- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (328) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org AVIDITÁ DI POCHI, CRISI DI TUTTI,di Gianni Penazzi

AVIDITÁ DI POCHI, CRISI DI TUTTI

Le tesi dell’eretico Francuccio Gesualdi, allievo di don Milani a Barbiana


di Gianni Penazzi

L’economia è ormai il principale orizzonte di senso della nostra vita sociale. Nella visione di una crescita infinita, rappresentava anche per gli esclusi, gli ultimi, gli sfavoriti la credibile promessa di una futura vita migliore, fino al momento del disincanto, del “non è più così”! Gli imperativi del mercato ci presentano la tonalità fondamentale del sacrificio, del debito come colpa, dei bisogni elementari che sono sprechi. C’è un altro progetto possibile? C’è un itinerario verso il buen vivir capace di riaccendere entusiasmi, speranze, partecipazione? Possiamo ancora riprenderci l’economia come strumento verso un nuovo umanesimo?
Queste e mille altre domande abbiamo posto ad un eretico, un vero eretico del nostro tempo passato fra noi a Lugo, durante la XX’ edizione del seminario di fine settembre IL DELIRIO DELL’ECONOMIA, testo e pretesto di un ciclo di incontri come momento di sosta dei viandanti alla ricerca di cammini fondativi, come laboratorio di confronto e di conforto, come spazio comunitario ove condividere difficili interrogativi.
Nel ventesimo compleanno del Delirio, perché non ricordare per un attimo quell’idea nata tra un gruppo di amici di area cattolica e non, intorno al 1995 mentre il regime militare nigeriano impicca uno dei suoi massimi scrittori e poeti, Ken Saro-Wiwa, per il suo impegno contro l’AVIDITÁ dell’industria petrolifera, la complicità del mercato globale, l’ingordigia dei potenti locali; per le sue campagne pubbliche contro la Shell responsabile di avere trasformato la nazione in un cimitero di bestie, genti, ecosistemi. Contemporaneamente a Marrakech veniva sancita la nascita del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio che, raggruppando 186 nazioni, controllerà il 97% del commercio mondiale di beni e servizi, entrando in stretta collaborazione con BM (Banca Mondiale) e con FMI (Fondo Monetario Internazionale), macchiandosi negli anni a seguire di indiscutibili misfatti.
Francuccio Gesualdi, l’eretico di Barbiana
L’eretico è Francuccio Gesualdi, ricercatore, saggista, attivista, allievo di don Milani alla scuola di Barbiana dai giorni della scrittura collettiva di Lettera a una professoressa. Fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo (Pisa), animatore di numerose campagne nazionali di pressione e boicottaggio, fondatore con Padre Alex Zanotelli della Rete di Lilliput.
In apertura di serata si è preferito saltare la solita biografia per leggere uno scritto del maestro Nino Taglioni, in questi giorni ricoverato in ospedale, sostituito al tavolo del relatore dal prof Saturno Foschini. La scelta del testo, descrittivo dei metodi e dei principi educativi della scuola di Barbiana, ha inteso mostrare il terreno e il profondo spirito ove sono germogliati l’opzione di vita, la testimonianza e l’impegno civile di Francuccio Gesualdi. Poi gli abbiamo passato il microfono. Il nostro piccolo uomo delle grandi lotte ha esordito con le sue lucidi invettive: contro lo strapotere delle Multinazionali ramificate sull’intero pianeta, mettendo a nudo i loro subdoli mezzi persuasivi sui consumatori e sui governanti; con il suo pacato furore contro la finanziarizzazione della società globale, colpevole l’AVIDITA’ delle banche d’affari che in nome degli alti guadagni d’azzardo, con lo scivolone del 2008 hanno scatenato una crisi senza fine; con la sua indignazione contro quei cittadini-sudditi, assuefatti agli schemi, intorpiditi dal fatalismo o dall’incantamento depressivo, che non ricercano la consapevolezza, la partecipazione, la dignità del passaggio da schiavi a cittadini sovrani.
Il luogo preferito da Gesualdi per comunicare è tra la gente, direttamente, oppure attraverso i suoi numerosi libri stampati da case editrici non allineate. Non lo abbiamo mai visto, e neanche lo vedremo, nei salotti intellettuali, nei talk show, o nella “terza Camera” di Vespa! Per scelta e per ostracismo, come ogni oppositore al Sistema, al Potere. Il tema affidatogli, AVIDITÁ DI POCHI, CRISI DI TUTTI, è stato sviluppato in otto punti: 1. la globalizzazione come motore di iniquità;
2. l'esplodere della finanza e del debito; 3. l'industria della speculazione sul debito; 4. la malagestione da avidità; 5. perdite finanziarie e crisi del sistema bancario; 6. salvataggi bancari ed esplosione dei debiti sovrani; 7. le conseguenze sociali del debito pubblico; 8. vie di uscite dalla parte dei cittadini.
L’avidità di Dante
Ma cosa è l’avidità e chi siano gli avidi, era una domanda che già Dante si poneva nel VII canto dell’inferno: Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa / e d’una parte e d’altra, con grand’urli / voltando pesi per forza di poppa.
Sono coloro che in vita amarono il denaro e i lussi, affaticandosi ad accumularne a dismisura e che per la legge del contrappasso, post-mortem, si affanneranno per l'eternità a spingere con il petto massi di dimensioni diverse, urlando e rimproverandosi.
Oggi l’avidità è sistemica della finanza e dell’imprenditoria, che non si fanno scrupoli a saccheggiare, truffare, corrompere,
inquinare, sfruttare pur di accrescere i loro profitti. Lasciando ricadute insostenibili sulle spalle delle popolazioni, in termini di aumento della tassazione, aumento della disoccupazione, diminuzione dei servizi fondamentali.
Il debito pubblico viene preso come pretesto per demolire totalmente l’economia comunitaria, quella che ancora ci garantisce la sanità più o meno gratuita, la scuola pubblica, la previdenza sociale.
Prima di demolire
A demolire si fa presto. Basta una riunione di governo per svendere gli edifici pubblici, per consegnare i servizi ai privati (vedi acqua pubblica nonostante il referendum 2011 con il voto di 27milioni di italiani favorevoli all’acqua bene comune), per cancellare la previdenza sociale. Basta un referendum sulla riforma costituzionale montato compulsivamente ad arte per genuflettersi alla richiesta di «attenuare le democrazie e restringere i diritti civili » da parte delle sette sorelle, cioè le banche d’affari JPMorgan, Goldmann Sachs..., con la minaccia di ritiro dei capitali stranieri investiti! Ma per tornare ad avere un’economia pubblica solida, capace di garantire a tutti sicurezze e diritti, ci vogliono decenni di fatiche. “Pensiamoci prima di accettare supinamente che la nostra casa comune venga smontata pezzo per pezzo. Insorgiamo a sua difesa per garantire un futuro di civiltà a noi e ai nostri figli e a coloro che verranno. Perché la civiltà non si misura col numero di supermercati che infestano il territorio o col numero di megabyte del nostro Ipod. La civiltà si misura col grado di solidarietà collettiva che siamo capaci di mettere in atto”. Gesualdi ci invita, per comprendere meglio il momento attuale, a tornare indietro nel tempo, ancora prima della crisi del 2008 manifestatasi negli USA. “Dobbiamo partire dall’ingiustizia crescente a livello mondiale, come conseguenza della globalizzazione, ossia del tentativo di trasformare il mondo intero in un unico mercato, un'unica piazza finanziaria, un unico spazio produttivo. E' il passaggio da un tipo di economia mondiale strutturata su nazioni con piena sovranità di regolamentazione di merci e capitali in entrata/uscita, ad un altro tipo di economia in cui merci e capitali sono liberi di fluire da un paese all'altro senza vincoli di sorta. Tale trasformazione non è avvenuta per caso, ma per servire gli interessi delle multinazionali, le nuove imprese che dominano il mondo”.
Il vecchio lupo capitalista
Che cosa sono tecnicamente le multinazionali? “Sono gruppi societari che hanno la caratteristica di possedere filiali dislocate in più paesi del mondo. Le Nazioni Unite stimano che i gruppi multinazionali siano 320.000 per un totale di 1 milione di filiali. I loro dipendenti sono 80 milioni pari al 4% della forza lavoro mondiale. Con un valore netto della produzione stimato in 20mila miliardi di dollari, contribuiscono al 15% del prodotto lordo mondiale, mentre controllano due terzi di tutto il commercio planetario di beni e servizi”.
In fondo le multinazionali sono imprese come tutte le altre ma che si differenziano per dimensione e transnazionalità. Data la loro enorme capacità di produzione e di vendita, nessuna nazione può offrire un bacino di consumatori sufficiente ad assorbire i loro prodotti. Imprese sorte negli Stati Uniti, come Coca-Cola, Ford, McDonald's, come possono accontentarsi del solo mercato nazionale? Da qui la necessità di un mondo senza barriere commerciali, senza dazi, senza regole sanitarie o ambientali peraltro diverse da paese a paese a complicare le cose. Via tutto, per permettere alle merci, ai capitali, agli investimenti di fluire liberamente da un paese all'altro, senza dover rispettare nessuna altra regola se non quella del profitto e della concorrenza. “Le multinazionali hanno esercitato sui governi ogni sorta di pressione per ottenere la totale liberalizzazione del commercio e, grazie al WTO del 1995, hanno riscritto le regole dell'economia mondiale tenendo solo conto degli interessi delle grandi imprese. Ma la presenza di tre miliardi di poveri fa del mondo un piccolo mercato che le imprese cercano di sottrarsi a vicenda senza esclusione di colpi. Tant'è la concorrenza si è fatta più aspra e non è stata combattuta solo con i mezzi moderni della tecnologia, del design, della velocità di consegna, ma anche con le armi più tradizionali della pubblicità e dell'abbassamento dei prezzi. Un insieme di misure che assottigliano i profitti se contemporaneamente non vengono ridotti i costi. Così nel vecchio lupo capitalista è riemerso, prepotente, l'istinto di azzannare il lavoro, con strategie differenziate a seconda del settore. In quelli ad alta tecnologia è stata intensificata l'automazione, mentre nei settori a prevalente manovalanza si è optato per la delocalizzazione, compiendo un trasferimento produttivo in quei paesi del mondo dove la gente è così povera da accettare di lavorare per una scodella di riso: Cina, Indonesia, Vietnam, Bangladesh, ma anche Romania, Moldavia, Serbia.
Di colpo è stata riscritta la geografia mondiale della distribuzione del lavoro provocando ovunque scossoni: sfruttamento e industrializzazione selvaggia nel Sud, aumento della disoccupazione e riduzione dei salari nel Nord. Un attacco al lavoro in piena regola che ha prodotto come risultato finale la riduzione della massa salariale a livello globale. In Cina, dal 1997 al 2010, la quota di prodotto lordo destinato ai salari si è ridotta dell’8%, passando dal 51 al 43%, nei paesi OCSE si è ridotta di quasi il 10% passando dal 60% nel 1976 a poco più del 50% fino al 2010. Se ne può dedurre che i profitti sono aumentati in egual misura.
Dolce musica per i detentori di capitale, ma al tempo stesso rumore sordo di tempesta: se i salari scendono, chi comprerà tutto ciò che si produce?
Crisi da scarsità di mercato
In effetti l’ombra della crisi da scarsità di mercato si è manifestata fin dall’inizio della globalizzazione con l’arrivo di due cavalieri. Il primo: l’espansione della finanza, un fenomeno che fa capolino ogni volta che aumentano i profitti, ma ci sono basse prospettive di vendite. Non avendo convenienza ad investire in nuove attività produttive, i detentori di capitale preferiscono fare fruttare i loro soldi in attività di speculazione finanziaria.
Il secondo cavaliere è l’espansione del debito, un fenomeno che fa capolino ogni volta che i magazzini si ingolfano di materiale invenduto. Non trovando altro modo di fare assorbire la produzione, il sistema spinge famiglie, imprese e stato ad indebitarsi affinché consumino al di sopra delle proprie possibilità. Tant’è, nel giugno 2008, gli Stati Uniti, campioni del superconsumo mondiale, registravano un debito complessivo pari al 350% del PIL”.
Ma chi ha fornito i soldi per una simile cura ingrassante?
Nel caso dello Stato, il debito è finanziato dall’emissione di buoni del tesoro, gran parte dei quali acquistati da paesi esportatori con grandi riserve monetarie, primo fra tutti la Cina. Nel caso delle famiglie i prestiti sono stati concessi dalle banche soprattutto per l’acquisto di case. Nei primi anni duemila il mercato immobiliare tirava, i prezzi crescevano e dunque indebitarsi per una casa sembrava un affare per tutti. Le banche offrivano prestiti anche alle famiglie più povere, per male che fosse andata avrebbero potuto rivendere la casa e ricavarne abbastanza per restituire il mutuo e comprare anche un auto nuova. La crisi è arrivata quando il mercato della casa è entrato in frenata, i prezzi hanno cominciato a scendere, la formula indebitati e vendi non ha più funzionato, milioni di famiglie hanno dichiarato di non poter ripagare i loro mutui, non riuscendo a rivendere l’immobile. È sopravvenuta la disfatta.
Caramelle tossiche
Probabilmente il terremoto sarebbe rimasto circoscritto alle banche che avevano concesso i prestiti, se queste non si fossero inventate dei modi per ottenere l’anticipazione dei loro crediti dal mercato finanziario. Meccanismi complessi e cervellotici basati sulla vendita di pacchetti tutto o niente: frammenti di debiti affidabili associati a frammenti di debito spazzatura. Così sono stati confezionati milioni di titoli tossici, caramelle dolci di fuori, amare di dentro, disseminati nell’intero mercato finanziario. Ignari del pericolo, se li sono comprati banche, fondi pensione, fondi di investimento, perfino assicurazioni, che a crisi conclamata si sono accorti di avere le casseforti piene di titoli che non valevano più niente perché ripudiati da tutti. Sono cominciati i primi fallimenti bancari, più nessuno si è fidato dell’altro, l’intera attività creditizia si è paralizzata per mancanza di fiducia reciproca, banche ed imprese hanno cominciato ad annaspare per mancanza di fondi, lo spettro della recessione è apparso sulla scena e ha ricoperto l’economia col proprio mantello. Vista la cattiva parata, sono scesi in campo i governi che complessivamente hanno impegnato 15mila miliardi di dollari per salvare le banche. Tuttavia la recessione non è stata evitata, ma solo attenuata.
Considerando solo i governi europei, questi hanno impegnato qualcosa come 3mila miliardi di euro, andando a peggiorare ovunque situazioni debitorie già compromesse. E per paura che i conti pubblici andassero fuori controllo fino al punto di non permettere ai singoli Stati di onorare i propri impegni con i creditori, l’Unione Europea si è data regole rigidissime di gestione dei bilanci pubblici. E’ l’austerità che tramite un nuovo trattato definito Fiscal compact ha sancito che la priorità di ogni governo deve essere il pagamento degli interessi e che il pareggio di bilancio è la nuova regola d’oro. L’effetto è stato un aumento di tasse e un taglio drastico ai servizi pubblici che oltre a fare aumentare povertà e disuguaglianze, hanno aggravato la crisi economica con l’aumento massiccio della disoccupazione.
Il debito è come una zecca. Affonda il suo arpione nelle casse pubbliche e sottrae denaro, nel caso italiano fra gli 80 e i 90 miliardi all’anno a seconda di come si muove la speculazione. In linguaggio finanziario si chiamano interessi. Nella lingua di tutti i giorni si chiamano impoverimento. Sono soldi di tutti, che invece di andare a finanziare asili, ospedali, scuole al servizio di tutti, vanno ad ingrassare i più ricchi. Perché solo i ricchi hanno risparmi da dare in prestito.
Il debito è un meccanismo di redistribuzione alla rovescia: prende a tutti per dare ai pochi che già hanno. E i risultati si vedono. L’Italia è sempre più disuguale.
L’Italia delle piramidi
Da società a uovo, l’Italia si sta trasformando in società a piramide. Prima c’era un piccolo numero di famiglie con redditi bassi, un piccolo numero con redditi molto alti e nel mezzo un gran numero di famiglie con redditi medi. Oggi molte famiglie di mezzo stanno migrando verso il basso mentre quelle di cima sono sempre più esigue.
Da un punto di vista patrimoniale, ossia della ricchezza posseduta sotto forma di case, terreni, auto, gioielli, titoli, capitali, le famiglie italiane possono essere suddivise in tre fasce. La cima, con il 10% delle famiglie, detiene il 46% dell’intera ricchezza privata. La fascia di mezzo, equivalente al 40% delle famiglie, controlla il 44% della ricchezza. Lo zoccolo di fondo, pur essendo il più ampio, pari al 50% delle famiglie, si aggiudica appena il 9,4% della ricchezza. [1]
Mediamente la ricchezza delle famiglie appartenenti al 10% più ricco è 22 volte più alta di quelle appartenenti al 50% più povero. Ma se possibile la realtà è ancora peggiore”.
Ma come giudichi il dilagare della povertà e il fenomeno dei nuovi poveri?
“Il sottoprodotto dell’ingiustizia è la povertà che anche in Italia si sta facendo sempre più acuta. In Italia, il numero di persone con grave deprivazione materiale è passato da 4 milioni nel 2010 a 7 milioni e mezzo nel 2014. In termini percentuali l’incidenza è passata dal 6,9 al 11,6% della popolazione. Varie le cause di questa crisi sociale che si fa sempre più grave. Ma un contributo importante lo danno le politiche di austerità che da anni i governi perseguono a favore del debito. In dodici anni, dal 2000 al 2015, sono state varate più di venti manovre correttive che fra maggiori entrate e minori spese hanno estorto agli italiani 650 miliardi di euro da destinare agli interessi.
L’assurdo della situazione è che ora neanche i creditori sono più così sicuri di voler spingere i debitori a pagare perché sanno che l'austerità è un'arma a doppio taglio. Nell'immediato spreme ricchezza a vantaggio dei creditori, ma nel lungo periodo soffoca la vittima fino ad ucciderla. E allora sarà come una gallina morta: non produrrà più uova per nessuno. Il livello di disoccupazione ci dice che siamo un pezzo avanti sulla strada dell’agonia. Nel periodo 2011-2015 la disoccupazione è cresciuta di oltre tre punti passando dall’8,4 all’11,5%. In tutto fa 3 milioni di persone, che però non sono
la fotografia reale dei disoccupati.[2] Questo numero si riferisce a quelli che cercano attivamente lavoro. Ma sappiamo che esistono altri 2 milioni di disoccupati che le statistiche non prendono in considerazione perché troppo scoraggiati per cercare lavoro.[3] Se sommassimo assieme i due gruppi otterremmo un totale di 5 milioni di disoccupati pari al 18% della forza lavoro. La disoccupazione colpisce in maniera particolare i giovani fra 15 e 24 anni. Al maggio 2016 i giovani disoccupati erano 600 mila pari al 37%.della forza lavoro giovanile[4] In pratica ogni 10 giovani disposti a lavorare, 4 non lo trovano. Ed ecco la crescita dei Neet, giovani stanchi e sfiduciati che né lavorano né studiano, stanno a letto e non si alzano neppure, secondo la definizione inglese Not in education or in employment training. Nel 2014 i giovani fra i 15 e i 29 anni nullafacenti erano 2 milioni pari al 22% del totale.[5]
E mentre la situazione sociale peggiora, le banche sono tornate a fare profitti, i bonus dei manager sono tornati a crescere con cifre a sei zeri, tutti brindano alla ripresa. Ma la ripresa non c’è, in molti paesi la disoccupazione è a due cifre. La prospettiva è che la bolla finanziaria torni a gonfiarsi mentre l’economia reale, quella della produzione e consumo, ristagni. E questa sarà la riprova che l’economia mondiale non uscirà dalla palude finché non riconoscerà che la crisi è dovuta all’ingiustizia sociale e non accetterà di ridistribuire la ricchezza in maniera più equa sia nelle nazioni che fra nazioni.
La paura è il mezzo utilizzato per dominarci, per fare passare per amico il traditore che ci sta portando al macello. E la paura funziona perché siamo ignoranti. Se solo fossimo più informati, se sapessimo che ci stanno spacciando per crisi ciò che in realtà è solo una truffa, ci ribelleremmo. Daremmo a tutti i professori e a tutti i politici dei gran pedatoni e troveremmo altre soluzioni ai temi del debito pubblico, della speculazione, della mancanza di credito”.
Gianni Penazzi
Ringraziamenti: Azienda NATURA NUOVA di Gabriele Longanesi Bagnacavallo
Bottega della Natura di Claudia Francesconi, Lugo. GAS Azienda Vinicola dr.Nerio Cassani - Imola
Biografia: Francuccio Gesualdi (CNMS-Pisa), ricercatore, saggista, attivista .Ha pubblicato vari libri e articoli riguardanti la negazione dei diritti umani, lo sfruttamento del lavoro minorile, il potere delle multinazionali, la crisi dell'occupazione, l'impoverimento a livello globale, il problema energetico, il debito del Terzo Mondo, l'inquinamento e la distruzione dell'ecosistema. Promuove idee e strategie mirate a favorire una rivoluzione degli stili di vita, della produzione e dell'economia, mediante il consumo critico, la "non collaborazione", il boicottaggio, il commercio alternativo, l'obiezione fiscale, la finanza sostenibile, le reti locali, la banca del tempo, lo sviluppo compatibile. Ha coordinato numerose campagne di pressione nei confronti di alcune multinazionali: Nike, Chicco/Artsana, Chiquita, Del Monte. Collabora con la rivista Altreconomia e ha fondato insieme ad Alex Zanotelli la Rete Lilliput. Nel libro "Dalla parte sbagliata del mondo" Gesualdi racconta a Lorenzo Guadagnucci la sua vita e le sue battaglie. Nel settembre 2009 ha dato inizio alla campagna "CERCA LA ROTTA", un coordinamento fra gruppi sparsi in varie parti d'Italia che assieme riflettono su un nuovo modo di fare funzionare l'economia e la società che pur disponendo di meno garantisce a tutti il soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Dal 2010 ad oggi pubblica: "Il prezzo del ferro"mappatura dei misfatti di una multinazionale del ferro e la risposta della rete di resistenza popolare che vi si oppone; "I fuorilega del nordest" romanzo sul tema della xenofobia; "I mercanti della notizia", elenco e analisi delle famiglie e delle istituzioni che di fatto detengono il potere economico e politico in Italia, un manuale per riconoscere giornali ed emittenti televisive in base ai loro proprietari; "Le catene del debito" (Ed. Feltrinelli) come possiamo spezzarle, un testo per indicare vie d'uscita dal debito pubblico dalla parte dei cittadini. Coordina e svolge attività presso il Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (PI), forum di studio e documentazione sugli squilibri sociali e ambientali internazionali, con l'obiettivo di indicare le iniziative concrete che ciascuno può assumere, a partire dalla propria quotidianità, per opporsi ai meccanismi che generano ingiustizia e malsviluppo. Una sezione del Centro svolge attività di ricerca sul comportamento sociale ed ambientale delle imprese con l'obiettivo di fornire informazioni ai consumatori tramite guide cartacee e siti internet. Particolarmente sviluppata anche la riflessione su temi come la decrescita e l'economia stazionaria. Nel 2014 è candidato con l'Altra Europa con Tsipras alle Elezioni Europee nella circoscrizione Italia centrale, dove ottiene complessivamente 8.973 preferenze, senza essere eletto.

NOTE
1 Banca d’Italia, La ricchezza delle famiglie italiane, Bollettino n.65 del 13 dicembre 2012
2 Istat, Occupati e disoccupati 1° luglio 2016
3 Istat, Rapporto annuale 2016
4 Istat, Occupati e disoccupati 1° luglio 2016
5 Oecd, Employment outlook 2014



Sabato 15 Ottobre,2016 Ore: 17:44
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Economia

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info