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www.ildialogo.org Sobrietà condivisa: una nuova ricetta per il pianeta in crisi,Adista Documenti n. 24 del 29/06/2013

Sobrietà condivisa: una nuova ricetta per il pianeta in crisi

Adista Documenti n. 24 del 29/06/2013

DOC-2533. MADRID-ADISTA. Austerità, sobrietà, decrescita: tre concetti che sembrerebbero affini, ma dietro cui possono celarsi ben distinte visioni del mondo. A cominciare da quella che stanno scontando assai duramente i cittadini europei: l’austerità nella sua veste neoliberista, quella che intende risolvere la crisi dell’euro a base di lacrime e sangue, esigendo che a versarli siano sempre e solo i lavoratori e le fasce più povere. Ma, come evidenziano i docenti universitari José Eduardo Muñoz Negro e Leandro Sequeiros in un articolo pubblicato dalla rivista Tendencias 21, nella sua sezione “Tendencias de las religiones” (www.tendencias21.net), l’austerità può essere intesa anche in un altro modo, declinandosi come sobrietà e, ancor meglio, come “sobrietà condivisa” (espressione con cui Pedro Casaldáliga e Jon Sobrino “traducono” la visione del gesuita martire Ignácio Ellacuría di una “civiltà della povertà”). O, anche, come decrescita (o decrescita felice), individuata da economisti del calibro di Nicholas Georgescu-Roegen (che ne è considerato il pioniere) o di Serge Latouche come l’unica possibile strada da percorrere dinanzi all’ovvia constatazione che non può esistere uno sviluppo infinito in un pianeta finito. È quanto, peraltro, rivela in maniera inappellabile quello strumento di misurazione noto come “impronta ecologica”, mostrandoci come, già oggi, la Terra impieghi un anno e mezzo per rigenerare quello che consumiamo in un anno. Senza contare che, sottolineano i due docenti, il modello di sviluppo portato avanti dal Primo Mondo, «basato sulla ricerca del profitto e sull’insaziabilità dei desideri», non essendo universalizzabile - se tutto il mondo presentasse lo stesso standard di vita degli statunitensi, degli europei o dei giapponesi, «la crisi ecologica sarebbe terribile» - , non è neppure etico.

Di seguito, ampi stralci dell’articolo di José Eduardo Muñoz Negro e Leandro Sequeiros, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

Per un’austerità ecosolidale in tempi di recessione


di J. E. Muñoz Negro e L. Sequeiros

 

L’austerità verso cui ci spinge il governo spagnolo per uscire dalla crisi è l’unica soluzione, è un processo necessario e inevitabile? O non sarà piuttosto un’opzione ideologica a cui ci si accosta per salvare i mercati? Esistono alternative? Su cosa si basa l’austerità che ci viene imposta? Ha qualcosa a che vedere con un concetto di vita buona o è semplicemente una copertura ideologica?E questo ci porta ad altre domande: chi ci governa in Spagna, in Europa, nel mondo? Possiamo parlare di sovranità? Di che tipo? Siamo governati dalla politica o dai mercati? Abbiamo bisogno di politici, di tecnici o di amministratori? C’è un pensiero politico nei partiti politici?Si può dire che l’economicismo si sia appropriato del linguaggio della vita. È, questa, la conseguenza della perdita di rilevanza della politica, strettamente connessa con la trasformazione dei partiti in oligarchie tecnocratiche governate da apparati assai poco sensibili alla realtà. (…). È la politica mercificata: si tratta in fin dei conti di vendere qualcosa al cittadino, che è trattato sempre più come consumatore di prodotti politici.Espressioni come “bisogna conquistare la fiducia dei mercati”, “si deve promuovere il consumo perché non si fermi l’economia”, “dimenticati di un lavoro che duri per tutta la vita” mostrano chiaramente fino a che punto siamo stati colonizzati da un linguaggio e da una visione della vita al servizio degli interessi di chi ha di più.

 

I POLITICI, GESTORI DELL’ECONOMIA

(…) La politica, che era originariamente la scienza incaricata di studiare il modo in cui soddisfare le necessità materiali delle persone, è stata sostituita dalla crematistica, l’arte di guadagnare soldi. Oggi il conflitto di interesse tra la politica e il mondo crematistico ha assunto grande rilevanza, producendo come risultato la corruzione generalizzata e l’assoluto discredito delle istituzioni. Esponenti della finanza in politica e politici nella finanza: due facce di una stessa moneta. (…).


FORME POLITICHE DELL’AUSTERITÀ

Ma cos’è che chiamiamo “austerità”? La parola “austerità” ci suona più forte di “sobrietà”. Significa negarsi volontariamente piaceri legittimi. (…). Ha a che vedere con un’esistenza centrata più sull’essere che sull’avere, ma allo stesso tempo con una limitazione delle pulsioni della vita. (…).Per un’approssimazione sociologica a questo termine, si può in primo luogo parlare dell’austerità puritana, che comporta fondamentalmente una sfiducia nei confronti delle passioni e dei sensi. È un radicalismo centrato sulla purezza. Una visione dualista dell’essere umano che comporta l’esaltazione dell’anima e la negazione del corpo. Rigorismo morale e visione negativa della corporeità. (…). Per quanto estranea al Vangelo, tale visione è penetrata assai presto nel cristianesimo, spostandone l’accento dalla giustizia al peccato, soprattutto il peccato della carne. E dando luogo a forme politico-religiose integraliste che hanno avuto più ripercussione nel mondo protestante che in quello cattolico, influenzando una determinata etica protestante in senso capitalista e costruendo mentalmente e socialmente una cultura del risparmio e dello sforzo. Ma questa non è l’austerità dei Vangeli. L’austerità dei Vangeli è quella della commensalità. Quella della condivisione della vita attorno a una mensa. Non è centrata sulla purezza, ma sulla giustizia. E critica il modo in cui la purezza funziona come copertura ideologica dell’ingiustizia. L’austerità evangelica non è in assoluto una rinuncia al piacere e alla corporeità, ma incardina questi all’interno dei valori del Regno di Dio.I Vangeli criticano il concetto di purezza come risultato dello sforzo umano e oppongono ad esso quello dell’abbondanza della grazia che Dio concede gratuitamente. Pulsione di vita o pulsione di morte? Nel film “Il pranzo di Babette” (1987) appare proprio questa visione: l’austerità puritana di fronte al “lusso della grazia”. Un’analogia tra la grazia divina e il piacere di condividere cibo di qualità.Viene criticata una visione superficiale che contrappone religiosità e sensualità. Il vero conflitto è tra la morte e la vita, tra il puritanesimo che nega la vita e la grazia che la offre. (…). Questo tipo di austerità esprime la sua relazione con la ricchezza e il denaro nel calvinismo. I ricchi sarebbero i “graziati” e una manifestazione di tale grazia sarabbe l’austerità puritana. Questa visione si ritrova nell’attuale forma politica dell’austerità, quella neoliberista.


AUSTERITÀ NEOLIBERISTA

Il secondo tipo di austerità può essere denominato austerità neoliberista. Le sue radici si incontrano nel neoliberismo di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher. (…). Si riduce il potere d’acquisto dei lavoratori attraverso la moderazione salariale, ma li si spinge all’indebitamento mediante tassi di interesse bassi. Oggi negli Stati Uniti i lavoratori hanno lo stesso potere d’acquisto che negli anni ‘70. Il risultato è la distruzione del paradigma dominante dopo la Seconda Guerra Mondiale, fondato su un forte intervento pubblico e sull’importante ruolo dello Stato - il capitalismo del Welfare State -, e la sua sostituzione con un modello centrato sul mercato, sull’iniziativa privata. Sono gli anni degli yuppies, come viene descritto nel film “Wall Street” (1987).Sono grandi cambiamenti geopolitici e sociologici a creare le condizioni per la possibilità del progetto neoliberista: la caduta del blocco sovietico e il discredito dello statalismo, della sfera pubblica e di quella collettiva. «Non esiste la società, esistono gli individui», avvertiva Margaret Thatcher. Il pontificato di Giovanni Paolo II e il rafforzamento di una Chiesa autoritaria insieme alla persecuzione della Teologia della Liberazione, accusata di marxismo, hanno contribuito in modo decisivo a questo tipo di egemonia ideologica. (…). Siamo passati dal paradigma della piena occupazione al paradigma dell’aumento della produttività. L’economia non è più un modo di risolvere i problemi materiali della collettività, ma inizia a trasformarsi in una scienza al servizio dello stesso processo produttivo.


IL MERCATO È LA MISURA DI TUTTE LE COSE

Di fronte a una visione sociale dell’economia, si fa spazio l’economicismo come visione della società. (…). Il mercato diventa la misura di tutte le cose. (…). L’educazione si orienta verso il mercato, non verso la formazione di persone libere, responsabili e capaci di gestire la propria vita.Siamo arrivati a una situazione come quella attuale in cui ci appare normale ascoltare frasi del tipo “bisogna tranquillizzare i mercati” o “dare fiducia ai mercati” o “non sappiamo come risponderanno i mercati”. Siamo tornati a un tempo mitico. Il tempo dei mercati autoregolati e onniscienti. Il dio mercato. Che decide al di sopra della politica e dei cittadini.Tutte queste politiche hanno preso forma nel cosiddetto Consenso di Washington degli anni ‘90: monetarismo, deregulation, privatizzazione e riduzione della spesa sociale. Queste politiche del Fondo Monetario Internazionale vengono per la prima volta sperimentate in America Latina, dove quegli anni sono definiti non a caso come decennio perduto. (…). In questo contesto di apoteosi del capitalismo finanziario e di deregulation (…), si creano nuovi prodotti speculativi e nuove bolle. (…). Così la quantità di denaro circolante diventa di gran lunga più importante dell’economia reale. (…).È in questo contesto che si definiscono le politiche di austerità. Si conclude che il principale problema dell’economia è il mancato rispetto dei parametri di deficit e l’eccessivo indebitamento pubblico. (…). Non c’è denaro per i servizi pubblici che rispondono a necessità di base, ma lo si trova per il sistema finanziario. La BCE crea denaro che presta alle banche ma non agli Stati e a loro volta queste banche fanno soldi comprando il debito pubblico emesso dagli Stati (…).


PROBLEMI ETICI E TECNICI DELLE POLITICHE DI AUSTERITÀ

Dal nostro punto di vista, le politiche di austerità pongono problemi di due tipi, uno etico e l’altro tecnico. Quello etico poggia sui principi di queste politiche e dei loro effetti. Rispetto ai principi, si fa ricadere indiscriminatamente il programma di aggiustamento sull’insieme della popolazione, colpendo maggiormente le fasce sociali con minore potere d’acquisto. Tale tipo di austerità non è un’opzione, ma un’imposizione. E questo la differenzia dall’austerità come virtù, che è sempre un’opzione personale. (…). Si fa pagare all’insieme della cittadinanza una crisi che è stata generata fondamentalmente dalle élite. Ciò non significa che la cittadinanza non sia responsabile di quanto accaduto: al contrario, la maggior parte della popolazione ha partecipato in maniera irresponsabile a una mentalità consumista da “nuovi ricchi”. Le politiche di austerità, però, non fanno distinzione tra giusti e peccatori, ma tra ricchi e poveri. Le élite che hanno provocato direttamente la crisi sono in salvo. (…). Non si può far ricadere tutta la responsabilità sui creditori: le banche che hanno finanziato la bolla immobiliare spagnola sapevano di assumere un rischio in queste operazioni. Non possono ora esigere politiche che carichino tutta la responsabilità sul creditore. Le passerelle tra la politica e i consigli di amministrazione delle banche e delle multinazionali sono una costante tanto in Europa quanto negli Stati Uniti.Insistiamo sul fatto che è un problema di principio. Jean Claude Juncker, presidente uscente dell’Eurogruppo, è arrivato ad affermare, nel suo ultimo discorso al Parlamento europeo, che gli aggiustamenti erano stati disegnati perché ricadessero fondamentalmente sui più deboli, criticando allo stesso modo l’imposizione di queste politiche da parte di organismi di scarsa legittimità democratica come la Commissione Europea, la BCE o l’FMI, come pure il fatto che i Paesi del Nord si considerino più virtuosi malgrado anche i loro conti si trovino in uno stato deplorevole. E non ha risparmiato critiche neppure all’asse franco-tedesco e alla sua incapacità di guidare l’Unione Europea. (…). «Non voglio cadere in un radicalismo di sinistra: non dico che solo i milionari devono pagare, ma non accetto che i milionari non paghino», ha commentato. Infine, ha proposto un salario minimo e diritti sociali di base europei. E poi c’è il problema delle conseguenze. Le disuguaglianze sociali stanno aumentando dall’inizio della crisi. Sono tante le voci, molte delle quali provenienti dal mondo accademico, che mostrano chiaramente come le politiche di austerità stiano distruggendo la coesione sociale e possano produrre una società polarizzata. (…).


IL PROBLEMA TECNICO DELL’AUSTERITÀ

Oltre al problema etico ne esiste uno di tipo tecnico, senza peraltro dimenticare che, essendo l’economia una scienza sociale, i problemi tecnici presentano sempre implicazioni etiche e sociali. (…). Premi Nobel dell’Economia come Krugman o Stiglitz insistono sul fatto che le politiche di austerità sono di ostacolo al superamento della crisi. L’ultimo libro di Stiglitz è significativo: Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro. La disuguaglianza non è solo ingiusta ma anche inefficace per il funzionamento dell’economia. Le società più diseguali funzionano peggio. Altri economisti spagnoli, come Juan Torres, Viçenc Navarro, Alberto Garzón e molti altri, evidenziano la possibilità di altre politiche: carbon tax, imposta sulle transazioni finanziarie, lotta all’evasione fiscale e ai paradisi fiscali, cambiamento della politica e del mandato della BCE, sviluppo della banca etica e dell’economia sociale, promozione del settore cooperativo, misure di democrazia economica, impulso a un nuovo modello produttivo, incremento della spesa sociale, politiche di piena occupazione, reddito minimo, nuovi modelli di consumo, investimenti sulle energie rinnovabili, miglioramento dell’educazione, rinegoziazione dei parametri sul deficit. (…). Le politiche di austerità sono in realtà un trasferimento di ricchezza dalle medie e basse alle banche e ai settori più abbienti. (…). Ma abbiamo realmente bisogno di tali politiche? È possibile e auspicabile un’altra austerità?


UN’ALTRA AUSTERITÀ È POSSIBILE: DECRESCITA E SEMPLICITÀ VOLONTARIA

Nell’ottica dell’ecologismo (e anche di alcune tradizioni religiose più sensibili e aperte), l’austerità non è solo un’opzione, ma anche una necessità imposta dalla realtà. (…). Stiamo vivendo al di sopra delle possibilità della Terra. Il nostro consumo minaccia di distruggere gli ecosistemi su cui si basa la vita sul pianeta.Si critica il capitalismo come un sistema predatorio e l’idea di una crescita economica indefinita come un’ideologia senza base alcuna nella realtà. Essenzialmente esistono argomenti di due tipi. Il primo è di principio, quasi religioso: si considera la Terra come un essere vivente, come un organismo di cui anche l’essere umano fa parte. La Terra è considerata come qualcosa di sacro, con la conseguente riscoperta dell’incanto dell’universo, accompagnata dalla critica nei riguardi della prospettiva antropocentrica, che è alla base della separazione dalla natura. L’essere umano, ponendosi al di sopra della natura anziché come parte di essa, se ne sarebbe alienato, producendo così un tipo di sviluppo tale da minacciare le radici della vita stessa. Si tratterebbe allora di cambiare il nostro modello di consumo per riconciliarci con la Terra, per vivere meglio, per condurre, in definitiva, un’esistenza più etica, più semplice, riconciliata, centrata sull’essenziale.Il secondo argomento è più utilitarista, più di tipo scientifico. È quello portato avanti dai sostenitori della decrescita, molti dei quali sono economisti. Il pioniere della decrescita viene considerato l’economista e matematico Nicholas Georgescu-Roegen, il quale ha introdotto il concetto di entropia nell’economia neoclassica.Non è possibile una crescita infinita perché la materia e l’energia si degradano, diventando sempre meno utilizzabili: nulla è mai riciclabile al 100%. Anche la cosiddetta crescita sostenibile è in realtà insostenibile. Non è un caso che Georgescu-Roegen avesse predetto il riscaldamento globale: «L’eliminazione dell’inquinamento, come pure dei rifiuti materiali, non può essere completa ed utilizza comunque energia, provocando un aumento di calore che, alla lunga, modificherà il delicato equilibro termico del pianeta in due modi: 1) provocando isole termiche che perturberanno la fauna e la flora locali e 2) aumentando la temperatura globale del pianeta, al punto da provocare lo scioglimento della calotta glaciale».La crescita indefinita è pertanto un’idea assurda e impossibile. Economisti di stampo liberale e utilitarista come John Stuart Mill hanno difeso la possibilità di uno stato stazionario dell’economia. Uno stato che, secondo Georgescu-Roegen, «richiederebbe all’ambiente meno risorse, ma esigerebbe da noi molte più risorse morali».L’austerità intesa come risparmio di materia e di energia viene così messa in relazione con l’opzione etica di vivere secondo altri valori. Tuttavia, lo stesso Georgescu-Roegen e altri economisti della decrescita come Serge Latouche ritengono che tale stato stazionario sia impossibile nelle condizioni attuali, pronunciandosi a favore della decrescita. I Paesi poveri avrebbero ancora la possibilità di crescere, mentre i più ricchi dovrebbero tornare ai livelli di consumo di materia e di energia della Francia degli anni ‘60. Riduzione, riutilizzazione, riciclaggio, rilocalizzazione dovrebbero essere fortemente sostenuti. (…).


I LIMITI DELLA SOSTENIBILITÀ

Ogni sistema economico ha una base materiale finita. (…). Viviamo all’interno di una civiltà mineraria che utilizza risorse non rinnovabili come i combustibili fossili e i minerali, i quali si esauriranno nei prossimi 40 anni. (…).Il concetto chiave è quello dell’impronta ecologica: la quantità di territorio di cui ha bisogno una popolazione o una persona per mantenere il suo livello di consumo e per assorbire i rifiuti prodotti. Secondo il “Global Footprint network”, attualmente ci spetterebbero, a persona, 1,8 ettari di biocapacità, a fronte di un’impronta ecologica effettiva di 2,7 ettari. Pertanto, avremmo bisogno di un pianeta e mezzo per produrre quello di cui necessitiamo e assorbire i residui che produciamo.La Terra impiega un anno e mezzo a rigenerare quello che consumiamo in un anno. È il deficit della Terra. Se non correremo ai ripari, nel 2030 avremo bisogno di 2 pianeti. Le risorse della Terra sono ipersfruttate. Gli Stati Uniti hanno un’impronta ecologica di 8 ettari a persona e una biocapacità di 3,87 ettari. La Germania rispettivamente di 5,08 e di 1,92; la Francia di 5,01 e di 3; l’Italia di 4,99 e di 1,14, il Portogallo di 4,47 e di 1,25.Si assiste a uno scambio globale di consumo di risorse naturali e di capacità bioproduttiva. (...). Esistono Paesi che presentano un’eccedenza di capacità bioproduttiva e altri che sono in deficit. Avviene spesso che in Paesi con grande capacità bioproduttiva molti degli abitanti non siano in grado di soddisfare le proprie necessità di base, essendo le risorse naturali locali sfruttate da compagnie di altri Paesi. L’impronta ecologica mostra chiaramente come il nostro consumo sia di natura predatoria. (…). In fin dei conti, non soltanto ci troviamo indebitati al di sopra delle nostre possibilità, ma viviamo anche al di sopra delle possibilità dei nostri Paesi e della Terra nel suo insieme. Se tutto il mondo vivesse con lo stesso standard di vita degli abitanti del Primo Mondo, specialmente degli statunitensi, degli europei, dei giapponesi, dei Paesi del Golfo, la crisi ecologica sarebbe terribile. E il cambiamento climatico è solo un esempio. Il nostro modello di sviluppo, basato sulla ricerca del profitto e sull’insaziabilità dei desideri, non è universalizzabile, e dunque non è etico.


INGENUITÀ O CATASTROFISMO? CRITICHE ALL’AUSTERITÀ VERDE

Le critiche a tale visione si basano su due aspetti fondamentali:1. Alcuni pensano che sia una visione catastrofista, perché alla fine l’umanità troverà tecnologie pulite.2. Tutto ciò avverrà a lungo termine, quando noi non saremo più qui. Perché preoccuparsi più per quelli che ancora non ci sono che per noi che esistiamo già?Dal nostro punto di vista, non si tratta solamente di trovare tecnologie più pulite: per quanto pulita possa essere una tecnologia, produrrà sempre rifiuti e inquinamento e sempre accrescerà l’entropia del sistema.La questione è più profonda: come diceva Erich Fromm, scegliamo l’essere o l’avere? Se decidiamo di porre l’accento sull’essere, l’autocontenimento è inevitabile. Quanto al secondo punto, per quanto si possa pensare che siamo più importanti di quelli che verranno, questo non ci dà diritto di abusare della Terra. Abbiamo il dovere di rispettare la natura, se non altro perché ne siamo parte.La conclusione è semplice: stiamo distruggendo gli ecosistemi senza i quali qualunque attività economica è impossibile. Abbiamo oltrepassato i limiti della crescita, come segnalavano i rapporti del Club di Roma degli anni ‘70. Sono trascorsi appena 200 anni di civiltà industriale e la possibilità di un collasso ecologico non solo è reale, ma probabilmente inevitabile, a meno che non venga superato il nostro modello di sviluppo, che poi significa cambiare la nostra civiltà.La sfida è impressionante e oltrepassa i limiti del cosiddetto capitalismo verde. Non basta consumare meno: bisogna cambiare i valori che reggono la vita economica. L’affannosa ricerca del profitto e l’insaziabilità del desiderio non possono essere i principi guida dell’economia. C’è bisogno pertanto di qualcosa di più di un cambiamento di sistema: un cambiamento di coscienza e di civiltà.Ci rendiamo conto così che il concetto di sviluppo sostenibile risulta stretto, insufficiente. Bisogna introdurre nel dibattito sull’austerità elementi etici e antropologici più severi.


L’ECOLOGIA, UNA SFIDA PASTORALE

(…) La Chiesa cattolica e, in generale, le tradizioni religiose non sono estranee a una visione autentica dell’austerità nel contesto della società dello sperpero senza solidarietà. (…). Numerosi gruppi e istituzioni religiose hanno pubblicato documenti interni in cui invitano i propri fedeli a combinare un atteggiamento rispettoso verso la natura con la difesa decisa dei diritti umani, richiamandosi all’esigenza della fede rispetto a una solidarietà austera e responsabile nell’uso delle risorse naturali.La Compagnia di Gesù ha reso pubblico nel settembre del 2010 un lungo documento dal titolo “Sanare un mondo ferito” in cui si fa una chiara opzione per un modello ecosolidale, insistendo sull’insufficienza dello sviluppo sostenibile e avanzando verso una visione di sviluppo solidale con la miseria delle vittime. E questa stessa linea è presente in altri documenti di altre congregazioni religiose. (…)


LA CIVILTÀ DELL’AUSTERITÀ CONDIVISA

(…) Dall’Università Centroamericana di El Salvador, Ignácio Ellacuría auspicava una civiltà della povertà contrapposta alla civiltà del capitale (Jon Sobrino avrebbe successivamente chiarito che, per intendere meglio quanto voleva dire Ellacuría, si sarebbe potuto ricorrere al concetto di “sobrietà condivisa”). La civiltà della povertà si opponeva così alla civiltà della ricchezza, basata sull’accumulazione come fondamento della sicurezza e sul consumismo come fondamento della propria felicità.È una prospettiva critica, non riduzionista, che riconosce i numerosi beni che tale civiltà ha prodotto, come per esempio gran parte dello sviluppo tecnologico, ma allo stesso tempo prende atto di come essa abbia provocato “mali più grandi” e di come i suoi processi di autocorrezione non siano sufficienti a modificarne l’orientamento distruttivo. Questi mali più grandi sono l’impossibilità di soddisfare le necessità di base e l’incapacità di generare valori che umanizzino persone e società. Non è una civiltà che possa essere universalizzata e pertanto, nella visione di Kant, non è etica. Ellacuría si guarda pure dall’idealizzare i poveri, che molte volte vengono profondamente disumanizzati dalla povertà, e naturalmente considera la povertà un male. Ritiene che le necessità di base degli ultimi, così come indica Martha Nussbaum, potranno essere soddisfatte solo se questi verranno posti al centro della società e al centro della Chiesa, e critica tanto il capitalismo privato dell’Occidente quanto il capitalismo di Stato del vecchio blocco comunista. Si tratta di una prospettiva teologica che storicizza la povertà e si esprime a partire dal rovescio della storia.I poveri sono considerati i soggetti portatori di salvezza, quelli che generano speranze e proposte nuove. Si rifiuta l’accumulazione di ricchezza come motore della storia e il suo possesso e godimento come principio di umanizzazione, ponendo come alternativa la soddisfazione universale delle necessità di base come principio di sviluppo e la solidarietà condivisa come fondamento di umanizzazione.


LA SOLIDARIETÀ CONDIVISA COME ALTERNATIVA ALLA SEMPLICE AUSTERITÀ

(…) Si tratta di «uno stato universale di cose in cui sia garantita la soddisfazione delle necessità fondamentali, la libertà delle opzioni personali e un ambito di creatività personale e comunitaria che permetta l’apparizione di nuove forme di vita e di cultura, nuove relazioni con la natura, con gli altri esseri umani, con se stessi e con Dio». Dice Ellacuría che tale civilità della povertà è «fondata su un umanesimo materialista, trasformato dalla luce e dall’ispirazione cristiana».Vi sono due modi fondamentali di trasformare l’attuale civiltà in una più umana: creare modelli economici, politici e culturali che rendano possibile una civiltà del lavoro come alternativa a una civiltà del capitale e rafforzare “positivamente” una caratteristica fondamentale della civiltà della povertà, la solidarietà condivisa, in contrapposizione con l’individualismo chiuso e competitivo della civiltà della ricchezza. (…).


CONCLUSIONE

La politica, di fronte alla situazione di crisi economica generalizzata, chiede ai cittadini “austerità”. Ma, come si è cercato di dimostrare, tale discorso nasconde tranelli che è necessario cogliere. Di fronte a un’austerità che discrimina e genera vittime, alcune tradizioni religiose invitano ad andare più a fondo nella questione, esortando ad essere sensibili alla cultura della povertà, alla solidarietà condivisa, a un modello di sviluppo ecosolidale.In conclusione, l’austerità non solo è inevitabile, ma può essere un elemento auspicabile per una vita migliore per tutti. Il meno può diventare più, ma questo dipende dalla nostra capacità di impiegare le nostre migliori risorse etiche per far sì che la politica dei cittadini governi il mondo dell’economia.

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Domenica 30 Giugno,2013 Ore: 08:15
 
 
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