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www.ildialogo.org Articoli su crisi finanziaria europea e mondiale,a cura di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

Articoli su crisi finanziaria europea e mondiale

a cura di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

(Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di   Padova) 
 
da "il Manifesto"
 RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI 
di Galapagos
13 maggio 2010
La tassa proposta ieri da Obama (un centesimo al barile) è davvero   troppo poco fino a sembrare inutile, ma forse è simbolica e   propedeutica per provvedimenti da prendere immediatamente. Per   limitarci al petrolio, ogni giorno vengono trattati "future" per quasi   un miliardo di barili, ben oltre dieci volte in più del petrolio   commerciato. I "future" sono pura speculazione e solo in microscopica   parte servono a garantire gli operatori dalle oscillazioni dei prezzi.   Tassare i barili "future" (ben più di un centesimo al barile) non è   peccato, ma cosa giusta e saggia.
Quello che è accaduto prima con i mutui "subprime" e poi con la crisi   greca è esemplificativo del dominio della speculazione che ha potuto   operare e opera ancora liberamente scaricando ogni volta i costi sui   contribuenti.
Mario Draghi, governatore di Bankitalia, alcuni giorni fa ha   dichiarato che per battere la speculazione servono tempi lunghi:   giusta osservazione, ma l'importante è iniziare, dare segnali   concreti, magari piccoli.
Nulla di questo sta accadendo: l'ira dei governi e delle istituzioni   mondiali prende sempre di mira la gente comune e i lavoratori, vittime   incolpevoli della speculazione. Che opera con la certezza di non   essere mai chiamata a pagare per i danni planetari provocati.
L'ultima "decisione" assunta dall'UE, cioè la modifica del trattato di   Maastricht, muove in questa direzione. Il rigore viene imposto non   alle banche e agli operatori finanziari, ma ai cittadini per   interposta persona: obbligando gli stati al rigore.
Tutti gli Stati, perché il fenomeno dell'esplosione del debito   pubblico ha dimensioni planetarie. E sul debito pubblico gli affari e   la speculazione prosperano. In questa ottica nella cattolica Europa è   stato impedito alla Grecia di fallire, dimentichi del "Padre nostro"   che sostiene: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai   nostri debitori". E non serve essere teologi per capire che i debiti   non sono solo le nostre offese, i nostri peccati fatti a Dio, ma c'è   anche molto di materiale, perché i nostri debitori sono chi ci   impedisce di vivere una vita normale e ci impone di sopravvivere in   una vita fatta di sacrifici e sopraffazione.
Quello che emerge da Bruxelles è la pretesa di un gruppo di eurocrati,   non eletti da alcuno, che vuole imporre un governo forte che regoli le   nostre vite. L'alternativa non è tra nazionalismo egoista dei   privilegi e presunta sovranità "internazionalista" della UE.
L'alternativa vera - che appare in tutta la sua evidenza con la svolta   autoritaria con la quale si cerca di modificare il patto di Maastricht   in soccorso del sistema finanziario responsabile della crisi - è tra   il neoliberismo che vuole piegare, se non cancellare, la sovranità   popolare e, dall'altra, la necessità di una direzione diversa delle   varie società nazionali che deve essere orientata sul blocco sociale   che la crisi paga e subisce. E che vuole una globalizzazione, a   partire dall'Europa, che difenda i diritti, l'occupazione e la   produttività (ma non lo sfruttamento attuato con la flessibilità   esasperata), la conoscenza e la società civile. E faccia pagare la   crisi a chi l'ha provocata. Anche con i fallimenti. Perché - e i   liberisti non possono negarlo - i fallimenti sono parte integrale   dell'attività economica.
 
TAGLIAMO IL SISTEMA 
di Paolo Berdini
14 maggio 2010
Nelle prossime settimane si aprirà una potente campagna mediatica che,   oltre a far scomparire le responsabilità della crisi, tenterà di   ridurre la spesa pubblica assestando un altro colpo alle condizioni di   vita dei lavoratori. Se non vogliamo far vincere ancora "mano lesta",   cioè il partito di coloro che nonostante il tragico fallimento del   neoliberismo continuano a proporre le stesse ricette, dovremmo   iniziare a fare proposte efficaci e immediatamente comprensibili.   Partendo, ad esempio, dalla grande opportunità offerta dalla vicenda   della protezione civile.
Diego Anemone, un modesto e giovane uomo d'affari, aveva nel granaio   così imponenti provviste economiche da potersi permettere di pagare un   milione di euro per aiutare ad acquistare casa ad un solo ministro.   Stando alle anticipazioni giudiziarie, c'è una fila interminabile di   uomini politici o alti dirigenti statali che non disdegnavano concreti   favori da Anemone: ristrutturazioni di case, manutenzioni, fornitura   di mobili. Tutti soldi anticipati dall'imprenditore, ma che   rientravano nel suo portafogli con giganteschi interessi attraverso   l'affidamento di opere pubbliche. Ricchezze che venivano alimentate da   una spesa pubblica senza controllo.
Dicono le indagini in corso che il solo Angelo Balducci pretendeva il   10% dell'importo dei lavori. Mettiamoci gli altri soggetti tecnici,   dai direttori dei lavori ai collaudatori amministrativi e tecnici e   arriviamo a somme da capogiro.
La Corte dei Conti ha stimato in oltre 60 miliardi di euro l'ammontare   dei soldi che vengono sottratti dalle casse dello Stato attraverso il   sistema della corruzione. Ad ogni cittadino italiano vengono sottratti   mille euro all'anno, una impressionante tassa aggiuntiva occulta.
A metterci le mani nelle tasche non è soltanto la cricca. C'è il   sistema delle grandi opere, a cominciare dal Ponte sullo Stretto che   ha già fatto guadagnare ricche prebende ai soliti noti. C'è il buco   nero dell'Anas. C'è l'alta velocità ferroviaria, costata alle casse   dello stato 51 miliardi di euro che sono andati ad ingrossare i   bilanci di non più di venti grandi imprese nazionali. Ma di questo,   ovviamente, la severissima Confindustria non parla: preferisce   accanirsi contro ogni spesa a favore dei lavoratori e non ha interesse   a mutare questo indecente stato delle cose.
Uno dei centri vitali dello Stato, quello della spesa per le opere   pubbliche, è sequestrato da una struttura di potere di uomini   politici, di tecnici compiacenti e di imprese che spesso controllano i   grandi mezzi di informazione. Tagliando questo sistema malavitoso un   comune di duemila abitanti potrebbe avere un ritorno di 2 milioni   all'anno. Una cifra utile a interrompere la spirale degli ultimi anni   in cui i comuni per fare cassa sono stati istigati a vendere beni   pubblici o a incrementare la realizzazione di nuovi inutili quartieri.   Con quei soldi si potrebbero mettere in sicurezza le scuole, curare i   parchi, i beni culturali o lasciare aperti i pochi servizi sociali   ancora esistenti. Il comune di Roma avrebbe in dote quasi tre miliardi   all'anno, molto di più dei 500 milioni stanziati dal governo con   grandi squilli di tromba.
Mettere fine a un sistema perverso che fa affluire miliardi a pochi   speculatori e ad un sistema politico marcio è un modo efficace per   evitare un ulteriore taglio dello stato sociale. Ma la sinistra è   muta, incapace di incalzare su un terreno estremamente favorevole. Per   tornare ad essere credibili basterebbe chiedere che il controllo della   spesa per le opere pubbliche e per la sanità sia affidato a   galantuomini estranei alla politica e con il conseguente taglio di   spesa evitare ogni altra macelleria sociale.
 Eurogolpe, ovvero l'ideologia greca di Tommaso Di Francesco 14 maggio2010 Per qualcuno l'autoritarismo era già implicito nella costruzione   europea e nel vincolo del patto di stabilità, altri sosterranno che la   scelta è oggettiva, visto il livello della crisi, evidente dalla   furbizia e dal crack di Atene. Non è così. Con la decisione del 12   maggio, seguita alla maratona notturna di Ecofin e Bce che ha   stabilito un fondo prestiti straordinario di 750 miliardi di euro   insieme al Fmi per sostenere le crisi finanziarie dell'Eurozona, la   Commissione Ue ha avviato una svolta autoritaria, un vero e proprio   eurogolpe. Prendendo la palla al balzo. Perché, approfittando della   crisi greca, fa di questa materialità una ideologia (falsa coscienza)   che rischia di spostare ancora più a destra, se possibile, l'asse   politico dei paesi europei.
Già il patto di stabilità era un vincolo di bilancio che non poteva   essere sforato per la "correttezza dei conti", essendo il debito   l'oggettività primaria di una Europa senza istituzioni politiche ma   con la sola entità monetaria dell'euro. Non altre priorità, come   l'occupazione, la formazione, le innovazioni tecnologiche e   ambientali. Questo è l'Europa, solo una moneta. Che ora diventa   governo, anzi direttorio di brocker. Va da sé che la centralità è la   presunta oggettività dei bilanci, come se ad essi non presiedessero   scelte politiche, indirizzi di spesa, individuazione di priorità   sociali e strategiche ad esaltazione o a deprimento di altre. Come se   nei bilanci non si individuasse la ragione politica delle scelte di   classe di un governo e di quelle democratiche dei parlamenti. Il patto   di stabilità era, fin qui, un'ombra che già aveva contaminato l'intera   vicenda dei beni comuni, con l'obbligo delle privatizzazioni ovunque,   la cancellazione di ogni ipotesi di nazionalizzazione o di controllo   sociale dei beni. Eravamo finora al solo indirizzo, pericoloso, che ha   di fatto modificato i comportamenti delle leadership politiche di   destra e di sinistra che si sono avvicendate alla guida dei paesi   europei.
Ora con la svolta di Bruxelles presentata da un Barroso sempre   sornione e inutilmente sorridente, siamo al diktat attraverso la   definizione di strutture istituzionali e modalità che azzerano le   aspettative di allargamento della sovranità popolare in Europa intesa   come segno più alto e democratico per una cessione di sovranità   nazionale.
La Commissione europea ha infatti deciso: di controllare   preventivamente i conti pubblici degli Stati, di valutare e giudicare   le varie finanziarie prima dei Parlamenti, di estendere al debito   pubblico verifiche finora concentrate sul rispetto del 3% nel rapporto   deficit/pil; inoltre vara strumenti di cauzione e penalty e in più un   semestre di "sessione" speciale, quasi un presidio dedicato a queste   priorità.
Qualcuno ci leggerà la nascita finalmente dell'Europa. Eppure è   evidente che questa novità. se sottolinea una dura e forte intenzione   politica, la mette subito al servizio del dominio dell'attuale sistema   finanziario che tiene nelle mani il mondo e determina le sue   diseguaglianze, e che è stato fin qui responsabile sia della crisi   americana che di quella greca ed europea. Verso il quale nessuno   intende proporre - figuriamoci - alcun controllo o penalty secondo   interessi.
Ne derivano alcuni stravolgimenti dell'agenda politica. Mentre già   tutti corrono ad adeguarsi, come fa Zapatero che, vale la pena   ricordarlo, così facendo costruisce probabilmente la sua uscita di   scena, del resto anticipata dal disastro sociale della disoccupazione   spagnola arrivata alla soglia del 20%. E mentre il ritorno dei tories   al potere in Gran Bretagna nell'inedita coalizione con i lib-dem,   avviene sotto il segno smaccato dell'antieuropeismo e della   rivendicazione anti-euro, per stare ancora di più fuori dai meccanismi   e dai costi dell'Unione.
Già. Perché la centralità del cosiddetto debito pubblico, vuole   ideologicamente azzerare la differenza sostanziale tra debito sociale   (quello che lo stato deve ai suoi cittadini, stipendi del pubblico   impiego, pensioni, servizi, protezione sociale, welfare ecc. ecc.) e   il debito finanziario, quello che prende la forma dei titoli emessi   dallo Stato e che va sul "libero" mercato. Solo quest'ultimo   naturalmente può essere rimesso, cioè rimborsato prioritariamente,   salvaguardato, sostenuto e diventare mercanteggiamento tra prestiti   vantaggiosi per chi li fa e paesi "Pigs" così indebitati e per questo   impoveriti come la Grecia. L'altro naturalmente non ha protezione, non   viene difeso.
Parole giuste come "interventismo publico" e "cessione di sovranità   nazionale" acquistano così, con le brutali decisioni di Bruxelles, non   il senso di un allargamento dell'Unione Europea politica e della sua   democrazia, come avrebbe dovuto essere, ma una svolta autoritaria e   unilaterale in difesa del rigore di bilancio a salvaguardia degli   interessi del mercato, in primis finanziario.
Chi ci guadagna? Al di là delle banche, già responsabili delle crisi   in corso, si produce un'ulteriore dinamica politica che chiameremmo   l'ideologia greca. Con esaltazione di un nuovo "centro politico" per   l'occasione rinnovato - vedi le manovre oltre-Berlusconi in Italia - e   se necessario, anche populista e anticorruzione, da casa Scajola a   CasaPound per intenderci. Perché bisognerà pure cavalcare insieme   l'autoritarismo necessario al "rigore del debito" e la drammatica   divisione sociale che esso produce.
Né è da escludere che, formalmente ma significativamente, anche nel   cuore d'Europa, in Germania - sforatrice anch'essa del patto di   stabilità - il Parlamento protesterà, a sinistra ma soprattutto a   destra, contro questa rivendicazione centralistica di Bruxelles che   pure va nell'interesse di Berlino. E addirittura in Italia, alle prese   con il "federalismo fiscale" dei privilegi.
E a sinistra? Non basta davvero appellarsi ad Obama: è il miglior   Presidente per gli Stati Uniti, ma la sua America ci guarda   interessata, per scaricare costi della sua crisi e per vigilare che le   soluzioni qui non contraddicano l'ipersostegno alla finanza privata   approntato già negli USA. E pensare che l'allargamento forzato a 27   dell'UE ha avuto origini e radici nella necessità strategica   americana, attraverso l'Alleanza atlantica, di includere-annettere   come satelliti della Germania i paesi dell'est-Europa.
A questo punto, in quanto a protesta sociale e dei lavoratori, non   basteranno più i tetti su cui salire, né la rabbia greca, né una   prospettiva solo sindacale, se non si affronta il nodo di una   alternativa sulla ripartizione equa del lavoro alienato e sulla nuova   natura sociale (di cittadinanza?) del salario. Visto che già si   avventano come cani rabbiosi sullo "spreco" della cassa integrazione e   già perfino la Ggil si prepara ad una buona accoglienza dei tagli   imposti dalla Commissione UE.
Comunque, il fatto è che "la sinistra che abbiamo conosciuto" non solo   non c'è più in Italia - come scriveva Luigi Pintor - ma tantomeno in   Europa. E invece questa potrebbe essere l'occasione per sparigliare il   gioco sporco, invertire il senso comune della crisi e raccontarla   diversamente. E diversamente ricostruire un agire dal basso.
 ***
*
 
Sosteniamo la resistenza del popolo greco contro la dittatura dei   creditori!
Comunicato stampa di CADTM del 3 maggio 2010 
Fondato in Belgio il 15 marzo 1990, il Comitato per l'Annullamento del   Debito del Terzo Mondo (CADTM) costituisce una rete internazionale   formata da membri e comitati locali con sedi in Europa, in Africa,   nell'America Latina ed in Asia.
 (traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova) 
3 maggio 2010 
Il nuovo piano di austerità annunciato domenica 2 maggio è   un'autentica catastrofe per la popolazione greca, per i salariati del   privato come del pubblico, per i pensionati e per coloro che hanno   perso il lavoro.
   Congelamento dei salari e delle pensioni della funzione pubblica   per 5 anni;    Soppressione dell'equivalente di 2 mesi di stipendio per i   funzionari;    Diminuzione dell'8% delle loro indennità già amputate del 12% dal   precedente piano di austerità del governo guidato dal PASOK (Movimento   Socialista Panellenico) ;    L'imposta principale dell'IVA che, dopo essere passata dal 19 al   21%, viene portata al 23%, (anche le altre tasse subiscono un   incremento, dal 5 al 5.5% e dal 10 all'11%);    Le tasse sui carburanti, sugli alcolici e sui tabacchi aumentano   per la seconda volta in un mese del 10%;    I pensionamenti anticipati (collegati alla perdita del lavoro) sono   vietati prima dell'età di 60 anni;   L'età per legge dell'andata in   pensione delle donne è portata dai 60 ai 65 anni entro il 2013;    Per gli uomini, l'età legale dipenderà dalla speranza di vita;    Saranno necessari 40 anni di lavoro (e non più 37, salvo studi e   disoccupazione) per ottenere una pensione ad importo pieno;    Questa pensione verrà calcolata non più in funzione dell'ultimo   salario ma secondo il salario medio sulla totalità degli anni lavorati   (equivalente ad un abbassamento dell'ammontare della pensione del 45   fino al 60%)    Lo Stato ridurrà le sue spese di funzionamento (sanità, istruzione)   di 1,5 miliardi di euro.
   Gli investimenti pubblici verranno ridotti ancora di 1,5 miliardi   di euro.
   Viene creato un nuovo salario minimo per i giovani e per i   disoccupati di lunga durata (equivalente al CPE francese, la legge sul   contratto di primo impiego che, a detta dei sindacati e delle stesse   associazioni giovanili, penalizza fortemente il primo lavoro e aumenta   il precariato dei giovani,  respinta in Francia dai giovani e dai   sindacati).
 Miliardi di euro per salvare la Grecia dalla sua crisi monetaria: si   tratta di una cuccagna per i mercati finanziari e il capitale!    I trasporti, l'energia e alcune professioni riservate allo Stato   dovranno essere liberalizzate e aprirsi alle privatizzazioni;    Il settore finanziario (le banche in particolare) beneficierà di un   fondo di sostegno con l'aiuto del Fondo Monetario Internazionale e   dell'Unione Europea;    La flessibilità del lavoro sarà rafforzata;    I licenziamenti verranno facilitati;    L'economia greca viene posta sotto il controllo del Fondo Monetario   Internazionale.
 La Grecia, restando nella zona dell'euro, non potrà svalutare la sua   moneta, né giocare sui tassi di interesse. Neppure il debito potrà   essere ristrutturato, le istituzioni finanziarie europee ne detengono   i due terzi. Queste stesse banche continueranno ad attingere denaro   dalla Banca Centrale europea ad un tasso dell'1% per prestarlo agli   Stati (dietro remunerazione!).
Per contropartita a queste misure, i paesi della zona euro, uno ad   uno, stanno prestando aiuto da 100 a 135 miliardi di euro alla Grecia   nell'arco di 3 anni, ad un tasso del 5% (45 miliardi solo per   quest'anno). Dunque, gli Stati ricchi e le banche guadagneranno soldi   sulle spalle del popolo greco. Christine Lagarde, ministra delle   finanze francese, prevede un utile di profitto pari a 150 milioni di   euro all'anno.  Con questa operazione andranno ad accrescere il debito   pubblico per consentire allo Stato greco di pagare i suoi creditori   speculatori! La crisi greca è la dimostrazione a grandezza naturale della tripla   pericolosità del Fondo Monetario Internazionale, dell'Unione Europea e   dei mercati finanziari.
Il FMI, screditato a giusto titolo per i suoi catastrofici "piani di   aggiustamento strutturali", ritorna a galla nella zona euro, dopo   avere infierito in questi ultimi due anni in molti paesi dell'Europa   orientale.  Oggi, il Fondo utilizza le medesime procedure messe in   atto ieri conformemente agli interessi dei medesimi suoi sponsor: i   mercati finanziari e le multinazionali. Oggi, come ieri, questa è la   sua autentica natura di pompiere piromane che si rende manifesta alla   luce piena del sole.  L'Unione Europea e la sua commissione hanno in   ugual modo riaffermato i loro paradigmi al servizio della "libera   concorrenza, non falsata". La Banca Centrale Europea non è al servizio   delle popolazioni di Europa, ma unicamenteque a quello delle banche e   degli organismi finanziari.
I mercati finanziari, dopo avere provocato e fatto precipitare la   crisi greca, attraverso le agenzie di rating remunerate dalle grandi   banche statunitensi, esigono trarre ancor più profitti dalle loro   strategie speculative. Il governo del PASOK, l'Unione Europea e il FMI   hanno fornito loro l'occasione su un piatto d'argento.
 Alle spalle dell'industria finanziaria ci sono le multinazionali   dell'industria, del commercio, dei servizi.
Se stiamo stigmatizzando a ragione i fondi speculativi, le agenzie di   rating e l'industria finanziaria, noi non perdiamo di vista che tutto   questo non è altro che l'albero che nasconde la foresta! Questa   sfrenata speculazione che strangola le popolazioni povere è stata resa   possibile per due ragioni principali:    Le deregolamentazioni successive dei mercati finanziari dopo gli   anni ottanta del secolo scorso;    Le scelte volontarie e coscienti del grande padronato di destinare   i loro nuovi profitti alla speculazione piuttosto che verso la   produzione e la creazione di posti di lavoro. E questa accumulazione   di nuovi profitti trova la sua origine nella recente ripartizione   della ricchezza a beneficio del profitto e a detrimento della parte   spettante ai salariati. Questa parte è diminuita di circa il 10% del   PIL in 25 anni nella media dell'insieme dei paesi sviluppati.
Questo orientamento economico, sostenuto dall'ideologia neoliberista,   è la causa principale della crisi economica e finanziaria che noi oggi   abbiamo sotto gli occhi.
Anche i differenti governi che si sono succeduti nel corso di 30 anni,   in Grecia come negli altri paesi del Nord del mondo, portano una parte   pesante di responsabilità nell'aumento dei debiti pubblici. Le   politiche fiscali, condotte in favore dei benestanti più agiati e   delle grandi imprese (imposta sul reddito, imposta patrimoniale e   imposta sulle società), hanno diminuito in maniera considerevole le   entrate di bilancio ed aggravato il deficit pubblico, obbligando gli   Stati ad accrescere il loro indebitamento.
 I responsabili della crisi vengono risparmiati ed è alla gente che   viene presentato il conto.
 Nel piano di austerità congegnato da PASOK-UE-FMI ed imposto al popolo   greco in pratica è possibile riscontrare la presenza solo di piccoli   provvedimenti senza effetto per stabilire l'inizio di una giustizia   fiscale e assolutamente nulla per combattere l'evasione fiscale dei   profitti delle grandi imprese.  Le "soluzioni" del PASOK, dell'UE e   del FMI precipitano la Grecia verso l'approfondimento della sua crisi.   Per il 2010 viene già programmata una recessione minimale di 4 punti   del PIL. I piccoli artigiani e i commercianti, le piccole imprese   dovranno affrontare una lunga serie di fallimenti e di blocchi delle   attività. La disoccupazione sta esplodendo e gli strati popolari e le   classi medie stanno riscontrando che il loro potere di acquisto sta   precipitando in caduta libera. Le ineguaglianze si stanno accrescendo   e i diritti umani fondamentali (accesso all'energia, all'acqua, alla   sanità, all'istruzione.) sono minacciati per la parte più povera della   popolazione.
La collera del popolo della Grecia è anche la nostra.
Il CADTM sostiene senza riserve le mobilitazioni contro il piano di   austerità.
 Esistono soluzioni alternative!    Il rimborso del debito pubblico della Grecia deve essere   immediatamente sospeso e deve essere condotta una pubblica inchiesta   per decidere della sua legittimità o della sua illegittimità.
   Devono essere prese misure di abrogazione e i proventi finanziari   dal debito devono essere tassati alla fonte al tasso massimo   dell'imposta sui redditi.
   Provvedimenti fiscali possono essere assunti immediatamente per   ristabilire la giustizia fiscale e per la lotta contro l'evasione   fraudolenta. All'oggi, secondo le valutazioni del Tesoro greco, i   funzionari (designati come capri espiatori) e gli operai dichiarano   profitti maggiori di quelli dei liberi professionisti (medici,   farmacisti, avvocati) o perfino dei banchieri! La quasi totalità delle grandi imprese (armatori, .) dichiarano i loro   profitti in paesi a fiscalità vantaggiosa (particolarmente a Cipro) o   li nascondono nei paradisi fiscali.
La Chiesa ortodossa continua a beneficiare di esorbitanti esoneri   fiscali sui patrimoni e sulle rendite immobiliari. Esiste denaro in   Grecia, ma non là dove il piano di austerità lo vuole prendere! Al CADTM, noi siamo solidali con il popolo greco che scenderà in   sciopero generale il 5 maggio prossimo. Dappertutto, in Grecia come   negli altri paesi europei, la solidarietà per la mobilitazione deve   allargarsi. Attualmente, è la Grecia sotto tiro ma tutti sanno che   domani può toccare al Portogallo, all'Irlanda o alla Spagna. In   seguito, tutta la zona euro può capitombolare, compresi i paesi più   "ricchi" di Europa.
Noi ci rallegriamo per le prime dichiarazioni di solidarietà e per   l'inizio delle mobilitazioni di sostegno davanti alle ambasciate   greche. Bisogna andare più lontano! Il movimento sociale europeo nel   suo complesso deve stare a fianco del popolo greco! I popoli di Europa   hanno tutto da guadagnare! Il CADTM, per quanto possibile porterà il   suo contributo!                                                                            ***
*
 
 
 Grecia, "l'ultima tappa della crisi"
di Jorge Altamira 
URL di questo articolo su Tlaxcala : http://www.tlaxcala.es/ 
Jorge Altamira è lo pseudonimo di José Saúl Wermus (nato nel 1942 a   Buenos Aires), principale dirigente di "Partito Operaio", un gruppo   trotskysta fondato nel 1982. Veterano delle lotte sociali e politiche   contro le dittature in Argentina fin dagli anni Sessanta, è stato   consigliere municipale di Buenos Aires dal 2000 al 2004. È stato   promotore di molte legislazioni sociali, fra cui la norma che   istaurava la giornata di sei ore lavorative giornaliere per i   lavoratori del métro della metropoli e quella sul ricupero dei   lavoratori delle imprese abbandonate dai loro proprietari.
È stato candidato a più riprese ad elezioni presidenziali e legislative.
È membro del Comitato di coordinamento per la rifondazione della   Quarta Internazionale.
È autore di : La strategia della sinistra in Argentina (1989); Teoria   marxista e strategia politica (1999); "El Argentinazo". Il presente   come storia. (2002); Una nuova tappa storica: La Rivoluzione Russa nel   secolo XXI.
 (Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di   Padova) 
Paradosso crudele. È bastato che l'operazione di salvataggio, talmente   reclamizzata, della Grecia venisse resa nota che, nel giro di poco più   di 24 ore, appariva come evidente che il default (il crollo con la   conseguente cessazione dei pagamenti) della Grecia fosse inevitabile.   Il raddoppio della somma assegnata al salvataggio, da 60 a 120   miliardi di euro, causava l'effetto opposto a quello che ci si   attendeva, dato che la dimensione dell'operazione metteva in rilievo   l'insolvibilità dello Stato greco.
La ripercussione internazionale del naufragio ellenico è stata   impressionante: il crollo delle Borse di  Madrid o di Milano è stato   catastrofico, ma nemmeno quelle di New York, di Shangaï o di San Paolo   sono state risparmiate Il crollo della Grecia traccia una linea di separazione nei percorsi   della bancarotta capitalistica  mondiale: la prima fase va dalla crisi   della banca d'investimenti usamericana Bear and Stern, nel luglio   2007, fino al fallimento della Lehman Brothers, nel settembre 2008; la   seconda fase si estende da questa data all'incombente default della   Grecia che è andato a svilupparsi in questi giorni.
Ciò che gli analisti anglo-sassoni denominano come counterparty risk,   vale a dire la minaccia di bancarotte finanziarie, ritorna sul   palcoscenico del teatro, fatto che si pensava superato grazie alle   emissioni massicce di denaro da parte delle banche centrali,   specialmente negli Stati Uniti ed in Cina.
 Un "aggiustamento" criminale La causa fondamentale del fallimento del piano di salvataggio,   addirittura prima che questo venga messo in opera, deriva   dall'aggiustamento mostruoso che viene imposto al popolo greco.
La gigantesca limitazione del potere di acquisto della popolazione, a   causa delle riduzioni dei salari e delle pensioni; degli aumenti   siderali delle tasse sui generi di consumo; dei tagli enormi alle   spese sociali; presagisce un acuto inasprimento della recessione   economica, che non può se non aggravare l'incapacità da parte   dell'erario ad onorare il debito pubblico.
Precisamente per questo, si stima che il debito dovrebbe aumentare nel   periodo dell'aggiustamento, non solamente in proporzione al PIL ma   anche in valore assoluto (come conseguenza della necessità di dovere   pagare dei tassi di interesse molto superiori rispetto alla media dei   mercati internazionali). Detto altrimenti, la miseria sociale si   accompagnerà ad una accentuazione della vulnerabilità fiscale e   finanziaria. La parte essenziale del debito pubblico della Grecia si   trova nelle mani delle banche nazionali, quantunque dominate dalle   banche francesi e tedesche. Questa situazione ha già provocato una   corsa al ritiro dei depositi e alla fuga dei capitali (verso il   paradiso fiscale di Cipro).
In Argentina, nel 2001, quando il titolare del ministero dell'Economia   era López Murphy, questo ministro aveva tentato una simile operazione   deflazionista, benché in proporzioni infinitamente minori. Grazie alla   resistenza popolare, il suo fallimento ha suonato la fine del "prima-  dell'ultima fase-della crisi" e comunque ha dato la stura all'"ultima"   fase, quella di Cavallo.
(N.d.tr.: Domingo Cavallo, è noto per il piano di convertibilità che   ha stabilito il rapporto di parità tra il dollaro americano e il peso   argentino tra il 1991 e 2001. Tale piano ha ridotto l'inflazione da   oltre il 1300% nel 1990 a meno del 20% nel 1992 fino a quasi lo zero   nel resto degli anni Novanta, salvo poi provocare l'insolvenza del   debito pubblico argentino. Nel 2001 chiamato dal presidente De la Rúa   a fare il ministro dell'economia, rinegozia il debito estero con il   FMI. La crescita del rischio-paese e la pressione degli investitori   internazionali provocano una corsa al ritiro dei capitali dalle banche   e alla fuga all'estero dei capitali. Nel novembre 2001, Cavallo   introduce una serie di misure per limitare l'uso dei contanti, note   come corralito ("financial fence"), per cui si limitavano i prelievi   dai conti bancari. La politica economica di Cavallo è da molti   considerata tra le principali cause di deindustrializzazione e   dell'aumento di disoccupazione e povertà durante gli anni Novanta,   come anche della crisi economica e dell'insolvenza del debito pubblico   argentino.) Il piano di salvataggio per la Grecia arriva ad assolvere la medesima   funzione di "blindatura" organizzata da Cavallo con le banche   internazionali, quella di utilizzare il denaro pubblico per finanziare   la fuga dei capitali, e così le banche venivano messe al riparo   dall'inevitabile default dell'Argentina.
Non c'è alcun dubbio che l'innesco decisivo al salvataggio-  aggiustamento della Grecia è stato provocato dalla colossale   mobilitazione delle masse della Grecia, che tutti i circoli finanziari   davano per scontata e che si è manifestata con lo sciopero generale   del 5 maggio.
Nella Grecia ipermilitarizzata, paese che spende per gli armamenti più   di tutti nell'Unione Europea, la crisi ha fatto schierare nelle strade   il personale della polizia e dell'esercito.
 La bancarotta dell'Europa Tuttavia, nello stesso modo con cui ha messo in piena luce   l'inevitabilità del collasso della Grecia, il piano di salvataggio ha   messo a nudo il fatto che l'epicentro della bancarotta non si trova   proprio in Grecia, ma in Germania e in Francia.
L'evidenza che la crisi greca minacciava l'equilibrio delle banche   pubbliche tedesche (Landesbank), ha costituito ciò che ha indotto   precipitosamente la Cancelliera Merkel a decidersi per il piano di   salvataggio, che fino a quel momento aveva respinto con ostinazione.   Questo non è dovuto solamente al fatto che le banche tedesche sono   fortemente esposte in Grecia: insomma, la Germania è soggetta ad un   tasso di disoccupazione dei più elevati al mondo e ad un abbattimento   impressionante di ore di lavoro e il suo debito pubblico arriva già al   limite massimo consentito dagli accordi dell'Unione Europea. La   Germania ha bisogno di denaro, in primo luogo, per se stessa.
Un altro indice della disperazione che ha determinato l'annuncio del   piano di salvataggio è stata la decisione della Banca centrale europea   di accettare i titoli "spazzatura" del debito greco (detenuti dalle   banche locali) come garanzia per accordare dei prestiti in maniera   diretta.
Si tratta chiaramente di una operazione di drenaggio del debito greco   a beneficio delle banche locali e straniere che sono i creditori.
Il piano di salvataggio non è proprio un'operazione congiunta   dell'Europa, ma si fonda su una collezione di prestiti alla Grecia da   diversi paesi, fra cui la Spagna, Stato anch'esso in default (tanto   sul piano pubblico che, specialmente, sul piano privato), che tuttavia   appare nella lista dei salvatori della Grecia. È chiaro che   un'operazione di questa natura non ha la possibilità di ripetersi nel   caso in cui si rendesse necessaria per altri paesi; è per questo che   assomiglia molto al colpo unico nel caricatore. Questo piano ha   provocato una corrida speculativa contro i debiti pubblici di qualche   altro paese.
L'Unione Europea è stata incapace di finanziare il salvataggio tramite   il collocamento del suo proprio debito sui mercati, come hanno fatto,   per esempio, gli Stati Uniti.
In altri termini, l'Europa manca degli strumenti di un salvataggio,   una carenza che mette a nudo l'impotenza politica dell'Unione Europea.   I Tedeschi ricorrono alle banche pubbliche per far fronte alla loro   parte del prestito alla Grecia, e queste banche cercheranno di essere   finanziate dalla Deutsche Bank e dalla Commerzbank, anche se in   termini di precarietà.
Come abbiamo visto, in questa fase, la bancarotta della Grecia ha   posto in pieno rilievo la portata della crisi del capitalismo in   Europa nel suo complesso.
 Ciao, Keynes Tuttavia, noi abbiamo ben compreso che la crisi, in questa fase, ha   già una portata molto più larga. L'Europa è rimasta divisa in due   gruppi di paesi, con la prospettiva che gli antagonismi fra essi   possano via via esasperarsi.
I paesi che flirtano con il default avranno, da qui a poco, un prezzo   da pagare in crescendo a causa  dei finanziamenti, che li allontanerà   dagli Stati più solidi nelle ulteriori fasi dello sviluppo   capitalistico. L'Unione Europea entra in una fase centrifuga.
L'altra questione è non meno impressionante: si sta imponendo un   programma deflazionista, come è successo nella crisi degli anni   Trenta, rovinando le illusioni di una specie di kirchnerismo  [la   politica dei presidenti argentini Nestor e Cristina Kirchner ]   mondiale, che avrebbe dovuto assicurare che il capitalismo ritornava   ad una fase di interventismo statalista e di keynesianesimo.
Benché qualsiasi giudizio a riguardo sia prematuro, la caduta della   quotazione dell'oncia d'oro di questi ultimi giorni potrebbe solamente   spiegarsi in funzione di una prospettiva deflazionistica.
Per alcuni osservatori più qualificati, noi staremmo assistendo ad un   piano di parziale smantellamento dell'Unione Europea sotta la   bacchetta direttiva della Germania, che avrebbe guadagnato alla sua   causa la Francia.
Sotto la pressione degli interessi delle esportazioni dell'industria   tedesca, il governo della Germania promuove, in primo luogo,   indirettamente attraverso il rifiuto del salvataggio dei Paesi del sud   dell'Europa, una svalutazione dell'euro che consentirebbe agli   esportatori tedeschi una migliore posizione competitiva rispetto agli   Stati Uniti e alla Cina.
In secondo luogo, starebbe organizzando un'uscita nell'assetto delle   nazioni sud-europee, che potrebbe anche includere l'Irlanda e il Belgio.
Pur avvenuto il dissolvimento dell'Unione Sovietica, lo smantellamento   dell'Unione Europea si trasformerebbe nella testimonianza della   disfatta capitalista.
La lotta per il mercato mondiale ha sempre più peso nella crisi, come   viene dimostrato dalla controversia cino-statunitense sulla quotazione   dello yuan cinese. Malgrado le misure assunte da Obama per potenziare   le esportazioni usamericane, queste non riescono a decollare e il   deficit commerciale degli Stati Uniti (e per il medesimo motivo il suo   debito con l'estero) non cessa di crescere.
In realtà, per numerosi osservatori, la Grecia non è altro che una   metafora degli Stati Uniti, di cui il deficit fiscale, l'indebitamento   pubblico e il debito nazionale sono, in termini relativi ed assoluti,   i più elevati al mondo. Secondo un rapporto del Fondo Monetario   Internazionale, non pubblicato, gli USA dovrebbero essere costretti,   per non subire il default, ad applicare un taglio di bilancio   equivalente al 9% del loro PIL, vale a dire di 1,3 miliardi di dollari.
In mancanza di una tale amputazione, gli USA non potrebbero   regolarizzare la loro situazione finanziaria, ossia aumentare i tassi   di interesse (che attualmente sono a zero) senza condurre il settore   pubblico al fallimento. Ecco la spiegazione del crollo di Wall Street   durante tre giornate di seguito, sotto la pressione del fallimento   della Grecia.  Per dipingere un quadro ancora più fosco, gli analisti   sono d'accordo sul fatto che i guadagni annunciati dalle banche   usamericane nel primo trimestre del 2010 testimoniano di una   situazione del tutto simile a quella che ha provocato la bancarotta, a   partire dal 2007, poiché questi guadagni provengono da operazioni   speculative sostenute in una proporzione enorme dai debiti.
Da un lato, l'aumento del debito usamericano e, dall'altro, quello di   emissione di moneta hanno prosciugato in gran parte le risorse e gli   strumenti per far fronte alla spinta della tendenza deflazionista che   è apparsa con la bancarotta europea.
Una breve osservazione: la speculazione al ribasso contro il debito   inglese è già cominciata.
La caduta del prezzo delle materie prime si è accompagnata con la   caduta della quotazione dell'oro, fatto che pone un punto   interrogativo sul "ricupero" del Sud dell'America Latina. D'altro   canto, si è prodotto un forte ritiro di capitali, testimoniato dal   crollo delle borse di Buenos Aires e di San Paolo.
Il fatto che, addirittura prima che la Grecia vada in pezzi, sia in   corso in Cina ed in Asia una tendenza finanziaria negativa, come   conseguenza del freno che il governo cinese tenta di imporre ai   prestiti bancari, alla speculazione immobiliare a borsistica.
Il fatto che i prestiti inesigibili delle banche, che sono stati   accordati per contrastare la recessione (che si era brutalmente   manifestata all'inizio del 2009), superino il 25% degli attivi, la   percentuale più alta al mondo.
Le virate e i contraccolpi della crisi capitalista sono la prova del   franare delle relazioni sociali esistenti.
Ed ora, che fare? Come proclamato da uno striscione issato   sull'Acropoli, curiosamente dal partito che meno si poteva pensare, il   partito stalinista greco: "Peoples of Europe - RISE UP" Popoli di   Europa - SOLLEVATEVI!     


Luned́ 17 Maggio,2010 Ore: 16:01
 
 
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