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www.ildialogo.org La storia condanna sempre i peccati di omissione,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
La storia condanna sempre i peccati di omissione

di Giovanni Sarubbi

 La politica italiana, a tutti i livelli, si arrotola su se stessa. Tranne poche eccezioni, si assiste a discorsi ripetitivi, logorroici, autoreferenziali, lontani mille miglia dal sentire comune della gente e, soprattutto, permeati da una visione proprietaria della politica, con i partiti trasformati in proprietà privata dei segretari nazionali e via via giù fino ai segretari di sezione comunale, la dove ancora esistono. In Irpinia, dove vivo, si assiste a continue iniziative “politiche” di singoli esponenti del PD che inondano quotidianamente la stampa locale di comunicati stampa o di dichiarazioni fra loro contrapposte come se stessero in partiti diversi e non condividessero un unica idea. Altri partiti, soprattutto nel centro-sinistra, vivono nei confronti del PD il complesso del “partito padre”, limitandosi, come scrive la stampa locale, a “bacchettare” quel partito e i suoi dirigenti provinciali.

Si parla della crisi, nella generalità dei casi, con un linguaggio misticheggiante come se si trattasse di una sorta di calamità naturale a cui l'uomo non può porre rimedio, una cosa caduta dal cielo, inviata direttamente dal padreterno come punizione per la cattiveria umana.

Si tende ad ignorare che la grande maggioranza della gente comune considera la politica come malaffare, luogo di imbrogli, luogo dove tutti pensano ai fatti propri. Considerazioni che portano la maggioranza delle persone ad adeguarsi a quello che considerano l'andazzo costante della politica che viene anche considerato l'unico modo per avere un lavoro attraverso la fatidica raccomandazione.

L'antipolitica, lo abbiamo più volte detto, si ciba di luoghi comuni ampiamente diffusi dai mass media che fra l'altro sono bravissimi a presentare come campioni dell'antipolitica, quindi credibili e affidabili, personaggi che dalla politica hanno tratto il massimo dei benefici possibili per se e per la propria famiglia, aggiungendo al danno la beffa.

Può sembrare un mantra, ma occorre ripetere che la crisi non è un fatto naturale. Essa ha responsabilità precise, nomi e cognomi e conti bancari nei paradisi fiscali e ville e yatch in giro per il mondo. La crisi è figlia diretta di singoli grandi capitalisti che da trent'anni e più hanno voluto e imposto la privatizzazione selvaggia sia dell'economia, distruggendo qualsiasi intervento pubblico dello Stato, sia della stessa politica e delle stesse istituzioni, piegando politica ed istituzioni al loro volere e ai loro interessi, riducendo ai minimi termini, come ora riconosce lo stesso ISTAT, i salari ed i diritti dei lavoratori e dei pensionati e distruggendo a migliaia anche tutte le piccole imprese artigiane e la stessa cosiddetta “classe media”, piombata anch'essa nel campo della povertà anche se per il momento solo relativa.

Un primo passo da compiere, sopratutto a sinistra, è dunque quello di riconoscere la natura della crisi e chi questa crisi ha prodotto. Riconoscere sia l'aspetto produttivo sia l'aspetto finanziario ed i legami stretti che esistono fra questi due aspetti dell'economia che oramai rendono sempre più irrisolvibile la crisi nell'ambito del sistema capitalistico, senza cioè una uscita da tale sistema. Cosa che oramai dicono apertamente alcuni settori della stessa borghesia monopolistica internazionale.[1] Non c'è soluzione a questa crisi riproponendo le ricette privatizzatrici che da trent'anni hanno avvelenato l'economia e la politica nazionale e internazionale. Il “privato è bello” è la causa della crisi e non può certo essere la soluzione della crisi.

Un secondo passo da compiere è quello di capire quali sono le forze politiche e sociali che da trent'anni a questa parte hanno portato avanti questa politica fallimentare, che sta distruggendo forze produttive, soprattutto giovani, e che sta portando l'intera Terra al collasso ambientale (e di cui il naufragio della Costa Concordia può essere l'ultima l'icona insieme ai tanti altri disastri provocati dall'uomo che l'anno preceduta). Si può uscire dalla crisi facendo accordi con chi la crisi ha provocata e la sta gestendo scaricando tutti i suoi costi sui ceti deboli, sui lavoratori dipendenti, sui pensionati, sui disoccupati? Crediamo di no. Crediamo non sia possibile uscire da questa crisi facendo accordi con quel gruppo di forze politiche e sociali che fanno capo alla destra che ha governato il paese distruggendo la Costituzione, se non formalmente, per lo meno praticamente attraverso una sua continua delegittimazione, facendo pubblicità alle proposte di legge più strampalate possibili o apertamente razziste e liberticide.

Le forze della destra che apparentemente sono oggi divise fra chi sostiene il governo monti (PDL + Terzo Polo) e chi è all'opposizione (Lega e forze extraparlamentari apertamente neo naziste), sono in realtà sostanzialmente unite nell'utilizzare appieno il governo Monti e le sue decisioni politiche economiche ai fini della loro riconquista del potere politico assoluto. Le manifestazioni dei Tir della scorsa settimana ne sono la prova generale. Quelle manifestazioni ricordano il Cile di Pinochet del 1973. Queste forze stanno dimostrando di saper ben interpretare le contraddizioni sociali che la loro politica ha fatto nascere e di avere la forza e l'organizzazione necessaria per indirizzarle in un movimento reazionario che li riporterà al potere pieno.

E' necessario allora, questo il terzo passo, per le forze politiche che si oppongono al governo Monti e che non intendono far pagare la crisi ai lavoratori e ai ceti poveri del paese, compiere una scelta decisiva, proclamando urbi et orbi il raggiungimento fra loro di un patto d'azione su proposte semplici e precise che possano dare continuità politica e sociale a quel movimento di massa che lo scorso anno ha prodotto le vittorie di Napoli, Milano e Cagliari, fino ai referendum sui beni comuni e che altrimenti rischia di essere distrutto.

Un'aggregazione di sinistra è dunque urgente, e chiunque analizzi la realtà con obiettività non può che convenire con questa affermazione che è poi la richiesta che fanno i giovani precari e disoccupati, i tantissimi lavoratori a cassa integrazione o senza alcuna prospettiva di ritornare ad un posto di lavoro. Allora occorre rimettere al centro le cose serie della politica, a cominciare dalla questione del lavoro e dalla opposizione serrata a qualsiasi forma di precarietà, ridando alla scuola la sua funzione centrale di incubatrice del futuro, combattendo la immonda riforma Gelmini. Ma occorre anche battersi per il rilancio del mezzogiorno.
Ma, prima di tutto, occorre impegnarsi fino in fondo contro la guerra e le aberranti spese militari.

E nessuno pensi di salvarsi l'anima scaricando la responsabilità della propria insipienza sui partiti più grandi, sulla cattiveria degli avversari o sulle avversità del momento: la storia condanna sempre i peccati di omissione.

Giovanni Sarubbi

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Note

[1] Il sito Bloomberg.com ha pubblicato un sondaggio interpellando 459 investitori finanziari: “Gli investitori internazionali dicono che il capitalismo è in crisi; quasi un terzo di loro è favorevole a cambiamenti radicali del sistema”. Il capo di una società londinese di brokeraggio dice che: “Il capitalismo è in crisi a causa di un’enorme e crescente disparità nella distribuzione del reddito e della ricchezza nelle società Occidentali”. E subito aggiunge che per dare un futuro ai giovani “occorre un intervento pubblico di dimensioni gigantesche”.



Domenica 29 Gennaio,2012 Ore: 14:29
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Enrica Rossi Saronno 30/1/2012 13.34
Titolo:Non c'è altro da aggiungere se non...
"fare ciascuno il proprio dovere denunciando ogni volta le svariate prepotenze e agire di conseguenza".

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