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www.ildialogo.org TOGLIERE LA PAROLA AI POVERI? GIÀ FATTO,di Mario Pancera

Dopo Kakania / 25
TOGLIERE LA PAROLA AI POVERI? GIÀ FATTO

di Mario Pancera

Chi non ha denaro non può parlare, chi non può parlare non ha potere. Presidente, venga nel cuore cattolico di Milano e ricordi don Zeno di Nomadelfia


«L’Italia deve far fronte a grossi rischi per la propria finanza, per la propria economia. Deve riuscire a fare bene la sua parte per l’Europa e per se stessa, e quindi chiede sacrifici agli italiani di tutti i ceti sociali, anche agli italiani dei ceti meno abbienti», ha detto il presidente della Repubblica, Napolitano, alla tv il 16 dicembre 2011. E perché questa richiesta di sacrifici anche ai già «meno abbienti»?
 
«…Perché si facciano le scelte indispensabili al fine di preservare lo sviluppo della nostra economia e della nostra società in un clima di libertà e di maggiore giustizia». E tutti capiscono che in questa società italiana che «bisogna preservare», non c’è giustizia, perché ne occorre una «maggiore». La giustizia è come la libertà: o c’è o non c’è. Si parla sempre di minore o maggiore, naturalmente, ma sono termini per tenere calmi gli animi, per assopire il pensiero; per schiacciare psicologicamente i cittadini. Certo, tutti lo capiscono, ma il mondo va così in fretta, che pochi o nessuno riflette sulla realtà.
 
Allora riflettiamo su chi bisogna sopire: i ceti meno abbienti, in modo tale che stiano zitti quando si devono far pagare a loro i debiti e le ricchezze accumulati dai ceti più abbienti. Insomma: i poveri devono compensare con i loro sacrifici, quello che già hanno fatto loro perdere i ricchi. Devono aggiungere sacrifici ai sacrifici già fatti. I ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri: l’economia e la società da preservare «in un clima di libertà e di maggiore giustizia».
 
Forse il presidente voleva dire qualcosa di diverso, e questa mia interpretazione non è corretta. Mi sono dunque spaventato per niente? Una volta, quando il presidente di oggi era un esponente del Partito comunista italiano, i ceti meno abbienti venivano chiamati il proletariato, le classi o le masse lavoratrici; mentre la Chiesa, che non amava dividere il suo popolo in classi e aborriva il termine «proletariato», li chiamava semplicemente «poveri». Si richiamava a Gesù e a Francesco d’Assisi.
 
Sono stato istruito sulla base del Vangelo, un comunista dei tempi del presidente Napoletano si è istruito – immagino - su Marx. Per me il cristianesimo, per lui il comunismo. Per me san Pietro, per lui Stalin. Quando dicevo e dico povero dico «povero», e chiamo «ricco» il ricco. Un comunista chiamava l’uno «proletario», l’altro «capitalista». Sia il Partito comunista, sia la Chiesa, ognuno alla sua maniera e col suo linguaggio, dichiaravano di difendere i  poveri.
 
Nessun cristiano avrebbe mai pensato di dire ai poveri: «Dovete dividere i sacrifici con i ricchi». I poveri ne facevano già abbastanza. Avevano semmai il diritto di chiedere o, meglio, il diritto di avere, non quello di continuare a dare. I sacerdoti gli chiedevano pazienza, che a me (stando a quello che imparavo dal mio parroco, Primo Mazzolari) pareva già una bestemmia. Gesù non mi sembrava molto paziente, anzi.
 
Don Lorenzo Milani preconizzava che un giorno i poveri avrebbero potuto prendere in mano i loro forconi e fare un bagno di sangue nella società; don Zeno Saltini, l’ideatore di Nomadelfia, gridava nelle piazze in favore dei suoi ragazzi: «Padre Lombardi dice sempre: i ricchi devono dare. Sta’ a sentire: perché non insegni alla gente che deve prendere? Noi non siamo contro nessuno, è il governo che è contro di noi». A quel tempo il governo era democristiano: «È un governo cattolico quello che lascia maneggiare miliardi agli speculatori?».
 
Nessun comunista, nemmeno il più tiepido, ai tempi del Pci di Napolitano, avrebbe aperto un comizio dicendo: «Proletari di tutto il mondo unitevi e aiutate i capitalisti a preservare questa società». Quale comunista o ex comunista può dire, oggi, senza un brivido che per preservare questa società i proletari devono fare i sacrifici come i capitalisti? Che occorre fare le liberalizzazioni anziché le nazionalizzazioni? Che occorre salvare i possessori di banche anziché i lavoratori?
 
A Milano vedo molti, moltissimi poveri; qualcuno è in camicia e cravatta altri sono «barboni». Dormono in strada, nei giardinetti, in auto, sotto i portici. Qualsiasi cristiano e comunista o ex comunista li può vedere. Ne segnalo alcuni gruppi tra piazza del Duomo e piazza San Babila, nella Corsia dei Servi, accanto alla chiesetta di San Vito e al Centro Giuseppe Lazzati (cioè in un cuore, diciamo, cattolico della città: quello di frati, preti e laici di fede profonda e idee sociali molto avanzate). Feste e luci di Natale. A causa del freddo sono distesi sul lastrico, sotto coperte colorate di vario genere, sotto cartoni anche in pieno giorno: si vedono le teste che parlano tra loro. Venga, Presidente, ad ascoltarli. Non li ascolta nessuno.
Mario Pancera


Giovedì 22 Dicembre,2011 Ore: 17:07
 
 
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