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www.ildialogo.org L’EMERGENZA “CORRUZIONE” DOPO L’EMERGENZA “DISOCCUPAZIONE”,di Raffaello Saffioti

UNA EMERGENZA DOPO L’ALTRA
L’EMERGENZA “CORRUZIONE” DOPO L’EMERGENZA “DISOCCUPAZIONE”

QUALI I NESSI TRA ETICA E POLITICA?


di Raffaello Saffioti

NON DOBBIAMO TEMERE LA DIAGNOSI
Una malattia ci intossica e impedisce: la vita del mondo
è affetta dal virus del dominio, pericolosamente soffre di rapporti sbagliati.
Non un nuovo Golia occorre denunciare, né estranei nemici ma,
nei più diversi ambiti, ripensare e rifondare il modo e la qualità
dei nostri rapporti, di ogni genere di rapporto.
La politica e l’etica, filosofie-scienze-arti del vivere,
si orientano reciprocamente, inscindibili.
L’etica a prospettiva planetaria orienta dall’intimo di ciascuno –
da ogni polis al bene comune, la politica.
DANILO DOLCI

 
QUALI E QUANTE SONO LE EMERGENZE NEL NOSTRO PAESE?
La parola “emergenza” sta diventando sempre più frequente nella cronaca del nostro Paese. In che senso viene usata? Cerchiamo nel vocabolario (Zingarelli) :
1 Circostanza o eventualità imprevista, spec. pericolosa”.
2 Situazione pubblica pericolosa, che richiede provvedimenti eccezionali”.
C’è da chiedersi: quali e quante sono oggi le emergenze? Alcune sono vere emergenze, ma altre sono, come è stato scritto,“emergenze costruite”.
“L’emergenza agisce sul diritto: dall’emergenzialità si scivola presto verso un vero e proprio stato di eccezione che, nella felice definizione di Giogio Agamben, si configura come un vuoto giuridico, una sospensione paradossalmente legalizzata del diritto che compromette seriamente il funzionamento delle costituzioni democratiche”. 1
Appena pochi giorni fa abbiamo scritto sulla “emergenza occupazione” (“Diritto al lavoro e diritto di sciopero. Lo storico ‘sciopero alla rovescia’ di Danilo Dolci”, editoriale de “il dialogo” del 27 novembre 2014) ed ora la cronaca ci impone un’altra emergenza.
Per le notizie diffuse dai “mass-media”, ci ha molto opportunamente messi in guardia il Direttore Giovanni Sarubbi con l’editoriale “Mass-media: ‘discariche di notizie’, TV spazzatura, distruttori di speranza” (“il dialogo”, 7 dicembre 2014 link).Con il nuovo editoriale “L’incubo continua” (“il dialogo”, 14 dicembre 2014 link) il Direttore ha proseguito parlando della “bestia dell’informazione”, col richiamo al libro dell’ Apocalisse.
Le notizie, ha scritto Sarubbi, sono “spesso inventate, per lo più dannose ed inutili” e “hanno l’unico effetto di avvelenare l’opinione pubblica e distrarla da altri e più scottanti problemi quale quello della disoccupazione e della miseria”.
“E anche quando vengono fuori fatti come quelli della ‘Mafia di Roma’, che imperversa in questi giorni, il ruolo dei mass-media rimane quello di fare confusione, di alzare polveroni, per impedire che chi deve capire capisca e si organizzi per cambiare una società che di questo passo è destinata all’autodistruzione”.
Non è facile prevedere gli sviluppi della inchiesta sui fatti della “Mafia di Roma”, considerata come la punta di un iceberg, e, inondati di notizie, ci dobbiamo impegnare ad esercitare lo spirito critico.
Da ogni parte viene sbandierata la presunzione d’ innocenza di tutti gli indagati fino alla condanna definitiva, ma intanto assistiamo, prima del legittimo processo giudiziario, ad un processo mediatico, nel quale si confondono le responsabilità penali con quelle politiche.
L’inchiesta sulla “Mafia di Roma”, battezzata “Mafia Capitale”, ha già fatto dire che la corruzione è la vera e unica “emergenza” nazionale. Non è da credere che la corruzione sia l’unica emergenza.
Non vogliamo distrarci dalla emergenza della disoccupazione che rimane una delle più scottanti, se non la più scottante, ma riconosciamo che le emergenze sono diverse e c’è bisogno di cercare il filo che le lega.
L’inchiesta sulla “Mafia di Roma” è , comunque, occasione per prendere in esame il fenomeno della corruzione, al fine della sua comprensione, al di là della sua contingenza.
Intanto è da registrare la notizia che l’Italia è il paese più corrotto dei paesi dell’Unione Europea, secondo la graduatoria pubblicata da “Corruption Perception Index 2014” dell’organizzazione “Trasparency International”.
La domanda che ora si pone è: QUALI SONO I NESSI TRA ETICA E POLITICA?
NESSI TRA ETICA E POLITICA
Etica e politica sono conosciuti come problemi della storia della filosofia.
Per chi intenda studiarli, vale la pena proporre un’opera di DANILO DOLCI: Nessi fra esperienza etica e politica (Manduria – Bari - Roma, Piero Lacaita Editore, 1993, 2 voll.; nuova edizione in unico volume, 1993).
Il primo dei 2 volumi ha come sottotitolo Criminalità privata e criminalità di Stato nei “Tempi Moderni”.
Il secondo, Nessuno mi chiedeva cosa pensavo io.
Anche quest’opera, pubblicata oltre vent’anni fa nel clima di Tangentopoli, rivela la sua attualità profetica, come le altre opere di Dolci.
Sulla fascetta è riportata una Nota dell’editore:
Tangenti, criminalità privata e criminalità di Stato, degrado ecologico e decadenza morale. Quale rinnovamento etico-politico e con quali fondamenti? Quali le alternative alla denuncia? Su questi temi e su queste domande risponde, con prospettive planetarie, Danilo Dolci, l’innovatore sociale di Partinico, criticamente immerso nei fatti e nei dolori dell’esistenza”.
Una domanda per concludere.
La corruzione è un vizio antico dell’uomo, non è solo un’emergenza del nostro tempo.
Per debellarla, non basta una pur necessaria legge-anticorruzione, fatta da un Parlamento in cui non è facile contare i parlamentari corrotti. E non basta la pur necessaria azione repressiva delle forze dell’ordine e della magistratura.
Si può rinnovare la politica se non si rinnovano i cittadini?
Il libro di Dolci ha, oltre tutto, un valore educativo e serve per educare la coscienza civica.
Vuole essere, come dice l’Autore nella Premessa, “materiale per smuovere verifica, ricerca, discutere fruttuoso”.
Proponiamo ora, qui di seguito, una mia NOTA INTRODUTTIVA CON UNA APPENDICE DI PASSI SCELTI.
Palmi, 14 dicembre 2014
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi

INTRODUZIONE

AL LIBRO DI DANILO DOLCI
NESSI FRA ESPERIENZA ETICA E POLITICA (1993)
Che libro è questo?
Nessi” nel titolo, è una parola-chiave del lessico di Danilo Dolci.
Tre altre parole-chiave sono: “struttura”, “maieutica”, “comunicare”.
Etica e politica sono problemi tradizionali della filosofia.
Questo è un libro impegnativo, difficile da intendere da “chi subisce e pratica rapporti unidirezionali”. “La parola che nasce per scoprire, fiorisce e fecondata infrutta alimentando, la parola che vive nell’unire, ci è sovente ardua”. 2
E’ un libro complesso nel suo contenuto che supera i limiti del sapere unidisciplinare, specialistico, e impegna maggiormente la cultura del lettore.
Appartiene a vari generi letterari, tra loro connessi, non facilmente distinguibili. In esso troviamo: storia, filosofia, scienza, cronaca, autobiografia, saggio, poesia, statistica, e altro ancora.
E’ un libro reciprocamente maieutico, interrogativo. Invita a riflettere, a leggere non solo i libri, ma anche la natura.
Invita a sognare cieli nuovi e terre nuove, un mondo che non c’è ancora.
E’ un libro sorprendente, stupisce per la ricchezza della documentazione.
E’ un libro nato dall’esperienza ed esprime una visione del mondo e della vita. Documenta problemi che non sono solo italiani.
Sprechiamo immensamente l’esperienza, la coscienza raggiunta della vita. Forse è il più grave spreco?”, leggiamo nella “Premessa”.
E’ un “libro-lavoro”. Questa è una locuzione usata (inventata?) dal poeta Mario Luzi per la presentazione, con Ernesto Balducci, a Firenze nel 1991 del libro Variazioni sul tema “comunicare”.
Disse Luzi:
Questo libro non è rispecchiamento, bilancio, repertorio: è un atto, qualcosa che accade mentre si fa e che, già con il suo farsi, afferma qualcosa a cui tutti siamo tenuti.
Un libro per solito sembra essere uno strumento. Questo innova profondamente perché non esiste al di fuori del suo processo di formazione: ciò che si fa, e si afferma, è la materia, occasione di crescita a ciascuno, è uno col libro stesso”. 3
Quel discorso, che ebbi la fortuna di ascoltare con forte emozione, vale anche per introdurre questo libro.
Dolci ci racconta quello che ha imparato anche viaggiando. I viaggi sono buona parte della sua vita.
Chi può dire, tra gli studiosi di Dolci, di essere riuscito a seguirlo in tutti i suoi viaggi in giro per il mondo? Il “Dolci viaggiatore” è ancora quello meno conosciuto.
Chi può dire di poter scrivere la biografia completa di Dolci che ancora non c’è?
L’esperienza che ha fatto viaggiando e scrivendo può farcelo considerare “uomo planetario”.
Dolci è uno scrittore sui generis. Scrive non per fare letteratura, ma per comunicare.
Cesare Zavattini ha scritto che Dolci “è il solo della nostra generazione che ha saputo ridurre al minimo la terra di nessuno esistente tra la vita e la letteratura”. 4
Gianni Rodari ha scritto:
“Ogni libro di Danilo Dolci fa parte del suo lavoro di riflessione, di agitazione, di animazione. E’ un momento di lotta. Ha rapporto con gli altri momenti e aspetti della sua personalità e della sua azione. E’ un discorso sul metodo. Dove si fa autobiografia, non ha nulla a che fare con i memoriali, i ricordi personali, l’intimismo o il romanticismo, tanto è vero che il soggetto, più spesso che «io», è «noi», e la parola chiave è sempre «insieme». E’ impossibile distinguere in Danilo il privato dal pubblico, il personale dal sociale”. 5
Dolci ha vissuto la sua vita come in un laboratorio di ricerca e sperimentazione continua. E la sua scrittura quotidiana è originale, creativa.
C’è un nesso tra “struttura creativa” e “scrittura creativa”.
Quasi un diario scrivo per chiarirmi, le note di ogni giorno ad ogni giorno, e per qualcuno forse che poi mi corrisponde nel suo agire: sprazzi freschi da ripensare, osservazioni di un laboratorio quotidiano non privato, sementi alternative, analisi da una nuova prospettiva su un ammassarsi di eventi che oggi può apparire fatale e un domani, forse non lontano, risultare smascherato (dipende da noi) nella sua malsana meschinità”. 6
Una chiave di lettura di questo libro.
Ho letto questo libro, prevalentemente, dal punto di vista filosofico. Ho interpretato il pensiero di Dolci alla luce dell’esperienza che ho fatto collaborando con lui per molti anni e partecipando a un numero indeterminato di seminari maieutici.
Sono uno di quelli che hanno contribuito alla elaborazione del testo, l’ho visto nascere e so come il prolungato soggiorno calabrese di Dolci, in Sila (a Lorica), nell’estate del 1993, abbia favorito la sua elaborazione.
E’ una delle opere dell’ “ultimo Dolci” che rivelano la maturazione del suo pensiero.
Il “Dolci filosofo” è ancora poco studiato, poco conosciuto. Credo che proprio le opere dell’ultimo periodo debbano ancora essere adeguatamente indagate per comprendere la filosofia del loro Autore. 7
Ho già messo alla prova la mia interpretazione del pensiero di Dolci con una Nota presentata al seminario nazionale che ha avuto luogo al Rifugio Sapienza, sull’Etna, nel luglio del 1995, qualificando quella di Dolci come “filosofia della nuova maieutica”. 8
La traccia contenuta in quella breve Nota va approfondita e aggiornata, o corretta.
Oggi credo che la filosofia di Dolci possa essere denominata anche come: “filosofia del comunicare, legge della vita”, “filosofia del mondo creatura di creature”.
Ed è da considerare come un contributo originale alla storia della “filosofia della nonviolenza”.
Citando Jaspers, “abbisognamo illimitato comunicare”, Dolci ha scritto:
Soltanto alla filosofia profetica, animatrice nel formare il mondo – non alla quieta e irresponsabile osservazione – compete il nome di filosofia, sostiene”.9
Possiamo dire che Dolci ha ripreso la grande tradizione della “filosofia profetica”?
Leggendo questo libro notiamo una ricognizione della storia della filosofia e siamo indotti a rivedere le nozioni acquisite, non solo scolasticamente, di questa storia.
Anche noi, come Dolci ha fatto, dobbiamo fare un grande sforzo per pulirci la mente da tante false notizie e prospettive che la scuola ci ha inoculato.
Dolci reinterpreta la storia della filosofia ed è maieuta coi “morti”.
Scrive Rosellina da Palmi:
«Nel leggere le bozze del nuovo libro mi si chiarisce meglio la necessità di essere ‘maieuti anche coi morti’.
Far parlare, far rivivere l’anima di ampie e profonde coscienze, aiuta a non disperdere un prezioso patrimonio della vita stessa; non citazioni erudite ma esperienze evocate a dialogare tra loro e con noi, che arrivano straordinariamente lucide e attualissime. Insieme accordate a continuare la ricerca dei secoli ma – questo mi pare straordinario – in modo nuovo: con gli interventi connettivi quasi parla una sola voce dai diversi articolati accenti.
Una lingua della coscienza?
Possiamo entrare in comunione pure con chi ormai non vive più fisicamente? E’ morto chi si esprime ancora in noi?».
E’ vero Rosellina. Molto frequentemente non si vuole vedere, non si vuole sapere. Metodo non significa approdare definitivamente: ogni volta va integrato, va reinventato”. 10
Dalla “Premessa”:
Tutto il libro è un accento: vuol giovare alla ricerca di un concepire vivo. La maieutica non riguarda solo i bambini, quanto ancora non cresce dagli adulti, ma pure l’acqua, gli alberi, l’ambiente, il mondo in cui viviamo, quanto resta di chi non vediamo.
Aiutando le creature a nascere, a crescere, impariamo a riconoscerle, e a conoscerci in loro.
La coscienza dell’acqua, la coscienza della viva città, la coscienza dei rapporti necessari non può aiutarci a concepire un mondo, come i bambini dicono, più intelligente, più sano, più vero?
L’elemento acqua; l’organo città; il divenire maieutico, dinamica di nascita continua. Di una creatura planetaria.
Il libro in primo luogo è materiale per smuovere verifica, ricerca, discutere fruttuoso”. 11
Riporto in “Appendice” 24 passi da me scelti (18 dal primo volume, 6 dal secondo). La scelta è ovviamente discutibile, perché fatta dichiaratamente da un punto di vista particolare, quello filosofico.
***
Palmi, 14 dicembre 2014
Raffaello Saffioti
Centro Gandhi

***
DANILO DOLCI
Nessi fra esperienza etica e politica, voll. 2
Piero Lacaita Editore, 1993
APPENDICE
Passi scelti dal primo volume.
I
IL CRIMINE: IN QUALE PROSPETTIVA?
Al crimine di chi, non escluso lo Stato, pretende dominare in favore di pochi privilegiati, si oppone talora il crimine indotto dalla disperazione della vittima (persona o gruppo): questo, in genere è giudicato crimine. Mentre il primo di solito è impunito e, pur sofferto, sovente inavvertito come crimine.
La nozione di crimine, evolvendosi, è relativa alla necessità-possibilità di evitare un mancare della vita.
Secondo i vocabolari crimine significa “delitto di particolare gravità, efferatezza”. Si correla con cernere, vagliare, distinguere, decidere. Nel diritto romano Crimen è il delitto più grave: “E’ il delitto pubblico che offende l’ordine sociale e colpisce l’intera civitas”.
Cernere, distinguere, decidere: in quale prospettiva?
Quasi agli inizi del prossimo millennio è possibile verificare, pur alla buona, il nostro orientamento nella ricerca etica verso il futuro?
(p. 13)
II
L’etica, filosofia-scienza-arte dei rapporti – con sé e con ogni creatura, col mondo, con la vita -, si radica nella necessità di dare valore al proprio agire, pur oltre il proprio spazio e il proprio tempo.
… Anche l’evolversi della coscienza, quando avviene, è lento.
… L’elaborare nuove forme etiche non può che radicarsi nei profondi bisogni della gente in ogni parte del mondo verso mutamenti cosmici severi. La gente può impegnarsi seriamente quando partecipa a un suo progetto.
… La prova di una verità etica si può ottenere nel laboratorio di una vita, di varie vite in opera comune, nei secoli.
Oltre ogni sclerosi moralistica, oltre ogni nichilismo, attenti al relativo, ci occorre fondare un universo etico, sia pure problematico e conflittuale, attento ai mutamenti.
Come si configurano i valori? Non esistono valori assoluti, avulsi da creature. Non esiste la coscienza assoluta. Non essendo possibile possedere tutta la verità occorre, valorizzando quanto collaudato da secoli, alimentarci e fecondarci da ogni incontro. Ancora siamo mentalmente condizionati dal modello del sole, a noi fondamentale luce, e troppo arduo pensiamo illuminarci da ogni lume?
Ogni fiorire è sempre luminoso, diversamente illumina. Incontrarsi, riunirsi, illumina il futuro.
(pp. 13, 14)
III
Perché il più grave problema, per la gente, non è considerato problema? Perché questa insana distrazione, questa mancanza di interesse, questo disperato fatalismo, questo rigetto del problema, mentre scemenze appassionano decine, migliaia di milioni di persone?
Certo una concausa è la confusione mentale, e anche linguistica, in cui ci sperdiamo.
… La gente si lascia inculcare quando non si accorge di essere inculcata? Una concausa del disinteresse dunque, una volta di più: non si chiede alla gente di pensare. Non chiediamo a ognuno di cercare. Sappiamo confermare a ognuno che il suo immaginante partecipare a concepire il mondo, aiuta a salvarci?
(pp. 15, 16)
IV
Il rivoluzionario avveduto si nutre di un nuovo contemplare, pur scientifico, per ampliare le sue intuizioni e le sue esperienze. Occorre avviare e moltiplicare pluralità di strutture valorizzanti, ad ogni occasione: dalle famiglie alle organizzazioni volontarie, alle agenzie educative, fino a riuscire a mutare lo Stato da vecchia istituzione in nuova struttura. Esiste un rapporto fra sviluppo di coscienza e struttura sociale: è vero che una struttura può contribuire a cambiare la gente ma è pur vero che solo gente nuova può inventare una viva struttura planetaria.
(p. 22)
V
Come per la coscienza etica, anche l’evolversi della coscienza civile, quando avviene, è lento. Sono stati necessari quattro secoli per iniziare a comprendere nella sua pienezza la definizione che Johannes Althusius (1603) ha dato della politica: “E’ l’arte per mezzo della quale gli uomini si associano allo scopo di instaurare, coltivare e conservare tra di loro la vita sociale. Per questo motivo è definita simbiotica.
(p. 24)
VI
Quale fatica ho dovuto superare per pulirmi la mente da tante false notizie e prospettive che la scuola mi aveva inoculato. E finalmente so che la disinvoltura moderna a intascare tangenti (allusione elegante a ruberie) si è per gran parte modellata a scuola, sovente fino all’università, pur sulle fiamme che miopemente bruciavano, con fra Girolamo, la proposta della democrazia comunicante, il tentativo di correlare etica e politica: e lì ha iniziato a vincere – costituendo appunto via via una componente essenziale della modernità in questo ultimo mezzo millennio -, la presunzione di Machiavelli – ma non solo sua, e non solo in Italia – che la politica sia perizia chiusa, autarchica, sconnessa da ogni coscienza etica.
Se si vuole guarire dal virale vizio del pubblico furto appellato “tangente”, in tutte le sue variazioni, occorre anche sapere come e perché si è diffuso sistematicamente ai più alti livelli dello Stato.
… Uno degli attuali massimi imputati per corruzione sistematica, ad alto livello di responsabilità nell’istituzione partitica (ha nitidamente ammesso i fatti in cui è stato coinvolto, coerenti al suo tipo di “cultura”), ha due lauree ed è esperto in diritto canonico.
(p. 39)
VII
Il tempo non è “oggetto”, non amorfa cosa ma aspetto di infiniti volti creaturali, palpitanti insieme pur con ritmi diversi: ci è mutabile il tempo, dipendente anche da noi. Palpitare di nessi in cui ogni sequenza si discioglie. Nella memoria cerca di resistere.
… Ancora non sappiamo neanche il tempo, nei suoi diversi aspetti. Forse già iniziato in altri mondi, continuerà probabilmente in altri. Ci è ancora, pertanto, misterioso nel rotto organizzarsi del suo evolversi.
Sappiamo la natura creativa del tempo cosmico?
… Per chi osserva, sperimenta e medita, il futuro non “precipita” vivo nel passato come la sabbia nella sua clessidra: matura da un presente che, radicandosi nel già trascorso, considera il futuro più opportuno e pure viene urtato da imprevisti. E’ necessario dunque ad ognuno, persona e gruppo e popolo, imparare a prevedere delineando, anche conflittualmente, le tendenze essenziali, con ampio anticipo per certi aspetti – soprattutto se istituzionali – cercando di identificare anche le incognite più incidenti.
Rischiamo continuamente di non sapere, di sprecarci: eppure molto ci è stato identificato, chiarito.
… Altro è il tempo della cronaca chiassosa, altro è quello storico, e altro l’operare contemplante: uno coesiste maturando gli altri. Non esistono cambiamenti solo qualitativi, o metrici soltanto, nel tempo: ma ogni aspetto è correlato. Interconnessa molteplicità. Sempre è parziale, e correlato, un tempo interno: ad esempio in un organo il tempo necessario allo sviluppo del programma genetico. E anche “il tempo globale della storia” non è, al profondo, che un tempo interno con un programma in parte ereditato.
… Diverso è ogni tempo creaturale, e pure palpitante in ogni altro.
… La memoria del tempo sa colmarsi a chi aperto ascolta, assorbe, a chi esperimenta, legge, costruisce via via la sua coscienza. Puoi ritornare nel tempo solamente per esplorarlo, non per alterarlo, puoi trarne succhi nuovi, succhi ancora viventi pure se interrati. La memoria genetica riemerge (“che bella questa sàgoma: perché”) leggendo antiche forme, segni ancora nel buio delle grotte palpitanti, nelle rocce e nei fossili sepolti.
… Non è soltanto ciclico, o lineare, il tempo: non a sé esiste ma intessuto di respiri e voli, conanima il divenire-tramutare-costruirsi nell’albero degli alberi di vita radicato nel rinascere cosmico.
Cercando di reinterpretare il tempo (dall’antica radice tem, tagliare), oscuro ci è l’eterno, la durata del tempo, la durata della vita: l’eterno è un ondulante divenire, o da un inizio è sorto e avrà una fine?
Ma l’eterno non contraddice il tempo, non è “fuori del tempo”: ci è l’intero, desiderato sempre.
Puoi avvertire un frammento del tempo nell’attimo, o un polline di eterno.
Nell’esperienza mistico-poetica, non solo il tempo riesci a percepire. Anche il disacerbarsi dell’eterno. Ma orizzonte al tempo maturante generazioni di generazioni è, ancora, l’infinito che ignoriamo.
(pp. 50, 53, 54-56)
VIII
Di fatto, in certi luoghi la disoccupazione degli adulti arriva al 35%, quella giovanile al 51%: sono dati dichiarati ufficialmente. Che lo Stato uccida la gente disperata è particolarmente criminale.
Il caso della maestra che tappa la bocca ai piccoli con lo scotch, e li lega alla sedia, è un misero caso di criminalità privata: da una persona, probabilmente malata, i ragazzini vengono impediti nello sviluppo della propria creatività. Ma se le scuole pubbliche pretendono sistematicamente di inquadrare aggiogando milioni, miliardi di creature, questa risulta criminalità di Stato, usurpazione del diritto e del potere personale e collettivo.
(pp. 69-70)
IX
Quali sono le componenti dello Stato che tanto nuocciono da farne auspicare l’eclissi? Non certo gli aspetti positivi già conquistati. Se meditiamo, sono gli elementi che caratterizzano la sua arrogante (esplicita o ipocrita) violenza; il segreto in cui occulta le trame più pericolose (talora il segreto nemmeno viene nominato: si dice, ad esempio in USA, collection); la macchinosa pretesa di imporre piccole minoranze alla vasta maggioranza artatamente subordinata; e certo non la sua autonomia di giudizio ma il suo rinnegamento dell’etica. In una parola, non certo la forza sana ci ripugna, il potere impegnato per tutti. Piuttosto, la pretesa di dominio.
La salute, anche pubblica, è problema da risolvere mirando alla sua integrità. Esercitare il dominio e addestrare al dominio è un crimine in quanto il comunicare creativo, occorre riaffermarlo, è una profonda necessità per ciascuno. Il problema, non facile, è imparare a distinguere potere da dominio.
Per risolvere conflitti, in ogni attuale Stato e oltre ogni Stato, primariamente occorre saper diagnosticare, nel modo più specifico e al contempo complesso, problemi e concause. Potenziando la partecipazione, cosciente e nonviolenta, di ogni parte in conflitto: come la geniale concretezza di Gandhi e Einstein ha esortato, e come Johan Galtung ha ben focalizzato nelle sue “Ricerche di pace”.
(p. 71)
X
Dove inizia l’etica? Dal riconoscere che verità, necessità e violenza non coincidono affatto. Il più grosso può essere l’ingiusto. La verità non si misura a chili, a pugni, né a talleri.
… Per uno Stato non è certo un crimine, ad esempio, costruire e diffondere scuole. Ma quali scuole? Una serie di piccole galere? Criminale è spegnere nell’immane inerzia la naturale curiosità dei bambini e dei giovani, invece di potenziarla coorganizzandola; criminale è progettare di fatto lo spegnimento sistematico della creatività individuale e collettiva, alimentando così nei giovani e nei precettori la paura, e l’odio, per lo studio; criminale è insistere nel mantenere in situazioni insane miliardi di creature, malgrado le denunce rigorose ormai secolari, anche di medici. (Basti pensare a Decroly e alla Montessori).
(pp. 71, 72)
XI
In diverse parti del mondo la gente giudica insostenibile sia gran parte della politica cosiddetta democratica, coi suoi melmosi abissi di segreto, menzogna e corruzione, sia la superstite politica esplicitamente autoritaria coi suoi risvolti burocraticamente sclerotici e micidiali.
(p. 81)
XII
Dai giornali italiani del 5 dicembre ’92:
“LE ACCUSE AI MEDIA INFORMATIVI:
STAMPA E T. V. SONO FUORI DELLA REALTA’
Una inquietudine si aggira per l’Europa e attraversa l’Italia più di altri Paesi. Basta dare una occhiata agli indicatori presentati dal rapporto Censis: mentre il 47% degli europei non ha più fiducia nello “stato sociale”, da noi la percentuale raggiunge il 68.
Non si crede più negli enti locali (60% degli italiani), nel sistema legale (63%) o ancora nel sindacato (57%).
Crescono i poveri per la crisi economica e si passa “dalle gabbie ai ghetti”.
Secondo il Censis i giornalisti, gli editori, gli strateghi della “comunicazione” in genere non fanno bene il loro lavoro. Sono superficiali, cercano le notizie a effetto, non scavano in profondità, spettacolarizzano banalizzando. E non colgono il senso dei grandi eventi di una stagione tanto ricca e rivoluzionaria: “La grande comunicazione di massa – si legge nel rapporto annuale – ha probabilmente superato le frontiere, anche quelle più estreme, della dismisura e del rumore e, nell’illusione di essere ormai in grado di dire tutto, ha finito per mancare l’interpretazione di un sociale d’intensa complessità.
Giornali e tv, editori e pubblicitari: un sistema da ricomporre, facendo “giustizia di luoghi comuni e mezze verità e aprendo la strada a un processo di integrazione che sia realmente multiculturale e dal basso. L’attenzione esclusiva (e ossessiva) al dato puramente quantitativo del bacino d’utenza; l’anonimato e l’indistinzione di un pubblico di cui si sono perduti i riferimenti reali; l’illusione che l’odierna complessità possa essere colta e perfino spiegata attraverso il ricorso agli ormai onnipotenti sondaggi, rappresentano altrettanti segnali di una situazione di profondo scollamento tra i canali “comunicativi” e il resto della società.
Il 67,9% degli italiani “dichiara di non trovare di frequente alcun programma di proprio gradimento nella T. V.”.
La politica diviene un sempre più vasto spettacolo, mondiale fiera ipocrita. Falsa libertà, inquinata e inquinante.
… La gente che lavora onestamente, la gente semplice a cui vale la parola, nauseata mormora: “Che schifo. Questa è politica?”
(pp. 82-83)
XIII
Un particolare aspetto della criminalità, insito sovente nella sovranità statale, è il sistema clientelare-mafioso legale.
(p.99)
XIV
Mai in Italia la delinquenza è stata così lancinante come ora. I gruppi clientelari-mafiosi illegali trovano il loro vivaio più opportuno – come abbiamo ripetutamente precisato – ove prospera il sistema clientelare-mafioso legale. Si formano sistemi parassiti ad ogni livello negli stessi apparati dello Stato.
… Generalmente magistrati e criminologi non ammettono, consci o inconsci, che il sistema clientelare-mafioso illegale sia implicito nel più ampio schema clientelare-mafioso pur legale, a scala planetaria: violento, segreto e parassita. Mancano di prospettiva.
… Il modello mafioso di criminalità inquadrata non può sussistere se non supportato dal sistema clientelare che attornia i politici agenti in quel sistema.
In ogni regione del mondo è possibile il costituirsi – più o meno avversato - della violenza segreta e parassitaria, che assume aspetti e nomi diversi zona per zona: la camorra, la ‘ndrangheta, Cosa nostra sono le variazioni di questo sistema morboso, come la jakuza giapponese, le politicherie latino-americane, le triadi cinesi, la mafia turca e così via. Autonoma ciascuna, talora complici e talora avversarie. Pur differenti, sono sempre fenomeni virali.
Il sistema delle tangenti che ora viene scopertamente denunciato dai giudici di Milano e dove agiscono giudici intelligenti e coraggiosi, è una sofisticata variante del sistema criminale ricattatorio: lavora e prospera l’impresa che si rassegna a pagare “sottobanco” il pizzo; chi non si adegua non può partecipare a iniziative e opere.
… L’estorsione viene ovviamente presentata come un contributo, possibilmente “volontario”, per garantire – in dichiarati favori reciproci – lo sviluppo dell’ordine: sia nel caso dei mafiosi che dei “politici” implicati. Anche il politico boss attivatore del suo sottobosco cerca pesantemente di esercitare “il controllo del territorio, l’influenza sugli organi amministrativi locali, l’estorsione di danaro a danno delle imprese”, talora anche in loschi traffici (ad esempio, di armi). Cambia lo stile, cambia l’apparato (più o meno grezzamente ipocrita, parassitario e violento), ma il sistema è mafioso-clientelare.
(pp. 108, 110-112)
XV
In ogni parte del mondo, se vogliono riprendere una funzione veramente politica, anche per i partiti moderni – vecchi anche perché sovente più falsi che segreti – è urgente e immenso il bisogno di trasformarsi da clan di tattico tentativo dominio in comunicanti organismi, essenzialmente maieutici, attenti ad esprimere e risolvere dal profondo i problemi popolari (come talora è avvenuto, ed avviene, egregiamente) con visione locale e planetaria nuova, capace di contribuire alla metamorfosi della società – attraverso collettivi programmi di azione – valorizzando impulsi originali.
Finché restiamo prigionieri della nostra miopia, vince la miopia.
(p. 113)
XVI
Ogni giorno si scoprono tangenti, corruzioni, ruberie (finalmente, ogni giorno ove agiscano coraggiosi giudici): in nome del vecchio partito (“Il nostro nuovo Principe”), in nome di una pretesa democrazia.
La gente onesta è pronta a denunciare. Ogni giorno la scena decrepita si precisa. Alcuni giudici coraggiosi finalmente,, rompendo “circuiti di impunità durati decenni, riportano la legalità ove, perfino dentro le istituzioni, il crimine è divenuto regola”.
.
… Due mondi si scontrano: il virus del dominio, che non accetta critica e confronto, e la cultura del comunicare, che costruisce etica e politica sulla vera esperienza del rispetto reciproco.
Non è possibile rinnovamento autentico, in Italia e nel mondo, senza risolvere alla radice questi problemi: pur culturali, etici.
(p. 133)
XVII
La vita planetaria necessita di un’anima robusta, di un’etica vigorosa. Per riuscire a vivere ci occorre coscienza strutturante responsabile, identificare gli accordi fondanti, i principi archetipi fondamentali, le leggi sempre più valorizzanti.
I problemi di fondo della vita (non solo umana) sono comuni: essenzialmente l’etica è imparare a sapere riconoscere e risolvere i problemi comuni. L’etica non può relegarsi a cattedre o carismi ma occorre sia verificata e concretata laboriosamente dall’insieme delle creature nella visione del loro responsabile futuro: non è privata scelta di costumi quanto scelta di vita complessiva.
Le diverse culture non sono abiti (costumi) che tengono in piedi la gente movendola in un modo o nell’altro; né devono essere – come spesso avviene – stampi che formano la gente, in serie.
Una cultura viva – anche etica – ci emerge dall’intimo orientarci in nuove scelte – della creatura, dei gruppi, dei popoli che cercano – valorizzando le esperienze trascorse, con le attuali.
(p. 190)
XVIII
Come ogni epoca, ogni civiltà ha un suo potenziale ciclo (resta viva una parte e si diffonde nel tempo-spazio), anche la modernità si è avviata, poi affermata, e l’esasperazione di alcuni suoi irrigidimenti e delle sue lacune la induce in una crisi che va criticamente affrontata proponendo non tamponi alle ulcere e alle falle ma valide, organiche alternative.
Educatori, religiosi di qualsiasi fede, cooperativisti, associazionisti, sindacalisti, ambientalisti, pacifisti, politici, se autentici – oltre che scienziati, artisti, filosofi, come generalmente è avvenuto – possono contribuire a maturare, riconoscere e collaudare da ognuno con le esigenze etiche essenziali, i concreti processi strutturali. Nel comune interesse per la pace occorre che le istituzioni sclerotiche siano via via sostituite da strutture vive.
(p. 191)
***
Passi scelti dal secondo volume.
XIX
Come mai per la vicina Calabria non riesco ad ottenere in mesi e mesi dalla Presidenza regionale una sola cifra riguardante l’acqua?
Quanto capita a Gioia Tauro (ove il Ministero dell’Industria vuole imporre una Centrale a carbone notevolmente cancerogena, devastante) non soltanto è un modello di ignorante presunzione tecnologica, di irresponsabilità della Regione che non sa contrapporre alternative sane. E’ un modello di criminalità dell’attuale Stato italiano, contro la terra e le sue creature, contro l’aria e il respiro di ciascuno, contro il proprio paesaggio. Non può esistere pace ove la terra, le sue acque e le sue creature sono trascurate e maltrattate, ove la tecnica pretende dominare sfruttando invece di integrare interpretando.
(p. 36)
XX
Dalle centrali termiche a carbone all’accumulo di scorie radioattive fino allo spandimento di certi concimi chimici e di antiparassitari, l’acqua, ogni giorno vittima di crimini anche legali, è ormai problema di cultura etico-politica da affrontare coscientemente a scala planetaria. Sono iniziati eventi irreversibili, scompaiono intere specie vegetali e animali.
L’inquinante sfruttamento – o la non valorizzazione – ambientale dell’acqua, dipende certo in ogni tempo anche dalle forme della gestione “politica”.
La ripartizione dell’acqua comporta anche norme giuridiche, dipende pur dai codici. Come i diritti vengono acquisiti? In quale rapporto è un certo tipo di società con l’ecosistema in cui si vive?
Il dispotismo, la falsa democrazia pilotata da pochi e subita dalle miopi maggioranze disorganizzate, assume sovente aspetti “burocratico-carismatici”: a chi non pensa attentamente si spacciano per democrazia varianti burocratiche del dominio e del feudalesimo. L’effettivo valorizzare – non soltanto l’acqua – dipende dal saper eliminare i rapporti di dominio e servitù. Importanti non sono solo i problemi ma anche i modi usati per risolverli.
… Forme delle istituzioni, rapporti umani e rapporti con l’acqua sono correlati. I bambini più deboli muoiono, anche in Italia, di acqua che bevono da molte condutture intossicate da nitrati, pesticidi, residui industriali di piombo e mercurio.
(pp. 40-41)
XXI
Disturbi dell’orientamento fanno parte di molti quadri clinici, particolarmente quando è alterata la memoria o lo stato di coscienza (sindromi confusionali ecc.). Coscienza (conscientia), riferendosi a mappe più complesse di quelle geografiche, esprime la facoltà di avvertire, comprendere e valutare quanto si verifica nell’esperienza o si prospetta per il futuro: e dunque senso dell’orientamento etico. Congegni vari dell’orientamento – innati e appresi – cercano integrarsi.
(p. 61)
XXII
Nel rapporto subalterno a qualsiasi tipo di boss,non si esprime civile fiducia ma profitto e timore.
Nel rapporto clientelare non si esprime civile fiducia ma egoistica furbizia sottomessa.
La fiducia reciproca si articola apprendendo come è possibile operare insieme: è problema di metodo, connettere all’esperienza la cultura etica.
(p. 86)
XXIII
MAIEUTI ANCHE CON I “MORTI”
Scrive Rosellina da Palmi:
“… La vita è possibile, si esprime, cresce, se ci sono rapporti maieutici tra noi e le altre vite.
Nel leggere le bozze del nuovo libro mi si chiarisce meglio la necessità di «essere maieuti anche coi morti».
Far parlare, far rivivere l’anima di ampie e profonde coscienze, aiuta a non disperdere un prezioso patrimonio della vita stessa; non citazioni erudite ma esperienze evocate a dialogare tra loro e con noi, che arrivano straordinariamente lucide e attualissime. Insieme accordate a continuare la ricerca dei secoli ma – questo mi pare straordinario – in modo nuovo: con gli interventi connettivi quasi parla una sola voce dai diversi articolati accenti.
Una lingua della coscienza?
Possiamo entrare in comunione pure con chi ormai non vive più fisicamente? E’ morto, chi si esprime ancora in noi?”
… E’ vero, Rosellina: Molto frequentemente non si vuole vedere, non si vuole sapere. Metodo non significa approdare definitivamente: ogni volta va integrato, va reinventato.
(p. 151)
XXIV
ETICA E POLITICA
Anche se letteralmente morale è traduzione, sinonimo di etico, i due termini vanno assumendo opportunamente due sensi diversi.
Se la morale è un insieme di regole relative al costume, l’etica autentica – come ogni forma di creatività, la poesia e il comunicare fondo, l’amore – non precetta.
Chi vive eticamente si reinterroga ad ogni rapportarsi. Comunicare è fondo corrispondersi, ogni volta variato, non rigido scambio, non socialità superficiale.
Manchiamo di coscienza collettiva, socialità profonda. Vi aspiriamo. L’unità planetaria che sogniamo può essere composta soprattutto attraverso la comunicazione, occasione feconda di verifica.
Altro è doversi scontrare con tutto e tutti, e altro è partecipare, pur rimanendo autentici, a una struttura valorizzatrice. La struttura maieutica ricerca di risolvere “l’antitesi fra integrazione sociale e autonomia del singolo”.
Vaclav Havel coraggiosamente osservava nel 1978: “Il complesso statico dei partiti politici di massa, ammuffiti, concettualmente verbosi e attivi per fini propri, che dominano con il loro staff di professionisti e tolgono ai cittadini qualunque concreta e personale responsabilità … difficilmente può essere considerato come la strada futura che porterà l’uomo a ritrovare se stesso.
… La prospettiva della rivoluzione esistenziale è soprattutto prospettiva di una ricostruzione etica della società, una nuova esperienza dell’essere, il ritrovato rapporto con l’altro uomo e con la comunità …, nascita di strutture aperte, dinamiche, dal basso, in un dialogo vivo con i bisogni autentici”.
La pratica non è inferiore all’etica. Teoria e pratica in laboratorio si alimentano reciprocamente. Theoria significa giudizio, Theorema è la meditazione. Una pratica priva dell’ipotesi non matura esperienza. L’autentico politico non “applica le regole” della morale. La politica non va subordinata all’etica, né viceversa. Anche la politica è laboratorio, se autentico, di etica: operando, può inventare creativamente. La politica e l’etica, filosofie-scienze-arti del vivere, si orientano reciprocamente, inscindibili. L’etica a prospettiva planetaria orienta dall’intimo di ciascuno – da ogni polis al bene comune, la politica.
Non basta unirsi nella disciplina che costringe ciascuno. Non basta il dovere essere delle Carte.
La comunicazione concepita come amore è avvertita unificante da oltre duemila anni ma l’intuizione eroica eppure labile non basta: occorre ritradurla in espressione di necessità per ciascuno, per tutti. L’etica per essere riconosciuta universale deve poter esprimere esigenze di ciascuno, di tutti. Per risultare invero convincente ci occorre una legge che maturi con la co-scienza di ciascuno al mondo, radicata nella necessità: e si concreti come una conquista nei conflitti di ogni creatura. Una etica non violentemente riconquistata e riverificata, sempre, da ognuno al mondo.
Comunicare come condizione di salute, salvezza, è un altro respirare.
Più a fondo e più complesso respirare.
A chi obietta che l’identità stessa è “il prodotto dell’evoluzione storica e delle interrelazioni sociali” si può osservare: è anche questo, che prova ad integrarsi collaudando, mentre mira al futuro più opportuno a sé e all’insieme.
Imparare a valorizzare ognuno nella sua semplice diversità, valorizzare ogni “unicità” (con Novalis, poeta della notte) in strutture maieutiche di gruppo, supera ogni individualismo.
Diagnosi e terapia planetaria, avviandoci dai problemi puntuali. Al consulto partecipino esperti di ogni disciplina: ma la gente mobiliti la sua dolorosa, e pur fertile, esperienza. Anche i più deboli, i più sofferenti.
Come la medicina è scienza-arte, e pur maieutica filosofia, così l’etica, in senso preventivo, valorizzando ogni contributo intuitivo dei secoli, e scientifico in futuro.
Non sopra autoritari pregiudizi. Sulla sapienza di una nuova scienza l’etica può fondarsi, sul bisogno na(sci)turale di comunicare che sperimenti a coorganizzarsi strutturando occasioni maturanti ogni crescita propria: generando dalla necessità nuovo potere.
Il dominare implica sadismo: perversione che trae eccitamento o potere dall’offendere e infliggere sofferenze, anche in forme autoritarie e inibitorie, fisiche o simboliche. Un proverbio specifico al riguardo: “Cumannari è mugghi di futtire”. Né il consenso ad essere violentati elimina la colpa-malattia: “La società ha il diritto-dovere di proteggersi dal culto della violenza perché considera un male la degradante voluttà derivata dall’infliggere dolore”.
Comunicare è legge per la crescita, è legge per la vita.
Ogni esprimersi di un rapporto nuovo ci è un frammento della verità. Riconosco me nell’altro, riconosco l’altro in me. Il mio vedere interpreta ogni altro: mi nutre e, guardandolo, lo nutro. Nel rapporto reciproco cresciamo, non solo in conoscenza. La verità diviene, è una conquista continua. La maieutica è condizione e metodo di strutturante ricerca.
L’etica è essenza del comunicare, non una apposizione. Anche in politica.
L’apertura reciproca non basta a superare quanto ci è diverso. L’altro non è inferiore o superiore ma occasione per superarci, nuovi, nell’incontro profondo, nel rimuoverci dal particolare verso l’universale che si evolve.
Nelle pieghe di ogni nuova scelta si annida una possibile, diversa, tragedia.
(pp. 191-193)
***
Passi scelti a cura di Raffaello Saffioti
NOTE
1 Franca di Lecce, “Emergenze costruite”, su “il dialogo” del 13 dicembre 2014 (Vedi link).
2 DANILO DOLCI (a cura di), Variazioni sul tema “comunicare”,Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia, 1991, vol. I, p. 17.
3 DANILO DOLCI (a cura di ), Sorgente e progetto. Per una ricerca autoanalitica dall’intima Calabria all’industria del Nord, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 1991, p. 7.
4 Quarta di copertina di Danilo Dolci, Poema umano, Einaudi, Torino, 1974.
5 Nota in Danilo Dolci, Il ponte screpolato, Stampatori, Torino, 1979, p. 217.
6 DANILO DOLCI, Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino, 1988, p. 9.
7 Da segnalare una recente pubblicazione: GIUSEPPE CIPOLLA, Danilo Dolci e l’utopia possibile, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2012, pp. 218.
8 La Nota è riportata nel mio libretto Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi, 2007 (www.peacelink.it/gdp/a/25003.html).
9 DANILO DOLCI, La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze), 1996, p. 128.
10 DANILO DOLCI, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 1993, vol. I, p. 150-151.
11 DANILO DOLCI, Nessi fra esperienza etica e politica, Piero Lacaita Editore, Manduria – Bari – Roma, 1993, vol. I, pp. 7-8.



Martedì 16 Dicembre,2014 Ore: 17:05
 
 
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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 16/12/2014 19.20
Titolo:
Grande il contributo all'indagine della realtà e all'analisi critica del presente messo in relazione con un passato molto preciso:quello di Danilo Dolci.In uno Stato moderno e democratico come l'Italia la classe dominante conserva e esercita il potere anche attraverso l'apparato politico e della informazione.Purtroppo sia la politica che l'informazione hanno preso strade sbagliate e si stanno abbrutendo.Qualcuno mi ha insegnato,quando andavo a scuola ,che la Politica è"servizio sociale"cioè amministrazione dello Stato e direzione della vita pubblica nell'interesse dei cittadini.Oggi invece constato amaramente che la politica è un affare anzi un malaffare volto solo al vantaggio personale.Nella nostra bella  Italia dilaga il fango,la corruzione che porta via con sè la legalità e e i grandi valori della vita come l'onestà.Meno male che sono ancora tante le persone oneste che pagano le tasse ,anche se sfiduciate e deluse da politici furbi e truffaldini che tradiscono le promesse fatte.Cosa fare?Gli Italiani meritano di meglio?Dobbiamo aumentare il livello di controllo  e di denuncia o starcene alla finestra a guardare?

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