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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org VIVA “IL DIALOGO”, PER “DARE VOCE A CHI NON HA VOCE”,di Raffaello Saffioti

LETTERA AL DIRETTORE
VIVA “IL DIALOGO”, PER “DARE VOCE A CHI NON HA VOCE”

di Raffaello Saffioti

Caro Direttore,
sono stato profondamente scosso dal tuo ultimo editoriale col titolo “Giornalisti impiegati” o “giornalisti giornalisti”? ed ora ti scrivo questa Lettera che vuole essere una testimonianza del rapporto che mi lega a “il dialogo” ed anche del nostro rapporto di amicizia.
Ho letto e riletto l’Editoriale che è frutto della tua esperienza professionale e umana, ho cercato di capire il suo vero valore e significato.
E’ un editoriale vibrante e sofferto, rivelatore della tua professionalità e umanità, diverso da tutti gli altri tuoi editoriali, per il contenuto, per la forma e per i suoi toni forti, a volte crudi. Esso va rilanciato, deve provocare delle reazioni e non deve cadere nel vuoto.
Mi sono chiesto perché, scrivendo sull’informazione e i mass-media, ti sei spinto fino a scrivere: “Siamo molto oltre la ‘TV spazzatura’ che si è evoluta in una vera e propria “TV fognatura’”.
Da vari anni collaboro a “il dialogo” perché condivido la sua “carta d’identità”, la sua finalità di “dare voce a chi non ha voce” e mi riconosco nel suo impegno prevalente per la pace e per il dialogo interreligioso. Per questo m’interessa che “il dialogo” viva.
PROTESTA E DENUNCIA
L’editoriale è prima di tutto un atto di rivolta, protesta e denuncia della disinformazione, per la difesa del vero diritto d’informare nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana.
Voglio sottolineare i passi che mi sembrano salienti e che danno il senso dell’intero Editoriale.
Hai scritto:
“Quella dei mass-media è oramai una vera e propria emergenza democratica. Siamo molto oltre la ‘TV spazzatura’ che si è evoluta in una vera e propria ‘TV fognatura’, soprattutto quando essa agisce in combinazione con i cosiddetti ‘social network’ che sono vera e propria ‘fogna sociale’”.
“L’Articolo 1 del codice deontologico dei giornalisti italiani dice con chiarezza che tutto ciò che oggi viene fatta passare per ‘informazione’ è in realtà solo ‘fognatura’ perché il ‘diritto insopprimibile dei giornalisti’ alla ‘libertà d’informazione e di critica’ è ‘limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui’. Sono ‘notizie’ solo le cose di interesse pubblico. Tutto ciò che riguarda la sfera privata non può e non deve essere oggetto di attività ‘giornalistiche’ comunque camuffate.
I diritti umani fondamentali vengono così calpestati senza ritegno. Ciò che le leggi prescrivono in materia di tutela della riservatezza delle persone viene sistematicamente violato e ciò succede oltre che sulle TV anche sui cosiddetti social-network. Su questi strumenti la violazione dei diritti fondamentali delle persone è sistematica e scientificamente finalizzata al profitto dei padroni dei vari network esistenti. Il caso più eclatante è quello di Facebook più volte finita sotto accusa per ospitare gruppi e pagine violenti o istiganti all’odio razziale e religioso”.
INVITO A PRENDERE COSCIENZA
“Ebbene bisogna prendere coscienza che Facebook non ha alcun interesse a chiudere le pagine di chi istiga all’odio razziale o di chi promuove le cosiddette ‘fake news’ (le notizie false). Entrambe queste tipologie di pagine raccolgono milioni di like e ogni like per Facebook costituisce una fonte di informazione sulle persone che li esprimono, e quindi consente alle aziende pubblicitarie di fornire pubblicità mirate alla singola persona. Ma oltre ai like sono preziose fonti di informazione anche qualsiasi testo di commento viene scritto. Ci sono oramai potenti software di analisi dei testi che consentono di inviare pubblicità in modo preciso allo specifico utente. Ma non è solo Facebook che fa questo lavoro. Anche tutte le aziende ad essa collegate utilizzano questo meccanismo”.
“Bisogna prendere coscienza del fatto che Facebook è uno strumento intrinsecamente cattivo, che persegue l’arricchimento del suo proprietario e il contemporaneo asservimento di chi lo usa. Con l’aggravante che questo asservimento viene fatto con il ‘consenso’ dei diretti interessati ingannati dalle regole della cosiddetta ‘privacy’ che non tutelano affatto i diritti umani degli utenti perché essa è finalizzata alla raccolta da parte di Facebook di notizie sensibili sui singoli utenti.
Ma le informazioni che Facebook raccoglie vengono usate anche da chi gestisce le campagne elettorali per condizionare gli utenti attraverso la calibrazione dei messaggi verso gruppi sociali definiti”.
“La virtualizzazione dei rapporti sociali attraverso i ‘social network’ aliena ancora di più le persone ed è funzionale al controllo sociale e agli interessi di chi detiene il controllo di quella enorme massa di informazioni sugli interessi, i sentimenti, i problemi delle persone.
Chiediamoci perché l’accesso a Facebook è gratis ma ciò nonostante il suo padrone è al momento l’uomo più ricco e potente del mondo. Egli possiede una ricchezza immateriale enorme, che è quella di poter controllare le coscienze di alcuni miliardi di persone, e questo si è tradotto in una ricchezza materiale altrettanto enorme.
Possiamo far finta che queste cose non esistono?
Possiamo continuare a pensare che bisogna esserci su Facebook perché solo così si può rimanere in contatto con le persone lontane? Possiamo continuare a pensare che sia possibile piegare Facebook ad interessi leciti?
L’informatica può essere uno strumento di lavoro. Usata così come la usano i padroni dei social network diventa uno strumento di oppressione e dominio dell’umanità.
Sono questi i motivi che mi hanno spinto nei giorni scorsi ad annunciare la mia uscita da Facebook a partire da domani. La mia decisione contiene al suo interno anche un appello a quanti seguono il nostro lavoro che si svolge principalmente attraverso il nostro sito www.ildialogo.org.”.
UN APPELLO
“Come giornalisti abbiamo la necessità di porci una domanda ed è questo il momento di farsela.
Vogliamo essere ‘giornalisti impiegati’ al servizio del padrone o ‘giornalisti giornalisti’, come viene raccontato nel film ‘Forte Apache’ sulla vita di Giancarlo Siani ucciso dalla Camorra?”.
“Noi la nostra scelta l’abbiamo fatta. C’è qualcuno che vuole darci una mano su questa strada? Poi si può anche rimanere su Facebook ma con una coscienza diversa e soprattutto come comunità. Insieme si può”.
Caro Direttore,
a questo punto il tuo editoriale mi pare che per il suo valore possa essere considerato una “Nuova Carta di Identità” de “il dialogo” ed abbia nella parola “coscienza” la sua parola-chiave.
Può essere letto e interpretato da vari punti di vista.
Dal mio punto di vista l’ho letto e inteso come “testo-documento” che si qualifica per l’analisi penetrante dei cosiddetti mass-media e per l’appello finale ai giornalisti e ad ogni lettore de “il dialogo”.
Si rivela anche testo istruttivo perché spiega in modo chiaro e semplice il funzionamento del meccanismo di Facebook. Si può dare per scontato che tutti lo conoscano?
Vorrei dire che il testo è anche maieutico-educativo perché pone delle domande e provoca una presa di coscienza.
Ho letto il commento, già uscito, di GIULIA GUZZO e lo condivido perché è già la prima risposta al tuo Appello finale. C’è da sperare che ne seguano altre.
Nella crisi del nostro tempo, che non è solo economia, ma anche culturale, morale e politica, c’è grande bisogno di fare fronte comune per unire le nostre forze, reagire alla sfiducia e alla rassegnazione che generano impotenza.
Noi crediamo, con i Maestri della nonviolenza, nella forza della coscienza.
Il nostro impegno continua proseguendo il dibattito sui temi difficili e su quelli di attualità.
Uno di essi è il tema “Democrazia e comunicazione”.
L’impegno per la coscientizzazione è anche impegno politico per la democrazia.
E’ il caso di notare che quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di DON LORENZO MILANI e il ventesimo della morte di DANILO DOLCI.
Come vengono ricordati?
L’attualità del loro pensiero e della loro opera va studiata sfuggendo al pericolo della ritualità che disinnesca la loro carica profetica.
Sono stato testimone dell’opera di DOLCI nell’ultimo decennio della sua vita. Il tema “comunicare” è stato quello dominante di quel periodo, come dimostra la sua bibliografia.
NUOVA MAIEUTICA E INFORMATICA
L’opera Comunicare, legge della vita (La Nuova Italia, 1997) sostengo che può essere considerata come il suo “testamento spirituale”, integrato da “La breve e inusuale ‘prolusione’” che egli ha letto all’Università di Bologna il 13 maggio del 1996, in occasione della laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione1.
Altra opera che è il caso di segnalare è quella col titolo Dal trasmettere al comunicare (Sonda, Torino, 1988).
In tutti i seminari ai quali ho partecipato due erano le domande ricorrenti poste da Dolci:
  • qual è la differenza tra il trasmettere e il comunicare?
  • qual è la differenza tra il potere e il dominio?
E non si stancava Dolci di denunciare lo stato di confusione mentale della gente, derivante dal non sapere fare la distinzione tra quei termini.
Lo sviluppo sempre più accelerato in questi anni delle nuove tecnologie della comunicazione suggerisce di proporre il tema del rapporto tra la nuova maieutica dolciana e l’informatica.
Conclusione della Lettera
A conclusione della Lettera, come appendice, propongo alcuni passi scelti da una delle due opere prima citate, da leggere come sviluppo e approfondimento dell’Editoriale.
***
“Al minimo buon senso non sorprende se l’entusiasmo per una recente scoperta, o utile tecnica, rischia infatuazioni e sbornie. Ma possiamo accettare che queste vengano spacciate come portentosi toccasana? Possiamo lasciare dilagare, tra furbizia pubblicitaria e culturale acerbità, allettamenti quasi idolatrici perfino nei piccoli?
Informatica. Utilissima. Bene.
E il rapporto? Il senso del rapporto? Il problema del rapporto? E’ sparito?
E’ stato prima meccanicizzato e poi meccanizzato.
Dati: da chi scelti? a che scopo? come raccolti? in quale rapporto tra sorgente e osservatore-rilevatore?
Elaborazione: da chi? come? perché? in quale contesto?
Trasmettere, informare: chi e come trasmette? in quale rapporto col ricevente? palese o nascosto? propone o inculca?
Eliminare il problema del rapporto non è semplificare: è cosare le creature.
Ci cresce l’immenso rischio di perdere, attraverso ordini, numeri e macchine, il senso del contatto, il rapporto vivo sempre nuovo.
L’informazione dell’elaboratore (che oltre ad essere una macchina per calcoli e un informatore numerico, sempre più diviene trasmettitore di codici simbolici, segnali fonici e visivi) non esaurisce certo tutte le possibilità ricettive ed espressive della mente, della personalità umana. E opera su un modello della realtà – non in rapporto alla realtà integra.
Quanto più le informazioni ci pervengono attraverso macchine, attraverso impulsi mediati, tanto più la nostra biologica ricezione alterandosi impoverisce. Viene a poco a poco eroso e mozzato quanto nel rapporto vivo risulta essenziale: la complessa reciprocità.
Un più veloce calcolo facilita e riduce la fatica, garantisce alcuni aspetti del conoscere. Il calcolare, compiere cioè serie di operazioni con dati da noi scelti, dovrebbe presupporci consapevoli della limitatezza delle informazioni da noi assunte ed elaborate di fronte a quanto ancora ignoriamo.
Essendo la matematica un sistema di rappresentazione, e in quanto il conoscere rafforza, il computer è una macchina che, accumulando dati e la possibilità di interpretarli, aumenta il potere di chi la possiede.
L’uso del calcolo potenzia sia il virus sia il costruire, il crescere. Problema è chi lo muove, come, a qual fine. Si sente dire ‘la rivoluzione dell’informatica…’: ma come è usata sovente, non accelera e potenzia vecchie strategie?
Il calcolatore che sta diventando anche strumento per formulare e trasmettere scenari e modelli di comportamento, ricorda ovviamente perché vi è stato immesso, quanto non è stato escluso a priori o dimenticato: quando anche dovesse in futuro prossimo divenire familiare, in ogni casa, la partecipazione prevedibile in queste condizioni sarebbe soltanto poter scegliere tra i diversi programmi. Ma non agire sulla composizione sistematica dei programmi stessi.
Usualmente chi sa calcolare non sceglie di potenziare il fronte, sovente ancora inesistente o quasi, dei poveri, di chi ha scarso potere: trova più comodo usare le sue abilità nel servire il dominio, cioè vendersi. Un guaio è quando i poveri (nel senso di chi produce poco) o i poeti non sanno usare o contrapporre i loro calcoli.
(Danilo Dolci, Dal trasmettere al comunicare, pp. 85-87)
***
Roma, 30 maggio 2017
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi-PALMI
NOTE
1 Nella rivista “Scuola & Città”, n. 9, 30 settembre 1996.



Martedì 30 Maggio,2017 Ore: 22:25
 
 
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