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www.ildialogo.org Pillole di Costituzione (4),di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Pillole di Costituzione (4)

di Giovanni Sarubbi

L'art. 3


Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

L'art. 3 è sicuramente uno dei perni fondamentali della nostra Costituzione. Siamo tutti uguali davanti alla legge, tutti abbiamo la stessa “dignità sociale”. Non può esistere chi abbia “più dignità di altri davanti alla legge”, davanti cioè alle regole di convivenza sancite dalla Carta Costituzionale e dalle leggi ad essa sottoposte. Nessuna discriminazione è possibile per nessun motivo al mondo. Vengono enumerati alcuni di questi motivi che sono il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche le condizioni personali e sociali. Ma questo elenco non è esaustivo. Non sarebbe possibile, per esempio, discriminare chi ha i capelli rossi sol perchè questa caratteristica non è stata enumerata in dettaglio, rientrando essa nel più generale concetto di “condizioni personali e sociali”.

L'enumerazione contenuta nel primo comma tratta le principali forme di discriminazione messe in atto nel corso dei millenni dalla società umana.

La prima è sicuramente quella del sesso, con riferimento evidentemente al sesso femminile, oggetto da tempo immemorabile di discriminazioni fortissime con le più svariate motivazioni, riscontrabili anche nelle pratiche e nei testi di molte religioni di vasta diffusione.

La seconda è quella relativa alle discriminazioni razziali. Questa norma è particolarmente importante perché l'Italia fascista, prima dell'inizio della tragedia della Seconda Guerra Mondiale, aveva approvato le leggi antiebraiche e razziali che “erano la negazione stessa di qualsivoglia diritto, ma che tuttavia, muovendo dalla negazione radicale di quelle regole basilari che costituiscono punto di partenza della legislazione civile, hanno finito per scuotere dalle fondamenta ogni settore dell'ordinamento giuridico italiano”[1]. Il divieto di discriminazioni razziali era dunque imprescindibile per la ricostruzione di regole civili di convivenza. La scienza, nei decenni successivi, ha poi dimostrato inequivocabilmente che lo stesso concetto di razza non ha alcun fondamento scientifico come invece sosteneva “il manifesto della razza” che precedette l'infamia delle leggi razziali[2].

Sono poi escluse discriminazioni legate alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche.

Anche su questi tre aspetti il fascismo si era distinto per le sue discriminazioni. Le religioni diverse da quella cattolica sono state generalmente perseguitate o quanto meno rigidamente controllate (vedi la Legge numero 1159 del 1929). Ne hanno fatto le spese, ad esempio, i pentecostali o i Testimoni di Geova, o altre confessioni protestanti. Lo stesso dicasi per le opinioni politiche visto che sotto il regime fascista non era possibile non solo organizzare più partiti ma neppure dissentire pubblicamente dalle tesi del partito unico fascista.

Il secondo comma dell'art. 3 dice con chiarezza che “l'uguaglianza fra tutti i cittadini non è solo formale, non si ferma cioè sul piano dell'enunciazione dei principi; ma è sostanziale, deve essere realizzato nella pratica”[3].

Significa che situazioni simili vanno disciplinate in modo uguale e situazioni diverse in modo differenziato, in modo che nessuno sia discriminato, e “tutti i lavoratori” possano partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.

E' importante che nell'art. 3 venga specificata la categoria dei “lavoratori” come persone verso le quali lo Stato deve dedicare una particolare attenzione per la loro evidente condizione di inferiorità derivante dall'essere dipendenti economicamente da soggetti più forti quali i padroni di imprese.

Viene anche qui ribadito la necessità di avere una società dove vi siano condizioni di equilibrio economico e sociale che garantiscano a tutti di realizzarsi completamente. Se tutte le risorse economiche stanno solo da una parte evidentemente gli squilibri sociali che ne derivano impediscono l'effettivo esercizio di uguali diritti per tutti.

Rispetto alla situazione oggi esistente è del tutto evidente come l'art. 3 della nostra Costituzione sia ampiamente violato sia dai comportamenti dei governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni, sia dai comportamenti concreti di grandi imprenditori o delle loro associazioni.

Innanzitutto ci troviamo di fronte ad una disparità economica enorme con il 10% delle famiglie che possiede il 50% della ricchezza nazionale. Questo 10% di ultra ricchi è anche quello che evade sistematicamente le tasse e che pratica una economia che non rispetta affatto il criterio dell'art. 41 della Costituzione sulla finalità sociale della iniziativa economica. Ma questo 10% di famiglie tende anche a ridurre costantemente il potere di acquisto dei lavoratori al solo fine di aumentare i propri profitti, imponendo contratti capestro ai propri dipendenti (vedi FIAT) che vengono per di più discriminati rispetto alle loro opinioni politiche e alla loro iscrizione ad uno specifico sindacato. E sono sempre le organizzazioni padronali che vogliono l'abrogazione di quelle norme, come l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che proibiscono i licenziamenti discriminatori. Se questo art. 18 fosse cancellato verrebbe cancellato di fatto anche l'art. 3 della Costituzione.

Ma lo Stato ha violato più e più volte l'art. 3 della Costituzione con le leggi riguardanti i migranti, vere e proprie riedizione delle leggi razziali fasciste, che sono state più e più volte bocciate dalle Corti di Giustizia in sede europea e dalla stessa Corte Costituzionale. Ma lo Stato ha più e più volte discriminato la religione islamica, impedendo ad esempio che si potessero costruire moschee, o la stessa lingua araba, che è la lingua del Corano usata nelle riunioni religiose islamiche. Ma, oltre ai musulmani, veri e propri pogrom sono stati messi in atto dal leghista Maroni, ministro degli interni nell'ultimo governo Berlusconi, contro i Rom. E veri e propri campi di concentramento sono stati messi in piedi in tutti Italia per rinchiudere persone che non hanno commesso alcun reato, quali sono i migranti, per i quali è stato inventato il “reato di clandestinità”, mettendo in atto quello stravolgimento dell'ordinamento giuridico italiano realizzato ai tempi delle leggi razziali fasciste.

E contro i migranti sono stati realizzati trattati internazionali, con la Libia, che hanno condotto al massacro di migliaia di migranti nel mar Mediterraneo o al respingimento di richiedenti asilo, che sono poi morti in Libia,  anche questo condannato recentemente dalla Corte di Giustizia europea. Senza dimenticare le discriminazioni condotte nei confronti dei bambini figli di migranti nati in Italia su cui siamo più volte intervenuti (vedi sezione no razzismo).

Infine come dimenticare le leggi ad personam, anche queste bocciate dalla Corte Costituzionale, che garantivano trattamenti particolare alle cinque più alte cariche dello Stato, in spregio proprio del principio della pari dignità sociale dei cittadini di fronte alla legge?

Giovanni Sarubbi

NOTE

[1] Giuseppe Acerbi, Le leggi antiebraiche e razziali italiane ed il ceto dei giuristi, Giuffrè Editore 2011, pag. VII

[2] Il punto 3 del “Manifesto della razza” così testualmente dichiarava: “IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO”.

[3] Michele Del Gaudio, Vi racconto la Costituzione, Editori Riuniti, 1995

Per le altre Pillole di Costituzione vedi la sezione Editoriali



Domenica 04 Marzo,2012 Ore: 10:21
 
 
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