamente distorta. Per i social-network basti l'esempio dei tasti “mi piace” o “non mi piace” che vengono proposti su ogni frase o immagine o filmato che viene pubblicato su questi social-network. Ne parlai all'inizio di quest'anno (scusate l'autocitazione) in un editoriale dal titolo: “impedire l'ennesima guerra” , nel quale riportavo i dati dei “mi piace” e “non mi piace” posti in calce ad un film orribile sulla guerra in Siria. In quella occasione, notai come siamo oramai alla completa inversione della realtà perché i “mi piace” erano 714 e i “non mi piace” solo 9. Mi spiegarono allora che si dice “mi piace” per esprimere non compiacimento per il filmato in se (che è il senso della espressione “mi piace”) bensì per esprimere la condivisione della denuncia della violenza che quel filmato metteva in evidenza. Un filmato mostruoso invece di generare repulsione si trasforma così in consenso per chi lo ha diffuso e pubblicato. Cioè una espressione significa una cosa ma viene interpretata in senso inverso, quindi le parole non hanno più senso.

Come siamo arrivati a tanto e, soprattutto, riusciremo a venirne fuori?

Già qualche anno fa parlai (scusatemi di nuovo per l'autocitazione) della nuova lingua che i giovani usavano per scambiarsi messaggi attraverso i telefonini. Mi era capitato per le mani un cellulare di una delle mie figlie e avevo letto un testo che sembrava scritto da un marziano. Poi guardando meglio riuscii a decifrare il contenuto. Dato che i messaggi potevano essere molto corti, e i singoli messaggi costavano molto, per scrivere di più e rientrare nella lunghezza standard, i ragazzi eliminarono tutte le vocali e usarono, per esempio, il numero “6” per evitare di scrivere “sei” o la “x” per evitare di scrivere “per” o “+” per evitare di scrivere “più”. Per economizzare, quindi per un fatto economico, i ragazzi nati negli ultimi 20-25 anni non solo non sanno più scrivere una singola parola in modo corretto (sbagliano il genere maschile o femminile, il singolare o il plurale, o perdono per strada singole lettere che cambiano il senso stesso delle parole, non conoscono l'etimologia delle parole) ma non sanno più scrivere una frase completa in modo corretto. La punteggiatura, come nel filmato della lettera di Totò e Peppino, è una cosa a piacere, che non segue regole precise. La si può mettere all'inizio o alla fine di un testo, tutto fa brodo. Non parliamo poi della sintassi, soggetto predicato complemento oggetto, che sono dei veri e propri oggetti misteriosi. Mi capita sovente, ad esempio, di leggere testi dove le “virgole” vengono sostituite con le “e”. Dove ci vorrebbe una virgola viene cioè usata la “e” (la “copula” di cui nessuno sa più il significato e l'uso) cambiando radicalmente il senso dalla frase. E il guaio è che chi scrive così, e sono abbastanza pochi rispetto alla massa, è convinto poi di scrivere bene e di essere un valido scrittore. Come dire: “beati quelli che hanno un occhio solo in una terra di ciechi”. Mi è capitato di dire ad un giovane iscritto ad una facoltà di giornalismo che i suoi “incipit” erano sbagliati, non significavano nulla, doveva cambiarli. Il successivo testo che mi mandò da visionare iniziò con una frase che conteneva la parola “incipit”, dimostrando di non aver capito nulla di quanto gli avevo detto. Inesistente poi un minimo di ordine e di linearità in quello che viene scritto. Frasi scritte senza un nesso logico fra di loro e senza significato. Ed il guaio è che molti giornali locali stampati oppure on-line, spesso realizzati da giovani sottopagati o non pagati per nulla, sono scritti nel modo che prima descrivevo e sono magari quelli più letti a livello locale. Cosa capiranno quelli che li leggono?

Siamo cioè all'analfabetismo di ritorno denunciato un anno fa circa da Tullio de Mauro (uno dei massimi linguisti italiani viventi) che durante un convegno diede dati allarmanti su cui ovviamente nessuno ha riflettuto a livello politico, perché c'è interesse ad avere un popolo ignorante ed incapace di intendere la propria stessa lingua. Secondo De Mauro il 71 per cento della popolazione non riesce a comprendere un testo di media difficoltà. Solo un misero 20 per cento possiede competenze minime «per orientarsi e risolvere, attraverso l'uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana». La lettura di testi elementari è alla portata di appena il 33 per cento degli italiani. Persino fra gli studenti universitari la conoscenza delle strutture grammaticali e sintattiche è pressoché assente.

Il nostro amico Federico La Sala da diversi anni contesta Papa Benedetto XVI per l'uso che egli fa della parola latina “caritas”, tradotta con la parola italiana “carità” mentre significa in realtà “cosa a caro prezzo”, al posto della parola “charitas”, con la “h”, che è quella che in latino equivale alla parola italiana “carità”. Ma chi oggi è in grado di capire questa sua giustissima osservazione? E, soprattutto, perché nessun professore di latino ha fatto notare a Benedetto XVI questo suo stravolgimento e mistificazione della lingua latina che lui tanto predilige?

A un popolo che è in queste condizioni si può far credere che gli asini volino oppure, come nel famoso romanzo “Fontamara” di Ignazio Silone, che sia possibile dividere qualcosa in due parti ognuna delle quali è “tre quarti” del totale. Un totale di cento patate si potrebbe così dividere in due parti di 75 patate l'una. Cioè 75+75=100 . Oltre alla neolingua anche la "neomatematica", quella usata dagli economisti neoliberisti per imbrogliare la gente e difendere i propri padroni che li pagano profumatamente.

Giovanni Sarubbi




Domenica 23 Settembre,2012 Ore: 01:09
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 09.14
Titolo:LA PAROLA: UNA QUESTIONE DI VITA E DI MORTE . Dalla parola di Dio-Amore alla pa...
CARO GIOVANNI ....

QUANTO SIA DECISIVA E IMPORTANTE "LA PAROLA", E' QUANTO SIA IMPORTANTE E DECISIVO CONTRASTARE IL FURTO E LA MISTIFICAZIONE DI ESSA E' TUTTA LA STORIA DEL'UMANITA' CHE CE LO DICE.

APPRODARE DOPO MILLENNI A UNA CHIESA CHE INVECE DI PORTARE LA PAROLA DEL DIO DI GESU' ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8) LA PAROLA DEL DIO DI BENEDETTO XVI ("DEU CARITAS EST", ROMA 2006 d. C) significa che siamo arrivati proprio al capolinea: si spaccia "Mammona" per "Amore"!!!

Per cogliere rapidamente la portata dell'evento, vale la pena leggersi questa "storiella" dell'Acca in fuga di GIANNI RODARI. Non c'è bisogno di alcun commento:


- L’Acca in fuga

- di Gianni Rodari

- C’era una volta un’Acca.

- Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo
- sapeva. Perciò non montava in superbia, restava
- al suo posto e sopportava con pazienza le beffe
- delle sue compagne.
- Esse le dicevano:

- E così, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto?
- Con quella faccia?

- Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?

- Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci
- sono paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.

- " Voglio andare in Germania, - pensava l’Acca,
- quand’era- più triste del solito. - Mi hanno detto
- che lassù le Acca sono importantissime ".

- Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza
- dire né uno né due, mise le sue poche robe in un
- fagotto e si mise in viaggio con l’autostop.

- Apriti cielo! Quel che successe da un momento
- all’altro, a causa di quella fuga, non si può
- nemmeno descrivere.

- Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i
- bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo
- leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre,
- aranciate e granatine in ghiaccio un po’ dappertutto.

- In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini:
- levargli l’acca, era stato come levargli le ali.

- Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto
- fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all’aperto.

- Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano
- meno delle casseruole.

- Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore
- disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché
- i bicchieri, diventati " biccieri", schiattavano in
- mille pezzi.

- Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando
- le Acca sparirono: il "ciodo" si squagliò sotto il
- martello peggio che se fosse stato di burro.

- La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non
- un solo gallo riuscì a fare chicchirichi’: facevano
- tutti ciccirici, e pareva che starnutissero.
- Si temette un’epidemia.

- Cominciò una gran caccia all’uomo, anzi, scusate,
- all’Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di
- raddoppiare la vigilanza. L’Acca fu scoperta nelle
- vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare
- clandestinamente in Austria, perché non aveva
- passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti
- con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non
- riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di
- Dante Alighieri. Guardi, qui c’è una petizione degli
- abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare.
- E questa è una lettera del capo-stazione di
- Chiusi-Chianciano, che senza di lei
- diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano:
- sarebbe una degradazione

- L’Acca era di buon cuore, ve l’ho già detto. È rimasta,
- con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome
- chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto,
- altrimenti ci pianterà in asso un’altra volta.

- Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con
- gli "occiali" senz’acca non ci vedo da qui a lì.


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 09.31
Titolo:DIO E’ AMORE ("CHARITAS"), MA NON PER BENEDETTO XVI ...
P.S.:


DIO E’ AMORE ("CHARITAS"), MA NON PER IL CATTOLICESIMO-ROMANO! Una gerarchia senza Grazie (greco: Χάριτες - Charites) e un papa che scambia la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") con il "caro-prezzo" (latino: !caritas" - da "carus", nel doppio senso di affetto e prezzo, valore), del Dio Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).


Federico La Sala

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