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www.ildialogo.org Disintossicarsi,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Disintossicarsi

di Giovanni Sarubbi

Per un'intera settimana i mass-media, da quelli radio televisivi a quelli sulla carta stampata, hanno fatto da cassa di risonanza a tutti i più piccoli sospiri che sono venuti dalla Lega Nord. Addirittura ben due reti televisive, La7 e Sky, hanno mandato in diretta la manifestazione del cosiddetto “orgoglio padano”, dove persone adulte e non proprio in odore di santità, giocavano con scope e bandiere leghiste in mano a chi ce lo avesse più duro (o a chi pisciasse più lontano, che è lo stesso). Uno spettacolo indecente e disgustoso, che avrebbe dovuto essere censurato per l'evidente pornografia che veniva messa in scena. Così non è stato.

Non altrettanto spazio, nessuna trasmissione in diretta, per la manifestazione degli “esodati”, termine orribile dietro cui ci sono persone anziane cacciate dal ciclo produttivo e avviate alla pensione sulla base di accordi con le aziende e su una normativa che il governo ha cambiato in corso d'opera. Queste persone si troveranno, subito o fra qualche anno, senza lavoro e senza pensione. E senza neanche un invito a pranzo e a cena a casa della Confindustria o del Governo che si palleggiano le responsabilità, come succede quando qualcuno viene trovato con le mani nel sacco o nella marmellata che dir si voglia.

Dalle mie parti si dice che “la merda più la rivolti e più puzza” e, anche se i mass-media non sono ancora riusciti a trasmetterla fisicamente, in questa settimana la puzza si è sentita tutta.

Intanto i suicidi continuano. Secondo l'agenzia Ansa, saremmo arrivati a quota 23 dall'inizio dell'anno. L'ultimo quello di un piccolo imprenditore di Treviso, del mitico Nord-est che è in piena crisi economica.

Ed è questa crisi economica che sta dietro la crisi della Lega e all'enorme spazio che è stata data alle indegne pagliacciate andate in onda a rete unificate. Si sta cercando, in sostanza, partendo dallo scandalo Lega Nord, di rilanciare per l'ennesima volta la “questione settentrionale” ancora una volta ai danni dell'intero paese e del sud in particolare.

Nei tempi orwelliani che viviamo, quelli dove la pace diventa guerra e la guerra diventa pace, non poteva essere diversamente. La vera questione esistente nel nostro paese, che è quella meridionale dai tempi dell'unità d'Italia, viene cancellata e ridotta a pura incapacità dei gruppi dirigenti locali o a subordinazione al potere mafioso (fenomeni che certo pure esistono ma che esistono altrettanto diffusi al nord) mentre si inventa di sana pianta una “questione settentrionale” che ha avuto l'unico scopo di drenare decine e decine di miliardi verso gli industriali del nord, verso i piccoli padroncini legati alla lega, verso un capitalismo selvaggio basato sulla evasione fiscale (come gli ultimi sequestri della Guardia di Finanza hanno messo in luce) per centinaia e centinaia di milioni di euro. Un capitalismo che ora è imploso e che ha bisogno di nuovo di agitare la “questione settentrionale” per continuare a drenare risorse e a consentire ai soliti noti di aumentare i propri capitali e i propri profitti o di sanare le proprie posizioni debitorie. La Lega ha garantito negli ultimi vent'anni il consenso sociale attorno a questo modello, fatto per i lavoratori di bassi salari e lavoro straordinario diffuso, di doppi lavori a nero, di tolleranza e giustificazione morale e politico verso l'evasione fiscale che sarebbe diventata addirittura “fonte di lavoro per la gente del nord”.

Non contenti di aver cancellato la questione meridionale dalla Carta Costituzionale, con la modifica dell'articolo 119 che prevedeva l'erogazione di contributi speciali per il mezzogiorno e le Isole (modifica fatta dal governo di centro-sinistra che lo concordò con la destra nella oramai tristemente famosa commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema) di nuovo va in scena il nord contro il sud del paese, di nuovo va in scena un nord famelico e cieco che ha portato il paese alla crisi attuale. Di nuovo si vuole rendere endemica una realtà, come quella meridionale, dove il 40% della popolazione vive sulla soglia di povertà e basta un nonnulla, una malattia, un qualsiasi incidente, un licenziamento per distruggere una famiglia o intere aree, come sta avvenendo in Sardegna, in Campania o in Sicilia.

Una cosa è certa: la politica economica fatta da trent'anni a questa parte è completamente fallita. Il togliere al sud per dare al nord, tanto sbandierato dai leghisti, è fallito e a pagarne le conseguenze sono anche gli operai del nord, e non solo quelli del sud, che sono stati licenziati e sono costretti a rubare nei supermercati per poter campare, come e più di quelli del sud e nessun leghista è andato a difenderli o è stato in grado di cambiare le decisione dei “sciur padrun” che hanno pensato solo ai propri conti in banca e ai propri affari.

Non basteranno pagliacciate come quelle andate in onda a rete unificate in questa settimana per rimettere in moto l'economia, ne l'invenzione di espressioni quali quella di “barbari sognanti” affibbiata al gruppo di squali che all'interno della Lega sta mangiando gli squali più vecchi.

Per rimettere in moto l'economia bisogna semplicemente smetterla di togliere ai poveri per dare ai ricchi. Bisogna anzi fare l'esatto contrario, togliere ai ricchi in grande quantità per dare ai poveri in altrettanto grande quantità, cancellando definitivamente dall'immaginario collettivo quell'idea folle che si racchiude nell'espressione “privato è bello” e che viene invece idolatrata quotidianamente da tutti i partiti presenti attualmente in Parlamento, dal Governo, dalla Confindustria, da una parte dei sindacati e che ha infettato i mass media e tutta l'opinione pubblica. Prima ci disintossichiamo da questo veleno, meglio è.

Giovanni Sarubbi



Domenica 15 Aprile,2012 Ore: 11:01
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/4/2012 15.44
Titolo:Imprenditori in crisi. La catena di suicidi ...
Imprenditori in crisi. La catena di suicidi

Gruppi d'ascolto e psicologi in rete

I pionieri solidali

di Dario Di Vico (Corriere della Sera, 15.04.2012)


All'Istat sono molto cauti e invitano a non fare di tutt'erba un fascio. Di sicuro le evidenze della cronaca portano a dire che in Italia già durante il 2011, ma ancor più nei primi mesi del 2012, si è registrato un preoccupante incremento dei «suicidi economici». Le storie, anche sommarie, che vengono dai luoghi delle disgrazie sono monocordi nella loro drammaticità. Parlano di aziende indebitate, di pagamenti che non arrivano, di posti di lavoro persi e più in generale di un senso di esclusione e fragilità che conduce a scelte dissennate. Separare poi le cause «pubbliche» da quelle private, scindere la condizione socio-economica da quella riconducibile a traumi avvenuti nell'ambito della vita familiare è un'operazione estremamente difficile.

L'Istat usa nelle statistiche sul movente la categoria di «suicidio economico» e gli ultimi dati disponibili riferiti all'anno 2010 ne contano 187 su un totale di 3.048, appena il 6%. La causa principale dei decessi auto procurati restano le malattie fisiche o psichiche, ma è anche vero che un 30% abbondante delle morti resta classificata con «movente ignoto o non indicato» a conferma delle difficoltà che la statistica ufficiale trova in un campo così delicato.

Complessivamente il numero dei suicidi in Italia è stabile (già nel 2006 erano 3.061) e non è stato influenzato dai primi anni della crisi. Nel 2009 addirittura era leggermente sceso (2.986). Quella che evidentemente è cambiata nel frattempo è la notiziabilità dei suicidi economici che visto lo spirito del tempo si impongono all'attenzione dell'opinione pubblica e dei media in maniera molto più forte che in passato.

Se gli statistici invitano alla prudenza nel sottolineare l'esplosione del fenomeno, gli psicologi mettono in guardia dai meccanismi di emulazione che sono inevitabilmente connessi ai suicidi.

La gravità della crisi e in qualche maniera la condivisione sociale del drammatico gesto possono funzionare da volano, convincere gli indecisi a indossare il vestito di una morte, a suo modo, eroica. Meglio, dunque, circoscrivere il campo, maneggiare con cura i numeri ed evitare di strumentalizzare le vittime per polemizzare con l'avversario politico o con il sistema bancario.

Per motivare la gravità della recessione, la profondità delle sue ricadute sociali e gli errori delle classi dirigenti non c'è bisogno di forzare il conta-suicidi, basta leggere con attenzione i bollettini (di guerra) delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati. È evidente, comunque, come la percezione del disastro economico nel giro di pochi mesi sia profondamente cambiata.

I sondaggisti non si stancano di raccontare come solo fino al luglio 2011 gli italiani si dichiarassero pessimisti sul futuro dell'Azienda Paese, ma tutto sommato convinti che personalmente se la sarebbero cavata. Adesso non è più così, il velo delle illusioni si è diradato ed è subentrato un cupo realismo.

Accanto alla contabilità dei drammi è però scattata lodevolmente un'attività di prevenzione che si sta allargando un po' in tutto il Paese, in special modo al Nord. La prima iniziativa è stata quella di Terraferma che su spinta dell'imprenditore Massimo Mazzucchelli ha coinvolto un gruppo di psicologi in funzione di pronto soccorso degli artigiani e commercianti in difficoltà.

A Padova si era già sperimentata lo scorso anno la strada del telefono amico e si è tornati a costruire iniziative di prevenzione e solidarietà. Qualcosa del genere hanno fatto anche la Confartigianato di Asolo-Montebelluna e la Cna di Modena ed è significativo che dopo il Veneto si siano mosse anche le associazioni emiliane a sottolineare come la crisi stia uniformando le reazioni anche in contesti socio-politici molto differenti tra loro.

Per dirla in poche parole il rischio-suicidio non sussiste solo nel Veneto degli «sghei», ma anche nell'Emilia rossa e coesa. È ancora presto per verificare l'efficacia sul territorio di queste iniziative pioneristiche, ma è importantissimo che si propaghi l'eco della solidarietà, che all'imprenditore depresso arrivi il messaggio di un'antropologia positiva in movimento.

È chiaro che un'azione di supporto e di accompagnamento si deve saldare con l'attenuazione di alcune delle cause principali della depressione dei Piccoli. Il rapporto con il sistema bancario è ancora squilibrato, i grandi clienti non devono fare anticamera e escono soddisfatti, ad artigiani e commercianti il credito viene quantomeno lesinato. Il governo sembra avere preso l'iniziativa e il 19 ci sarà un incontro tra il ministro Corrado Passera e i vertici dell'Abi. Lo seguiremo.

Quanto all'altro grande tema, quello dei mancati pagamenti della pubblica amministrazione, è stato annunciato un passo in avanti nella formulazione di una soluzione-ponte. L'attesa è stata già lunga, sarebbe meglio non protrarla. Il Paese è in sofferenza e questa verità non può essere negata da nessuna statistica.
Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 16/4/2012 07.45
Titolo:SOCIETA' ATTOSSICATA
L'articolo del Direttore Sarubbi è ben espresso dal titolo: disintossicarsi. Articolo da condividere in pieno e da far girare. Il vero problema è, per usare un aggettivo di Jaocopone da Todi ne "Il pianto della Madonna", che la nostra società è attossicata e non sarà facile disintossicarla e disintossicarci. I grandi soloni dell'informazione parlata e scritta usano spesso un'immagine, quella del dito e della Luna, per dare elegantemente dello stolto a chi guarda il dito, anzichè la Luna. Hanno una pretesa:quella di essere loro a decidere quale sia il dito e quale sia la Luna.
E ci attossicano.
Non è da ieri che è così, ma da lunga pezza.
Passa l'informazione declamata e conclamata di quel che essi decidono che sia vera informazione.
Siamo stati flagellati - da un bel po' di tempo a questa parte - da notizie interessantissime: i bunga bunga, le serate di Arcore o di Hardcore che è lo stesso, le olgettine, le nipoti di Mubarak e le igieniste dentali, i vulcani di villa Certosa, i viaggi di don Verzè, la lista spese del Trota e gli importi per il rifacimento della terrazza della casa di Gemonio del vecchio Bossi. Senza queste ed altre notizie simili non ce l'avremmo fatta ad andare avanti. A noi di cosa succede a L'Aquila un paio d'anni dopo il terremoto, importa poco e non c'importa nulla della cementificazione delle coste, della gente senza lavoro, dei giovani in crescente tasso di disoccupazione, degli anziani che non arrivano alla fine del mese e devono anche pagare il ticket per le prestazioni sanitarie. A noi deve importare poco degli asili nido che chiudono per mancanza di fondi e per noi non deve essere motizia che Pompei stia crollando e con essa tutto il patrimonio artistico italiano.
Le vere notizie sono altre.

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