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Accordo separato con la FIAT: tutte le ragioni della FIOM

Rassegna stampa


Manifesto 28.12.10
Tutte le ragioni della Fiom - Loris Campetti
Sergio Cofferati, europarlamentare del Pd con esperienze alle spalle che segnano, da segretario della Cgil a sindaco di Bologna, ci tiene a fare una premessa: «Io sono un riformista moderato, lo sai, e non sono diventato improvvisamente radicale». Lo so, e sono pronto a testimoniarlo in ogni sede, rispondo. «È ridicolo pensare che io abbia cambiato natura perché condivido le battaglie della Fiom per impedire il totale smantellamento delle relazioni industriali, praticato da Marchionne per colpire la Fiom, la Cgil e, soprattutto, i lavoratori e i loro diritti sanciti dalla Carta costituzionale e dallo Statuto». Sulla vicenda di Pomigliano avevi espresso, proprio sul manifesto, un giudizio molto negativo. Come commenti l'accordo separato di Mirafiori? Molto negativamente. È un «accordo» addirittura peggiore di quello di Pomigliano e conferma che nella fabbrica napoletana non si agì in uno stato di necessità, si voleva dare inizio a una strategia oggi confermata e aggravata a Mirafiori. Le newco vengono usate per azzerare i diritti individuali e collettivi sanciti da accordi pregressi. Si cancella il contratto nazionale, è ridicolo esaltare il valore del contratto aziendale, che da che mondo è mondo si chiama contratto di 2° livello, il 1°è il contratto nazionale. A Mirafiori si scavalca il modello Pomigliano cancellando il diritto a contrattare, e persino a essere rappresentato, al sindacato che non firma l'accordo. In quell'«accordo» si dice alla Fiom: o firmi o ti cancello. Il perchéè chiaro: la si vuole espellere dalle fabbriche perchéè l'unico sindacato che contratta, discutendo la strategia complessiva della Fiat. Qualcuno disse, a sinistra e in Cgil, che Pomigliano era un unicum, irripetibile e la Fiom avrebbe dovuto far buon viso a cattiva sorte, poi tutto sarebbe tornato alla normalità... Si può sbagliare valutazione, credere in buona fede che Pomigliano rappresentasse l'eccezione e non l'inizio di un nuovo sistema di relazioni che cancella persino il diritto di sciopero. Ma chi disse «bisogna fare di necessità virtù» oggi non riconosce la sua miopia e arriva a giustificare anche l'obbrobrio di Mirafiori. Tu hai un'antica frequentazione e unità con Cisl e Uil, anche se in momenti straordinari hai fatto con la Cgil scelte solitarie. Come interpreti la loro firma a Mirafiori? È autolesionismo. Come spiegano a una persona normale che 15 giorni dopo aver rifiutato di firmare l'estromissione di un sindacato giovedì hanno apposto la loro firma sotto il testo di Marchionne, che nel frattempo non era cambiato di una virgola? Fim e Uilm hanno rinunciato a svolgere un ruolo contrattuale, condannandosi alla subalternità e, alla lunga, alla scomparsa. Dio acceca chi vuol perdere? Penso che l'unico sindacato che manterrà una rappresentanza reale è la Fiom, chi firma testi come quello rinuncia a ogni ratio negoziale. Cosa c'è dietro l'attacco alla Fiom? Una strategia pericolosissima: si punta a recuperare margini di profitto ridimensionando i diritti individuali e collettivi e aumentando lo sfruttamento, tralasciando quel che l'azienda produce, o meglio non produce. Marchionne teorizza che il piano è roba sua e assegna agli enti locali un ruolo ancor più ancillare di quello attribuito ai sindacati, assegnando loro il solo compito di occuparsi delle gravi conseguenze sociali delle scelte aziendali. Anche per i sindacati parlo di un ruolo ancillare, perché la rappresentanza è considerata accettabile solo se non è conflittuale. Se lo strappo di Mirafiori è così grave, come valuti le reazioni sottotono, i silenzi, quando non il consenso aperto a Marchionne che si registra tra le forze democratiche e nel tuo partito? Trovo grave che persino la cancellazione dell'accordo del '93 sulle rappresentanze sindacali passi in silenzio, anche da parte di chi quell'accordo aveva giustamente voluto. Sono preoccupanti certe affermazioni e i silenzi nel Pd, c'è chi non si rende conto che la strategia della Fiat è regressiva. Ripeto, posso ammettere che qualcuno in buona fede abbia sottovalutato la portata dell'accordo di Pomigliano, ma su Mirafiori che lo conferma in peggio non può esserci accettazione in buona fede. La nuova segretaria della Cgil, Susanna Camusso, critica la strategia di Marchionne ma non risparmia accuse alla Fiom annunciandone la sconfitta e promette un serrato confronto con la Confindustria. Io nel mio lavoro in Cgil ho avuto sempre rapporti vitali con la Fiom, a volte anche dialettici. Ma ora non si può non capire che l'attacco di Marchionne è di una gravità inaudita, anche un cieco può vederlo. È come se Berlusconi decretasse che chi non è d'accordo con lui non ha diritto a presentarsi alle elezioni. In alcuni settori della Cgil si rischia di sottovalutare l'effetto della linea Marchionne. E chiedo: che senso ha discutere di regole con la Confindustria, proprio quando la Fiat decide di uscire da Federmeccanica e Confindustria? Non vedo alcuna sconfitta della Fiom, che ha un atteggiamento sindacalmente razionale e rigoroso e aumenta i consensi in tutte le fabbriche in cui si rinnovano le Rsu. Dunque è sbagliato accusare la Fiom di rigidità? Come si fa a dirlo? Io constato che quel che avviene nell'imprenditoria metalmeccanica non avviene tra i chimici. Mi si può contestare che nella chimica c'è una produzione ad alto valore aggiunto, e allora parliamo dei tessili: ne gli uni né gli altri hanno avanzato strategie che richiamino, sia pur lontanamente, i diktat di Marchionne. L'accordo separato di Mirafiori è contestuale allo spettacolo indecente del governo e del parlamento rispetto alle proteste studentesche e allo schiaffo di Tremonti all'informazione democratica. In ambiti diversi c'è lo stesso attacco, teso a ridurre gli spazi di democrazia ed è grave che non generi reazioni adeguate alla pericolosità del momento, per la sinistra e non solo. Non trovi che ci sarebbero tutti gli ingredienti perché la Cgil proclami lo sciopero generale? Le condizioni ci sono tutte, a partire dalla crescita della disoccupazione soprattutto giovanile e dai tagli allo stato sociale che sortiranno effetti drammatici nei prossimi mesi. Penso dunque che la Cgil potrebbe proporlo a Cisl e Uil; qualora la risposta fosse negativa, lo sciopero generale potrebbe essere promosso comunque dalla Cgil, nella logica prosecuzione delle iniziative di questi mesi.
 
 
Una risposta immediata - Paolo Ferrero*
Cari compagni e compagne, l'accordo separato firmato con la Fiat su Mirafiori rappresenta una svolta di enorme gravità nella storia del paese e non può essere considerato una questione sindacale. Non rappresenta solo la demolizione dei diritti sanciti da leggi e Contratto Nazionale. Non prevede solamente un netto peggioramento delle condizioni di lavoro in fabbrica. Il dictat di Mirafiori disegna un ruolo per i sindacati e i lavoratori che è in radicale contrapposizione al quadro di regole stabilite dalla Costituzione repubblicana. L'unica sovranità riconosciuta è quella dell'azienda, da cui tutto promana, compresa la possibilità dei lavoratori di vedere riconosciuta una propria rappresentanza sindacale. Si tratta di una logica opposta all'impianto costituzionale che tutela i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, che garantisce la libertà di associazione sindacale e che - in generale- basa la democrazia su un bilanciamento tra i poteri. È del tutto evidente che l'offensiva di Marchionne e quella di Berlusconi non sono che le due facce della stessa medaglia. È del tutto evidente che questa offensiva congiunta punta allo scardinamento costituzionale e a un vero e proprio cambio di regime. È la Repubblica nata dalla resistenza e fondata sul lavoro che è messa in discussione da queste iniziative. Non si tratta di una questione sindacale ma politica. Per questo ritengo necessario appellarmi a voi per costruire una risposta unitaria immediata. Per questo vi propongo di condividere e costruire unitariamente iniziative di informazione e mobilitazione, per questo vi propongo di fare unitariamente un appello alla Cgil affinché venga proclamato al più presto lo sciopero generale. Non si può scaricare sulle spalle dei lavoratori della Fiat il peso di un attacco che è generale e non si può stare a guardare di fronte ad una offensiva eversiva che ha un unico precedente nel nostro paese: l'avvento del fascismo. *segretario di Rifondazione comunista
 
Oggi il tavolo su Pomigliano. Cremaschi: «Gravissimo»
Dopo l'accordo separato di Mirafiori, arriva al dunque anche l'intesa (ugualmente separata) siglata per Pomigliano. Questa mattina a Roma, la Fiat e i sindacati (Fiom esclusa) si riuniranno per scrivere il nuovo contratto della newco pronta a partire nello stabilimento campano. Anche a Pomigliano, come a Mirafiori, i sindacati non firmatari resteranno fuori dall'azienda. Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom, attacca la politica di Marchionne, definendo l'accordo di Mirafiori come «il più grave atto antidemocratico verso il mondo del lavoro dai tempi del fascismo» e rilanciando sulla necessità che la Cgil convochi uno sciopero generale. Cosa che non pare affatto tra le priorità individuate dal nuovo segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Secondo i segretari della Cgil piemontese e campana, Alberto Tomasso e Michele Gravano, dopo la firma di Mirafiori, «è evidente che la Fiat non c'è più: quella firma dimostra il disegno di Marchionne di creare le condizioni per annullare le differenze che ci sono tra il produrre in Italia o in qualsiasi altro paese, organizzando aziende diverse come a Pomigliano e le Carrozzerie di Mirafiori, che avranno contratti diversi l'uno dall'altro». Ancora: secondo Tomasso e Gravano, «non si può considerare un successo, come fanno Cisl e Uil, un accordo che, oltre a peggiorare le condizioni di lavoro in fabbrica, nega libertà sindacali e diritti democratici, e sancisce uno dei più gravi attacchi alle relazioni sindacali italiane». Di tutt'altro tenore i commenti che arrivano da parte di Cisl e Uil. Secondo il segretario della Fim, Giuseppe Farina, «l'accordo assicura investimenti e prospettive a Mirafiori». «È certamente un accordo impegnativo per lavoratori e sindacati -ammette Farina - ma lo scambio e vantaggioso, soprattutto considerando le conseguenze del mancato accordo».
 
Sciopero generale subito - Gianni Rinaldini*
Nella giornata del 23 dicembre 2010, abbiamo avuto contemporaneamente l'approvazione della legge Gelmini, il colpo di mano nelle mille proroghe che ha ridotto ulteriormente il finanziamento all'editoria e colpisce gli organi di informazione - come il manifesto - che non sono sostenuti finanziariamente da lobby economiche; e infine la Fiat che (dopo Pomigliano), ha imposto un regolamento aziendale a Mirafiori, sottoscritto da organizzazioni sindacali compiacenti che cancella non solo il contratto nazionale, ma la democrazia nei luoghi di lavoro con il pieno sostegno di Marcegaglia e Berlusconi. Non ho mai condiviso l'accusa al governo di non fare nulla perché, viceversa, governo e Confindustria stanno facendo molto, stanno «semplicemente» ridisegnando l'assetto democratico e sociale del paese in senso autoritario, riducendo gli spazi di democrazia perché considerano il conflitto sociale un fatto eversivo. In questo modo si costruisce una Costituzione materiale che ne prefigura il cambiamento formale a partire dal primo articolo. Tagliare le radici, togliere cittadinanza alla possibilità di fare vivere un altro punto di vista, autonomo e democratico nei luoghi di lavoro, nel mondo della scuola, nell'informazione e nel territorio, rappresenta l'obiettivo che governo e Confindustria perseguono. Tutto è subordinato alla logica del liberismo, dalla condizione umana a quella ambientale, nell'interesse del capitale finanziario e industriale assunto come interesse generale. Non soltanto le istanze storiche proprie della sinistra, ma la stessa idea di società e di Stato di natura liberal-democratica viene negata, annullata dentro lo schema «assuefazione-rivolta» che il sistema ha da sempre contemplato e previsto. Questo, anche simbolicamente, è avvenuto nella giornata del 23 dicembre. Dopo il «Collegato lavoro» che apre la strada alla distruzione del sistema dei diritti e delle tutele e, in attesa dello «Statuto dei lavori», la Fiat ha definito un accordo «di primo livello», cioè sostitutivo e peggiorativo del Ccnl (contratto nazionale di lavoro) che afferma un concetto molto semplice: le organizzazioni sindacali che firmano questo regolamento potranno «esistere» nello stabilimento, mentre quelle che dissentono non avranno più alcuna agibilità, dai permessi sindacali al diritto di assemblea, alla trattenuta per l'iscrizione al sindacato. Inoltre si aggiunge che se qualcuno «sgarra» e protesta, perché scoprirà nel 2012 che quell'organizzazione del lavoro non è sostenibile, che si tratti di una organizzazione sindacale o di un singolo lavoratore, sarà oggetto di provvedimenti punitivi. In sostanza il sindacato come soggetto negoziale non esiste più, la lavoratrice, il lavoratore non possono più eleggere democraticamente i loro delegati e il loro libero consenso. È paradossale che la Fiat promuova un referendum sull'esercizio della democrazia nello stabilimento con il ricatto occupazionale, come fosse zona franca dai diritti di cittadinanza definiti dalla Costituzione. La Confindustria ha reagito sostenendo che la New-co (con relativa uscita dalla associazione) dev'essere transitoria e nel frattempo vanno costruite le condizioni per un suo futuro rientro attraverso un nuovo accordo sulle Rsu che superi quello del 1993 e con un accordo specifico per il settore auto (le soluzione tecniche possono essere diverse). Di male in peggio. La Fiat detta le condizioni, in un percorso aperto con l'accordo separato confederale sulla struttura contrattuale che dimostra in questa fase il suo significato di carattere generale per le relazioni industriali. Non siamo di fronte a un altro accordo separato, ma a una scelta strategica, dove Fiat e alcune organizzazioni sindacali decidono di negare ad altre l'agibilità nello stabilimento, il diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di eleggere i loro rappresentanti, come dire «esistete soltanto se accettate le mie condizioni, se siete al mio servizio». Sarebbe inverosimile che la Cgil accettasse questo terreno di confronto senza tirarne le dovute conseguenze per aprire una nuova fase di mobilitazione in tutto il paese, di cui lo sciopero generale è soltanto uno degli strumenti. In questo contesto si dovrebbe collocare la rivendicazione di un sistema di regole democratiche fondate sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori di votare con referendum le piattaforme, gli accordi nazionali e categoriali e di eleggere su base proporzionale i propri rappresentanti sindacali. Vuole dire costruire una piattaforma sulla democrazia nei luoghi di lavoro. In caso contrario saremmo di fronte alla resa, «al cappello in mano di fronte all'agrario». A fronte di questa situazione, con il disagio sociale destinato ad aumentare, è necessario unire sul terreno della democrazia, della libertà e del lavoro ciò che altri vogliono dividere, sapendo leggere il senso, il significato profondo di quel che sta avvenendo per costruire un'alternativa sociale. Una proposta alternativa di uscita dalla crisi. Questo è il senso che abbiamo dato alle prime iniziative di «Uniti contro la crisi» di questi mesi e che saranno oggetto di ricerca e approfondimento nel seminario previsto per il 22 e 23 gennaio 2011. Ma torniamo al 23 dicembre, a quel che è stato deciso in quella giornata, e allora domandiamoci se non è il caso che il manifesto si faccia promotore di un'iniziativa, un incontro tra mondo dell'informazione, della scuola, del lavoro in modo particolare dei metalmeccanici, per individuare terreni e percorsi di iniziativa comune. *coordinatore dell'area programmatica «La Cgil che vogliamo»
 
La lezione del conflitto - Alberto Burgio
Siamo al contraccolpo della spallata fallita. Scampato il pericolo della bocciatura parlamentare, Berlusconi e Bossi, Tremonti e Sacconi dilagano. L'universitàè sfigurata, la stampa libera ha un bavaglio che la soffocherà, il lavoro è messo in riga, pronto per il nuovo che avanza grazie a Marchionne e Bonanni. Può darsi sia il crepuscolo del piduismo in salsa berlusconiana, anche se la popolarità della cricca al potere non scema. Di certo è un tramonto velenoso. Devastante. Cupo come l'ultima macabra stagione del fascismo repubblichino, al quale il protagonismo dei Gasparri e dei La Russa rimanda. Ci stiamo avvitando con rapidità vertiginosa in una crisi generale di inedite proporzioni. I dati sulla povertà di massa, la disoccupazione giovanile e la precarietà del lavoro dipendente mettono nero su bianco il senso di un'intera fase storica durata almeno due decenni, nel corso della quale i poteri forti hanno riconquistato con gli interessi il terreno perduto con le lotte degli anni Sessanta e Settanta. Ma se la destra trionfa, ciò accade anche per l'inerzia e l'inconsapevolezza del progressismo democratico. Torniamo alla mancata spallata del 14 dicembre. Tutti facevano il tifo per Gianfranco Fini, inopinatamente assurto al rango di eroe dell'Italia democratica. Chi sia Fini ce l'hanno ricordato in questi giorni i documenti pubblicati da WikiLeaks sulle vicende seguite all'assassinio di Calipari. Ma perché tanta voglia di illudersi? Perché tutto questo bisogno di dimenticare? Forse perché non c'è molto altro in quei paraggi (parliamo del Palazzo) in cui riporre qualche speranza. Questo è il punto. C'è più o meno mezzo Paese che sogna un nuovo 25 aprile ma non sa a che santo votarsi. La si giri pure come si vuole, ma questo fatto suona come il più impietoso atto d'accusa nei confronti del Partito democratico. Che non solo non è in grado di rappresentare l'ansia di liberazione che pervade quello che un tempo chiamavamo «popolo della sinistra», ma ne impedisce l'espressione, ne frustra le potenzialità, ne devia l'energia verso sentieri interrotti. La stessa scena dell'incontro tra gli studenti e il presidente della Repubblica lo dimostra. Si va al Quirinale perché non si scorge in nessuna delle forze politiche presenti in Parlamento chi voglia davvero ascoltare e raccogliere le ragioni della protesta. Dire tutto questo sarà poco corretto politicamente, ma le cose stanno in questi termini e la verità non va sottaciuta. È questo il nodo oggi al pettine. Venticinque anni di radicamento dell'ideologia neoliberale hanno stravolto la «sinistra moderata», che ora non riesce a prendere congedo dalla gestione reazionaria della crisi sociale e civile del Paese: dalla logica dei tagli alla spesa, del primato dell'impresa, della privatizzazione dei beni comuni. Anche l'ultimo ignominioso capitolo della distruzione dell'università pubblica sta dentro questo discorso. La destra si è ripresa tutto il potere reale: il comando sull'economia e sul lavoro, il controllo delle risorse, il monopolio del discorso pubblico. Ma ancora oggi, come se nulla fosse, chi dovrebbe contrastarla ciancia di modernità e di merito, di guerre democratiche e di libero mercato. Sul filo di lana, sale sui tetti e urla nell'aula del Senato. Crede forse che la nostra memoria si sia a tal punto indebolita da cancellare il ricordo delle cose dette e scritte in tutti questi anni e ancora negli ultimi mesi in tema di università, dalla legge sull'autonomia che ha trasformato gli atenei in aziende al famigerato 3+2, dall'idea delle Fondazioni universitarie alla proposta di aprire i consigli di amministrazione alle imprese, dalla messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori all'idea della concorrenza tra università, come se si trattasse di fabbriche di salumi e non di una istituzione chiamata a svolgere un servizio pubblico fondamentale per l'intera cittadinanza? Come uscirne? È senz'altro giusto dire che il Pd «dovrebbe sbrigarsi» e impegnarsi nella «battaglia generale» per la salvezza della democrazia italiana. È altrettanto sensato augurarsi che lo stesso coraggio dimostri la Cgil, che ancora tituba, rimandando a tempi migliori la proclamazione dello sciopero generale, come se tempi migliori potessero sopraggiungere senza mobilitare nello scontro tutte le forze ancora disponibili. Ma intanto questi giorni hanno impartito una lezione che sarebbe diabolico non imparare a memoria. Due mesi fa il segretario generale della Fiom a piazza san Giovanni disse con chiarezza che quel maestoso movimento di popolo cercava un interlocutore politico che ne raccogliesse esigenze e domande. Le forze della sinistra erano in quella piazza, ma in Parlamento le parole di Landini sono rimaste senza risposta. Poi sono insorti gli studenti e il mondo del precariato universitario. Anche in questo caso la sinistra era nelle lotte, ma ciò non ha impedito che la controriforma dell'università divenisse legge dello Stato. Tutto ciò, ci pare, significa una cosa soltanto. L'unica speranza qui e ora riposa sul conflitto di classe, operaio e sociale, sulla forza dei movimenti e sull'unità delle forze del cambiamento: sulla loro capacità di imporre al Paese un'agenda politica e precisi obiettivi di lotta.
 
Liberazione 28.12.10
Ecco l'accordo che stronca i sindacati - Fabio Sebastiani
Lotta all'assenteismo, più turni settimanali, taglio delle pause, introduzione di un nuovo sistema di calcolo dei tempi di lavoro, ma anche un completo stravolgimento delle relazioni sindacali: sono queste in sintesi le novità principali dell'accordo firmato giovedì sera da Fiat e sindacati (non dalla Fiom) per il cosiddetto rilancio dello stabilimento di Mirafiori. Sull'intesa, che prevede anche la richiesta di cassa integrazione straordinaria per un anno dal 14 febbraio 2011, è prevista la consultazione di tutti i lavoratori dello stabilimento. Clausola di responsabilità. Come giàè previsto per lo stabilimento di Pomigliano, «il non rispetto degli impegni assunti con l'accordo comporta sanzioni in relazione a contributi sindacali, permessi per direttivi e permessi sindacali aggiuntivi allo Statuto dei Lavoratori». Contratti individuali e licenziamento. La violazione delle clausole dell'accordo viene considerata come "infrazione disciplinare" e quindi passibile di procedura di licenziamento. Newco. L'accordo prevede la creazione di una joint venture tra Chrysler e Fiat che sostituirà l'attuale società Fiat spa. E' prevista la produzione, verso la fine del 2012, di Suv di classe superiore per i marchi Jeep e Alfa Romeo. E' prevista una produzione annua di 250mila vetture l'anno. Relazioni sindacali. L'accordo si regge sulla «prevenzione del conflitto» grazie all'azione del sistema partecipativo articolato negli Organismi congiunti, da cui sono escluse le organizzazioni sindacali non firmatarie dell'accordo. Di fronte a eventuali comportamenti difformi da parte di singoli lavoratori o in forme collettive, l'azienda si riserva la possibilità di sottrarsi dai vincoli dell'accordo. Organizzazione del lavoro. Applicazione a partire dall'aprile del 2011 dell'Ergo Uas, il nuovo sistema di contabilizzazione dei movimenti. Questo sistema, già contestato dalla Fiom, aumenta notevolmente i tempi della prestazione lavorativa perché tarato in base alle esigenze aziendali. Le pause vengono comunque diminuite di 10 minuti: dagli attuali 40 minuti a 30. Assenteismo. Dal luglio 2011 se non si sarà raggiunto un livello di assenteismo inferiore al 6% medio (adesso è all'8%) i dipendenti che si assenteranno per malattie brevi (non oltre i 5 giorni) a ridosso delle feste, delle ferie o del riposo settimanale per più di due volte in un anno non avranno in busta pagato il primo giorno di malattia. Dal primo gennaio 2012 se l'assenteismo non sarà sceso sotto il 4% i giorni di malattia non pagati saranno i primi due (l'Inps infatti paga solo dal quarto giorno mentre i primi tre sono a carico dell'azienda). Per gli anni successivi al 2012 la percentuale scende al 3,5%. A vigilare l'andamento dell'assenteismo è stata messa una Commissione paritetica composta dai rappresentanti sindacali delle organizzazioni firmatarie dell'accordo. Cassa integrazione. E' prevista la cassa integrazione straordinaria a partire già dal 14 febbraio 2011 per un anno «in relazione alla grave crisi che ha interessato e continua a interessare il mercato automobilistico, alla situazione produttiva dello stabilimento Mirafiori Plant in essere e prevista e al fine di garantire ai lavoratori una misura di sostegno al reddito durante il periodo che precederà l'avvio produttivo della Joint Venture». Durante la cigs i lavoratori seguiranno alcuni corsi di formazione. Turni. A regime si lavorerà su 18 turni (tre turni al giorno su sei giorni) con una settimana di sei giorni lavorativi e la successiva di quattro giorni. Il 18esimo turno sarà retribuito con una maggiorazione (pagato 21 ore). Gli addetti alla manutenzione e alla centrale vernici lavoreranno su 21 turni (sette giorni su sette) mentre per i dipendenti addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) l'orario sarà dalle 8.00 alle 17.00 con un'ora di pausa non retribuita. Straordinario. Saranno 120 le ore di straordinario obbligatorie, e senza preventivo accordo sindacale, ogni anno (15 sabati lavorativi), 80 in più delle 40 attuali. L'azienda potrà imporre il lavoro straordinario anche a chi usufruisce della giornata di riposo. Orario di lavoro. In occasione della procedura di passaggio dai 15 ai 18 turni è previsto un anno di sperimentazione della prestazione lavorativa su dieci ore. Indennità di presenza. L'indennità di presenza è calcolata solo sul lavoro effettivo, al netto di inattività (decise dall'azienda) e pause. L'indennitàè esclusa dal conteggio del Tfr. Mancata applicazione dell'articolo 2112 del codice civile. L'articolo 2112 del codice civile prevede che in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. In merito al passaggio dalla Fiat alle "Newco", l'accordo ne prevede unilateralmente la sospensione «in quanto nell'operazione societaria non si configura il trasferimento di ramo d'azienda». Sicurezza sul lavoro e rappresentanza. L'accordo prevede la creazione di una Commissione prevenzione e sicurezza sul lavoro (formata da Rls delle organizzazioni firmatarie dell'accordo) che andrà a sovrapporsi al lavoro dei rappresentanti eletti in base alla legge. E' uno dei tanti esempi in cui la Fiat cerca di forzare i regolamenti previsti dalla legge soprattutto per quello che riguarda il sistema della rappresentanza.
 
Voci da Mirafiori: «Stanno esagerando»- Maurizio Pagliassotti
"Torino, intatta nella sua virilità morale, nella sua disciplina fattiva, saprà superare la crisi e sviluppare i compiti che la Patria le ha assegnato." Questo è un passo della lettera che Giovanni Agnelli scrisse a Mussolini dopo i bombardamenti su Torino. Era il 5 febbraio 1943. Passano i decenni e la debolezza della Fiat verso l'autoritarismo rimane, oggi un po' meno grezzo di ieri perché annacquato dentro la retorica della democrazia in fabbrica, il referendum, la volontà dei lavoratori Ma cosa può sperare la Fiat dalla consultazione che si terrà a Mirafiori tra poche settimane? Dopo aver subito la sconfitta di Pomigliano, Marchionne ed i suoi sindacalisti hanno abbassato l'asticella del loro autoreferenziale trionfo ad un più modesto cinquantuno per cento. Se però si guarda la composizione delle Rsu attualmente in carica l'assenso ai voleri Fiat dovrebbe essere bulgaro, oltre il 70%. Fim Cisl è il primo sindacato presente in fabbrica, con il 25,5%. Segue la Fiom, 22,2%, poi Fismic, 19,1%, Uilm e Ugl appaiate al 13,1% ed infine i Cobas dati al 7%. Rino Mercurio, delegato Fiom alle Carrozzerie, si dice sicuro di un esito non scontato: «Marchionne e la Fiat questa volta hanno esagerato. E' vero che oggi il loro volere è punire la Fiom ma questo mette paura ai miei colleghi, anche di Fim e Uilm. Il loro timore è che in futuro gli accordi sottoscritti possano portare ad una esasperazione degli animi dentro la fabbrica. E quindi chi oggi firma sarà poi costretto a sindacare perché pressato dalla base. Chi si addosserà questo pericolo?». Mercurio racconta cosa potrebbe in futuro costringere Fim e Uilm a rivedere le loro posizioni e ad andare contro la Fiat. Dice: "Si possono fare due esempi, uno in tempi brevi ed uno al 2012, anno in cui ci sarà la rivoluzione di Marchionne. Ad aprile verrà abolita una pausa di dieci minuti: ci saranno proteste perché già così il ritmo di lavoro è molto serrato. Saranno pochi quelli che saranno contenti di sgobbare con solo tre pause in cambio di venticinque euro in busta paga. Nel 2012 invece le nostre vite saranno stravolte: oltre a spremerci come limoni i ritmi di vita saranno rivoltati perché subentreranno turni notturni obbligatori e turni da dieci ore. Il tutto comunicato dall'azienda con poche settimane di anticipo. Non è ipotizzabile che questi cambiamenti non portino ad un malcontento che però non troverebbe uno sfogo data l'assenza della Fiom. La domanda mia e dei miei colleghi è ossessivamente una: chi oserà andare contro la Fiat?". Il solo problema dei "pipistrelli", gli operai che lavorano solo di notte per scelta, necessità di reddito maggiore, incastri famigliari particolari, pare destinato a creare sacche di scontento gravi. La loro figura è destinata a scomparire dato che tutti gli operai dovranno sottostare ad una programmazione ultraflessibile. Sempre Mercurio: «I pipistrelli non sono tra coloro che accettano questo accordo; per loro è un perdita grave, e di riflesso lo è per tutti noi. Siamo molto preoccupati dalla totale flessibilità dei turni e soprattutto dalla notte. Non tutti riusciranno ad adeguarsi a cambi bioritmici legati alla domanda del mercato». Non fa breccia la propaganda riguardante l'aumento di stipendio. Sempre Mercurio: «Questo è il punto che più fa arrabbiare me ed i colleghi. Da quanto ho capito a fronte di maggiore lavoro ci saranno più soldi, punto. Ascoltando i telegiornali e leggendo i giornali si capisce invece che la Fiat abbia deciso unilateralmente di fare aumenti di stipendi generalizzati. A scanso di equivoci è bene dire che la paga base rimarrà invariata. Faremo un vita infernale, senza nessuna possibilità di programmare alcunché all'infuori dei nostri turni di lavoro. Più rifletto su questo aspetto e più vedo nero il mio futuro». Sull'esito del referendum grava la chiusura della fabbrica e quindi l'impossibilità per i lavoratori di poter conoscere le critiche della Fiom e dei sindacati di base. La propaganda a Torino sta raggiungendo livelli così totali da ricordare altri periodi storici. Tralasciando gli entusiasmi del sindaco uscente Chiamparino è interessante affrontare quelli dei suoi candidati successori. Per Roberto Placido, la colpa è del sindacato inadeguato e non moderno. Fassino: «Accordo non solo importante ma necessario. L'azienda però farebbe bene a non discriminare nessuno». Davide Gariglio: «La posizione della Fiom non è ottimale, comunque accordo positivo». Questi sono quelli di "sinistra". A destra la musica non cambia, evitano però la difesa "dovuta" della Fiom. Procedono intanto le manovre parallele per chiudere i conti completamente con il sindacato metalmeccanico della Cgil. La "pulizia" interna alla fabbrica dovrebbe essere completa fra due anni. Le voci che circolano confermano un piano di prepensionamento lungo per circa mille e cinquecento operai e l'ingresso di altrettanti giovani. Forse anche di più se il Suv Fiat avrà successo. Verrebbe così espulsa la generazione più stanca e più politicizzata e dentro entrerebbero plotoni di giovani affamati di lavoro a qualsiasi condizione. Giovani che in questo momento rappresentano lo zoccolo duro dell'Ugl a Mirafiori. Nel breve periodo invece è prevista nella prima settimana di gennaio una proto "marcia dei quarantamila", organizzata dai sindacati firmatari. Il tutto per arrivare sulle ali del consenso generale alle assemblee interne, rigorosamente separate, che si terranno dopo il quindici gennaio. Voto poi dal diciotto al venti.
 
«Il diktat Fiat è eversivo»
Appello di Ferrero alla mobilitazione unitaria
Risposta sindacale e risposta politica. Che proveranno ad intrecciarsi. Del resto, le scelte di Marchionne sono dirette a distruggere i diritti. Quelli sindacali e quelli politici, quelli garantiti dalla Costituzione. Così la Fiom - in attesa che la Cgil di Susanna Camusso prenda una decisione, se mai sarà presa - ha deciso di convocare il proprio comitato centrale. Si terrà domani. E lì si butteranno giù le prime idee su come rispondere «alla più grave violazione delle libertà sindacale dal '45 ad oggi», per dirla col presidente del comitato centrale, Cremaschi. Ma non basta, non può bastare. Perché il diktat della Fiat - per usare stavolta le parole del segretario del Prc, Paolo Ferrero - «è in radicale contrapposizione al quadro di regole stabilite dalla Costituzione repubblicana». Per essere ancora più chiari: «Non si può scaricare sulle spalle dei lavoratori della Fiat il peso di un attacco che è generale e non si può stare a guardare di fronte ad un'offensiva eversiva che ha un unico precedente nel nostro paese: l'avvento del fascismo». L'accordo separato è una questione che interroga la politica, insomma. Che interroga la sinistra. Proprio perché«è del tutto evidente che l'offensiva di Marchionne e quella di Berlusconi non sono che le due facce della stessa medaglia». Ecco perché Ferrero proprio stamane - sul Manifesto - lancia un appello a tutte le forze di sinistra. «Per organizzare iniziative unitarie contro l'accordo e per chiedere alla Cgil lo sciopero generale». E che questa iniziativa debba essere realizzata in tempi stretti, lo dice anche il tenore dei commenti governativi alla vicenda Mirafiori. Per farla breve: l'idea della destra è quella di «esportare» - e subito - il modello Marchionne. A sostenerlo è addirittura il ministro Sacconi. Che intervistato dalla radio, ha detto esattamente così: «L'intesa può fare scuola, soprattutto nel dire che non esiste una tara unica nei rapporti sindacali e che all'interno di cornici leggere, l'azienda è destinata ad essere il luogo nel quale si stabiliscono accordi che devono consentire alle parti di condividere fatiche e risultati». E', insomma, l'esplicita ammissione che il progetto politico della Fiat ha il pieno sostegno della maggioranza. Fare presto, allora. Ma c'è nella sinistra questa disponibilità? C'è questa consapevolezza fra le forze democratiche? Sel, la formazione di Vendola, ha incontrato l'altro giorno il segretario della Fiom, Landini e si è schierata senza se e senza ma dalla parte dei metalmeccanici. Lo stesso ha fatto ieri l'Idv. Che ha preso posizione con le parole di Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro del partito. Netto il suo giudizio: «Quello di Mirafiori è un accordo illegittimo. I sindacati devono essere liberi e autonomi. Invece ora il diritto di rappresentanza verrà concesso dall'azienda indipendentemente dal livello di rappresentanza del sindacato». Sia Sinistra, Ecologia e Libertà sia l'Idv fanno capire di essere pronte alla mobilitazione. E il Pd? Il problema è proprio qui, nel più forte gruppo dell'opposizione parlamentare. Come ormai avviene da tempo, le divisioni sindacali si sono riflesse pari pari fra le fila dei democratici. E così c'è Sergio D'Antoni, ex segretario Cisl che con la strana compagnia di Chiamparino - strana comunque solo per chi non ha seguito gli sviluppi del pensiero del sindaco di Torino - si dice entusiasta dell'accordo separato. Foriero di «sviluppo e occupazione». E c'è chi, spessissimo critico col sindacato, oggi sceglie di difenderlo, come Tiziano Treu: «Un ritorno agli anni '50». Fra queste spinte contrapposte - chi sta con i diktat della Fiat e chi con le vittime di quel diktat - appaiono un po' patetici i tentativi di mediazione. L'ultimo, il più rilevante è quello di Bersani. Che sceglie di non scegliere. Dice insomma di volerne sapere di più. «L'iniziativa della Fiat è molto forte. Se porterà, come io spero, a sollecitare una riforma dei meccanismi di partecipazione e di rappresentanza del mondo del lavoro, sarà un fatto che avrà un esito buono; se invece porterà, come è possibile, ad una disarticolazione dei rapporti sociali, allora sarà un fatto molto negativo». Forse è anche per atteggiamenti come questi che la Fiat ha potuto fare quel che ha fatto. Anche se - per contro - è anche vero che la sistematica distruzione dei diritti sindacali comincia a sollecitare risposte adeguate. In Cgil, per esempio. Nonostante un'intervista «accomodante» della segretaria Camusso (che evita accuratamente di parlare di sciopero generale), un pezzo della maggioranza del più forte sindacato non sembra più disposto a restare alla finestra. Antonio Mattioli, segretario Cgil dell'Emilia Romagna, per esempio è esplicito: «È ora di darci un taglio alle continue umiliazioni a cui è sottoposto il lavoro dipendente, non solo quello metalmeccanico, e fare fronte comune per dare dignità al lavoro». E' arrivato insomma il momento dello sciopero generale.
Repubblica 28.12.10
Blocco stipendi, l'allarme della Cgil. "I lavoratori perderanno 1600 euro"
ROMA - Circa 1.600 euro di potere d'acquisto in meno. Tanto perderanno i lavoratori del pubblico impiego con il blocco degli stipendi pubblici fino al 2013 deciso dalla manovra economica. La stima è della Cgil che sottolinea con il responsabile settori pubblici, Michele Gentile, come circa 1.200 euro lordi si perdano per il triennio 2010-2012 di mancato rinnovo dei contratti mentre altri 400 euro di aumenti complessivi mancheranno all'appello nel 2013 a causa del blocco ulteriore previsto dalla stessa manovra. Nel triennio 2010-2012, spiega Gentile, "l'incremento degli stipendi sulla base dell'indice dell'inflazione Ipca previsto dall'accordo interconfederale del 2009 (non firmato dalla Cgil) avrebbe dovuto essere complessivamente del 4,2%. Poiché ogni punto di inflazione vale circa 20 euro si tratta a regime di 90 euro lordi che mancheranno nello stipendio. Ipotizzando tre tranche annuali da trenta euro in più al mese (quindi 400 euro l'anno compresa la tredicesima) che non ci saranno, la perdita cumulata di potere d'acquisto sarà almeno di 1.200 euro lordi in media. Se ci aggiungiamo il blocco già previsto anche per il 2013 arriviamo almeno a 1.600 euro. I lavoratori pubblici torneranno a vedere aumenti in busta paga solo nel 2014". La Cgil ricorda poi come al blocco della contrattazione nazionale per il triennio (i contratti per circa tre milioni e mezzo di lavoratori sono scaduti a fine 2009) si affianca lo stop alla contrattazione integrativa e il blocco economico della carriera. In pratica nei prossimi anni si potrà fare carriera ma l'avanzamento sarà riconosciuto solo giuridicamente senza nessun miglioramento dello stipendio. Il blocco degli stipendi preoccupa non solo la Cgil, ma anche gli altri sindacati che però sottolineano come la stretta sul lavoro pubblico in Italia sia comunque meno pesante rispetto a quanto è accaduto in altri paesi. "In 17 paesi europei - dice il segretario generale della Fp-Cisl Giovanni Faverin -non si sono limitati al blocco dello stipendio in essere ma hanno deciso tagli delle retribuzioni rilevantissimi. In Spagna è stata del 5% mentre in Irlanda hanno avuto tagli del 13%. E puntiamo a recuperare risorse con la contrattazione integrativa". Gli esempi citati sono in realtà quelli delle nazioni più colpite dalla crisi e dalla cui situazione economica il governo ha sempre preso le distanze, ma anche il segretario confederale Cisl Gianni Baratta è convinto che non ci si possa lamentare più di tanto. "Il blocco dei contratti è una ferita - precisa - ma se guardiamo al panorama europeo le decisioni degli altri Paesi sul lavoro pubblico sono state più pesanti". La stretta nel pubblico impiego per i prossimi anni non si limiterà al blocco degli stipendi ma riguarderà anche il turn over. La manovra economica di questa estate prevede che fino al 2012 ci sia un limite del 20% delle entrate rispetto alle uscite. In pratica su dieci dipendenti pubblici che escono (per pensione o dimissioni) ne potranno entrare solo due (e con il limite anche del 20% massimo della spesa quindi non sarà possibile che a fronte dell'uscita di due commessi entrino due dirigenti). Facendo un calcolo medio di uscite per l'anno di 100.000 persone (circa il 3% di tre milioni e mezzo di dipendenti) significa che tra il 2010 e il 2012 a fronte di 300.000 uscite sarà possibile fare solo al massimo 60.000 nuove assunzioni (poiché vincoli più stringenti ci sono nei comuni, le regioni e la sanità).


Mercoledì 29 Dicembre,2010 Ore: 19:59
 
 
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