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www.ildialogo.org La dignitą non ha prezzo,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
La dignitą non ha prezzo

di Giovanni Sarubbi

Una nota a margine della manifestazione nazionale della Fiom del 16 ottobre 2010 a Roma


 Una immagine della manifestazione della Fiom del 16/10/2010

La lotta di classe è in pieno svolgimento in Italia e nel Mondo, nonostante tutti quelli che ne hanno dichiarato la fine. E sono proprio quelli che hanno dichiarato la fine della lotta di classe, i Marchionne, i Marcegaglia, i Sacconi, i Berlusconi e soci, che la stanno combattendo in Italia e nel mondo dall'alto dei loro stipendi milionari in euro o delle loro immense proprietà immobiliari o industriali che tengono tutte per se e che vogliono continuare ad incrementare alla faccia di quanti in Italia o nel mondo sono disoccupati, anche e soprattutto perché loro li licenziano o ne decretano la morte.

Non si può parlare di fine della lotta di classe e poi trovarsi di fronte ad una realtà nella quale chi lavora lo fa in condizioni disumane rischiando la vita ogni giorno. E ogni giorno che passa ha i suoi morti sul lavoro, tre mediamente in Italia, veri e propri omicidi, altro che “morti bianche”, veri e propri sacrifici umani sull'altare del profitto per pochi e della sofferenza per tutti.

Non si può parlare di fine della lotta di classe e poi trovarsi a vivere in una società nella quale chi lavora non ha il minimo per sopravvivere. Ha detto bene Landini, segretario nazionale della Fiom ieri a Roma, quando ha affermato che ci troviamo di fronte ad una società ingiusta e disumana che va cambiata perché non è accettabile una realtà nella quale si lavora e si è poveri allo stesso tempo.

Ed è questo il tema del giorno, questo il tema dello scontro in atto in Italia e nel mondo fra quanti hanno costruito le loro fortune sulle speculazioni finanziarie, sullo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali dei paesi del sud del mondo, sulla fame di alcuni miliardi di esseri umani, e quanti si rendono conto che un altro mondo è possibile e che non si può desiderare di vivere in una società che è basata sulla legge delle giungla, sull'homo homini lupus, o, per dirla con il termine oggi di moda, sulla “competizione internazionale”, frase apparentemente innocua ma che nasconde dietro di se la morte per fame di milioni di bambini, di milioni di disoccupati, di uomini e donne ridotti ad esseri senza diritti, schiavi la cui vita vale molto meno di quella degli schiavi del periodo schiavista dei secoli scorsi. Non si può vivere in una società nella quale chi lavora deve sperare nella morte o nel fallimento delle aziende o dei paesi diversi dal suo e con cui un gruppo ristretto di persone, i capitalisti e i finanzieri, è in competizione. Non è una società appetibile quella che si basa sul “mors tua vita mea”.

Altro che cessazione della lotta di classe. Qui ci troviamo di fronte alla fase più acuta della lotta di classe degli ultimi due secoli, fatta proprio da chi la lotta di classe ha dichiarato morta.

Restituite i vostri stipendi milionari, restituite le vostre ricchezze accumulate con l'imbroglio, inquinando mezzo mondo e l'altro pure con gli scarti industriali velenosi delle vostre industrie, fatti smaltire dalla criminalità organizzata per non assumervi i costi delle schifezze che producete e che ci costringete a comprare e a consumare in continuazione, per permettere a voi e ai vostri figli di poter avere la barca di 40 metri o decine di ville nei posti più incantevoli del pianeta o conti in banca che vi consentirebbero di vivere quattrocento vite di un vostro operaio.

La lotta di classe non ci sarebbe ma dall'altro lato Bernanke, il presidente della FED, la Banca Centrale degli Stati Uniti, applaude in un suo recente discorso alla eliminazione di qualsiasi democrazia sulle questioni economiche, cioè sulle questioni fondamentali della vita del genere umano. Pochi uomini, poche persone nel mondo, dovrebbero, secondo Bernanke, poter decidere sulle scelte economiche, scavalcando completamente i parlamenti nazionali costruiti attraverso libere elezioni. E questo al fine di attuare le misure di austerità che secondo lui sarebbero necessarie per far fronte all'imminente ed ennesimo crollo del sistema economico dominato dagli Stati Uniti d'America. (Vedi articolo di AsiaNews ) . Ed il sistema da lui proposto è quello che già esiste oggi in Europa attraverso il cosiddetto “Patto di stabilità” europeo deciso nel giugno 2010 a seguito della crisi greca. Dopo questo patto, dice Bernanke, in Europa i bilanci degli Stati non sono più in mano né dei parlamenti né dei governi nazionali, ma di un consiglio centrale europeo, un organismo non eletto deciso dai banchieri centrali. Questo consiglio determina di fatto le decisioni di spesa pubblica riguardanti più di trecento milioni di europei. Il che significherà miseria per milioni e milioni di lavoratori, pensionati, disoccupati, immigrati. Altrettanto vuole fare in America Bernanke. Altro che fine della lotta di classe che è insita nel sistema sociale capitalistico che è basato su una lotta senza quartiere fra gli stessi capitalisti e i loro stati che mantengono in ostaggio i popoli del mondo.

Ed è questa lotta senza quartiere fra i capitalisti e i rispettivi stati che è alla base delle guerre oggi in corso nel mondo e di quella in Afghanistan in particolare. Ci si combatte con le armi in pugno, e si costruiscono armi sempre più potenti e distruttive, per contendersi materie prime, mercati di smercio per le proprie merci, aree dove poter smaltire i propri rifiuti industriali o dove poter approvvigionarsi di acqua. Ed è una competizione mondiale ed è una guerra mondiale quella che è in corso. Guerra e competizione mondiale di cui aveva piena coscienza già Engels nel lontano 1885 che in un suo scritto delineò quello che poi è accaduto durante il 20esimo secolo e che continua ancora oggi.

Un altro mondo è possibile. Questo lo slogan che è stato ripetuto più volte durante la manifestazione di ieri a Roma della FIOM. Il fatto che ci siano stati alcune centinaia di migliaia di persone che hanno ripetuto questo concetto non significa ovviamente che domani mattina questo si realizzerà. Ma il fatto che dopo trent'anni in una grandissima manifestazione sindacale questo sia stato detto dal palco della manifestazione credo sia una novità, un segno di svolta e di speranza, la possibilità che da semplice slogan questa idea possa provare a camminare sulle gambe delle persone in carne ed ossa. Ed è forse per questo che le TV di stato e private, tutte, nessuna esclusa, hanno preferito parlare dell'omicidio di Avetrana piuttosto che dar conto dei temi posti all'ordine del giorno dalla Fiom e dalle forze politiche e sociali che ieri hanno manifestato a Roma.

Ma per realizzare un sogno bisogna essere in molti a sognarlo e soprattutto bisogna che ci si riappropri dei propri diritti politici e sociali, della propria dignità di uomini e donne, superando lo scoramento e la passività che da troppi anni ha infettato il popolo italiano. Bisogna dire, come ha detto l'operaio di Melfi licenziato dalla Fiat, che la propria dignità non può essere quotata in borsa e che la propria dignità non ha prezzo. E questo è oggi la cosa più difficile da fare. Il resto sarà facile da realizzare.

Giovanni Sarubbi



Domenica 17 Ottobre,2010 Ore: 17:58
 
 
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