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www.ildialogo.org DON MILANI E SOCRATE<br>IL VERO AMORE ALLA LEGGE,di Raffaello Saffioti

Editoriale
DON MILANI E SOCRATE
IL VERO AMORE ALLA LEGGE

di Raffaello Saffioti

Due grandi maestri della storia: Socrate e don Milani
Nei giorni in cui il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è chiamato a difendersi nei processi in tribunale, se si osserva il suo comportamento nei confronti dei giudici, vengono in mente due processi famosi, uno della storia antica, un altro della storia contemporanea, che videro come imputati Socrate e don Lorenzo Milani.
Socrate e don Milani sono tra i grandi maestri nella storia dell’educazione, ma furono accusati uno di corruzione dei giovani e di empietà, l’altro di apologia di reato, come dire accusati di essere cattivi maestri. Socrate fu condannato a morte dal Tribunale di Atene alla fine del V secolo a. C. e morì bevendo la cicuta. Don Milani, assolto in primo grado dal Tribunale di Roma nel 1966, venne condannato in appello, e “il reato estinto per morte del reo”.
Quale fu il comportamento durante e dopo il processo dei due imputati?
Quale l’insegnamento dei due grandi maestri?
“Il vero amore alla legge”
Don Milani nella “Lettera ai giudici” ha scritto:
“In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero.
Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. (…)
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l’anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore”.
(Documenti del processo di don Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Libreria Editrice Fiorentina, 1969, pp. 37-9)
Socrate in carcere prima della esecuzione della sentenza riceve la visita dell’amico Critone che gli propone di mettersi in salvo evadendo dal carcere. Socrate ragionando rifiuta la proposta e dimostra che bisogna obbedire alle leggi della città, anche se ingiuste.
Il dialogo di Socrate con le Leggi
Nel dialogo Socrate dice a Critone:
“Per nessuna ragione mai si deve fare ingiustizia; neanche se ingiustizia ci è fatta”.
“… non è mai cosa retta né fare ingiustizia né rendere ingiustizia, né, chi soffra male, vendicarsi restituendo male”.
Socrate immagina cosa gli chiederebbero le leggi se egli evadesse. E’ la famosa prosopopea.
“Se ci venissero incontro le Leggi e la città tutta quanta, e ci si fermassero innanzi e ci domandassero: - Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare? … Che cosa hai da reclamare tu contro di noi e contro la città, che stai tentando di darci la morte?
Ma ora che sei nato, che sei stato allevato, che sei stato educato, potresti tu dire che non sei figliolo nostro e un nostro servo e tu e tutti quanti i progenitori tuoi? E se questo è così, pensi tu forse che ci sia un diritto da pari a pari fra te e noi, e che, se alcuna cosa noi tentiamo di fare contro di te, abbia il diritto anche tu di fare altrettanto contro di noi? O che forse, mentre di fronte al padre tu riconoscevi di non avere un diritto da pari a pari, e così di fronte al padrone se ne avevi uno; il diritto, dico, se alcun male pativi da costoro, di ricambiarli con altrettanto male; e nemmeno se oltraggiato di oltraggiarli, e se percosso percuoterli, né altro di questo genere: ecco che invece, di fronte alla patria e di fronte alle leggi, questo diritto ti sarà lecito; cosicché, se noi tentiamo di mandare a morte te, reputando che ciò sia giusto, tenterai anche tu con ogni tuo potere di mandare a morte noi, che siamo le Leggi e la Patria, e dirai che ciò facendo operi il giusto, tu, il vero e schietto zelatore della virtù? O sei così sapiente da avere dimenticato che più della madre e più del padre e più degli altri progenitori presi tutti insieme è da onorare la Patria … e che, o si deve persuaderla o s’ha da fare ciò che ella ordina di fare, e soffrire se ella ci ordina di soffrire…
… che se a taluno queste leggi non piacciono è libero di prender seco le cose sue e di andarsene dove vuole… Ma chi di voi rimane qui, e vede in che modo noi amministriamo la giustizia e come ci comportiamo nel resto della pubblica amministrazione, allora diciamo che costui si è di fatto obbligato rispetto a noi a fare ciò che noi gli ordiniamo…
… Diciamo o non diciamo la verità quando affermiamo che tu, realmente e non a parole, avevi convenuto di regolare secondo noi la tua vita di cittadino?
- Che cosa dobbiamo rispondere a queste parole, o Critone? Non dovremo consentire che le Leggi dicono la verità?”.
(Platone, Critone, Laterza, 1967, pp. 49, 52, 54, 56, 57, 59)
“Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, di Piero Calamandrei
Ricordiamo che è  stato un insigne giurista e avvocato del secolo scorso, Piero Calamandrei, a fare l’elogio dei giudici, richiamando il processo di Socrate.
“Socrate nel carcere spiega serenamente ai discepoli, con una eloquenza che mai nessun giurista ha saputo uguagliare, qual è la suprema ragione sociale che impone, fino all’estremo sacrificio, di prestare ossequio alla sentenza anche se ingiusta: il passaggio in giudicato della sentenza importa che essa si distacchi dai suoi motivi, come la farfalla che esce dal bozzolo, e diventi da quel momento inidonea ad esser qualificata giusta o ingiusta, posto che essa è destinata a costituire d’ora in poi l’unico e immutabile termine di paragone, cui gli uomini dovranno riferirsi per conoscere qual era in quel caso la parola ufficiale della giustizia.
Il giudice è il diritto fatto uomo; solo da quest’uomo io posso attendermi nella vita pratica quella tutela che in astratto la legge mi promette … Per questo si indica nella iustitia, non semplicemente nel ius, il vero fundamentun regnorum…”.
(Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Ponte alle Grazie, 2009, pp. 10-11)
Il vero amore alla legge e l’obiezione di coscienza
“I care”
 
In questi giorni dei “ragazzi della scuola di Barbiana” in cui vive “lo spirito di don Milani”, diventati nonni, hanno scritto una “lettera aperta” al Presidente della Repubblica con la quale testimoniano quanto hanno appreso dal loro Maestro sul tema del “vero amore alla legge”. In essa si legge:
“Il degrado morale e politico che sta investendo l’Italia ci riporta indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto-dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza.
(…) Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad un uso costante della legge per difendere l’interesse di pochi, addirittura di uno solo, contro l’interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi”.
(…) Quando l’istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l’obbligo di fare qualcosa per arrestarne l’avanzata”.
Gli autori della “Lettera aperta” chiedono al Presidente della Repubblica di fare “obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione”. E concludono:
“Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei”.
Ma oggi siamo tutti interpellati dallo “spirito di don Milani”.
E’ lo stesso spirito che si esprime nella “Lettera ai giudici”(1965).
In essa leggiamo:
“Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parte della nostra scuola c’è scritto grande: ‘I care’. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E’ il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’” (Documenti del processo di don Milani, L’obbedienza non è più una virtù, cit., p. 34).
Palmi, 20 aprile 2011
Raffaello Saffioti
rsaffi@libero.it


Mercoledì 20 Aprile,2011 Ore: 14:31
 
 
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