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www.ildialogo.org Quinta Parola: «Onora tuo Padre e tua Madre» (Es 20,12),di  Marco Morselli

Una esegesi ebraica
Quinta Parola: «Onora tuo Padre e tua Madre» (Es 20,12)

di  Marco Morselli

ai miei Genitori
Pietro/Piero & Fernanda/Nandette
sia il Loro ricordo in benedizione
 
Nel terzo mese dall’uscita dall’Egitto i figli d’Israele arrivano nel deserto del Sinai (Es 19,1). «Al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi e una nube densa calò sul monte mentre il suono dello shofàr era molto forte e tutto il popolo che era accampato fu colto da spavento» (Es 19,16). Il Signore scende sul monte, Mosheh sale, e dopo un’ulteriore discesa e risalita da parte di Mosheh «Eloqim pronunciò tutte queste parole dicendo» (Es 20,1) ha inizio il matàn Torah, il dono della Torah.
Secondo il Midrash (Shemòt Rabbà, 29,9) tutta la terra era silenziosa, nessun uccello cinguettava, nessun bue muggiva, nessun angelo saliva, nessun serafino proclamava la santità di Ha-Shem. In questo profondo silenzio si udì: «Anokhì Ha-Shem Eloqèkha». Rashi spiega che dapprima Eloqim pronuncia tutte e dieci le Parole in un solo istante, poi ripete le prime due Parole. Come mai le prime due Parole sono dette in prima persona, mentre le altre otto sono invece in terza persona? Israele era così intimorito e spaventato che sente il suono, ma non riesce a capire le parole, che vengono poi ripetute da Mosheh.
Tutte le parole che Ha-Shem pronuncia tuttavia non finiscono in Es 20,14, non si limitano all’enunciazione del Decalogo, ma proseguono per ben undici capitoli, da Es 20,19 fino a Es 31,17. Gli ultimi cinque versetti sono dedicati a Shabbat, poi Ha-Shem termina di parlare con Mosheh sul monte Sinai e gli consegna le luhòt ha-edùt, le tavole della testimonianza, «tavole di pietra scritte con il dito di Eloqim» (Es 31,18).
Dopo il drammatico episodio del vitello d’oro e le terribili punizioni che ne conseguono, Mosheh pianta la sua tenda fuori dall’accampamento e la tenda diventa ohèl ha-moèd, la tenda dell’adunanza. Quando Mosheh entra nella tenda la Shekhinàh entra con lui e Ha-Shem parla con lui come uno parla con il suo amico (Es 33,11).
Mosheh si nasconde nella cavità della roccia quando passa la gloria di Ha-Shem (Es 33,22) poi taglia due tavole come le precedenti e di nuovo sul far del mattino sale sul monte (Es 34,4). Per quaranta giorni digiuna e scrive sulle tavole dell’Alleanza (Es 34,28), poi scende dal monte con le tavole in mano e il volto raggiante (Es 34,29).
Benché la Torah non lo precisi, secondo la Tradizione (Yalkùt Shimonì I, § 299) le Dieci Parole erano scritte cinque su una tavola e cinque sull’altra:
 
6. Non uccidere                             1. Io sono Ha-Shem
7. Non commettere adulterio           2. Non avrai altri Eloqim1
8. Non rubare                                3. Non pronunciare invano il Nome
9. Non testimoniare il falso             4. Ricordati del giorno di Shabbat
10. Non desiderare                         5. Onora tuo Padre e tua Madre
 
La Mekhiltà spiega che Ha-Shem incise le Dieci Parole su due tavole in modo da istituire una corrispondenza tra la prima e la sesta, la seconda e la settima, e così via. Ad esempio, «Non uccidere» è in parallelo con «Io sono Ha-Shem, il tuo Eloqim» ad insegnare che uccidere significa profanare il Santo, benedetto Egli sia, ad immagine del quale l’uomo è creato.
Perché le Dieci Parole non vengono scritte su una pergamena o su un papiro, ma su tavole di pietra? Pietra in ebraico è éven, termine che contiene le parole av e ben, padre e figlio. Le Dieci Parole vengono scritte nel legame delle generazioni che unisce i padri ai figli. Sono state incise, ma il Talmud insegna: «Non leggere harùt, inciso, ma herùt, libertà».
«Kabbèd et avìkha we-et immèkha affinché si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che Ha-Shem il tuo Eloqim ti dà». Il Talmud (jPeah, I,1) pone l’onore per i Genitori tra le cose di cui l’uomo gode i frutti in questo mondo, e al cui capitale attinge nel mondo a venire.2
«Onora tuo Padre e tua Madre» viene dopo le prime quattro Parole che concernono la relazione con Ha-Shem (ben adàm la-Maqòm) e prima delle cinque Parole che riguardano la relazione con il prossimo (ben adàm la-haverò). L’onore dovuto al Padre e alla Madre è un riflesso dell’onore che dobbiamo a Ha-Shem. La nostra origine ci trascende, come ci trascende il futuro dopo la nostra fine.
Filone di Alessandria (30 a.e.c-50 e.c. ca) nel De Decalogo così scrive: al quinto comandamento D. «assegna una collocazione di confine tra le due serie di cinque: è, infatti, l’ultimo della prima in cui sono stabiliti i precetti più sacri e si collega alla seconda che comprende i doveri verso gli uomini. La ragione credo sia questa: la natura dei genitori sembra essere al confine fra essenza immortale e mortale; la mortale perché hanno in comune con gli uomini e gli altri animali un corpo perituro, l’immortale per la facoltà di generare che li rende simili a D., genitore di tutte le cose»3. E ancora: «Il primo elenco inizia, dunque, con D. padre e autore di tutto e termina con i genitori che, imitando la sua natura, generano i singoli individui (p. 69).
Nella ripetizione del Decalogo di Levitico 19,3 la quinta Parola è leggermente differente: «Ogni uomo deve temere sua Madre e suo Padre». Se in Esodo il Padre precede la Madre, in Levitico è la Madre a precedere il Padre. Questo insegna che i Genitori hanno pari dignità. Per quanto riguarda l’onore, il Padre precede la Madre, per quanto riguarda il timore, la Madre precede il Padre. La Torah sembra voler correggere la tendenza naturale a onorare maggiormente la Madre, e temere maggiormente il Padre.
Kabbèd vuol dire propriamente «dare peso». Lo psicoanalista Daniel Sibony interpreta in questo modo: dai peso alla storia dei tuoi genitori. La quinta Parola pone un limite, opera una rottura. I genitori hanno diritto alla loro storia, pertanto i figli devono evitare di consacrare la propria vita a ripercorrere la loro strada. Dai peso a tuo Padre e a tua Madre perché si prolunghino i tuoi giorni significa: dai peso alla loro storia per non ripeterla. A volte dare peso ai propri genitori vuol dire dare peso a ciò che essi non sono stati o non sono riusciti ad essere4.
Di fronte alla quinta Parola abbiamo la decima: «Lo tahmòd, Non desiderare». La Torah sa quello che scoprirà Freud: i parentemi sono più forti degli erotemi. «Perciò abbandoni l’uomo il proprio padre e la propria madre e si unisca alla propria moglie, diventando un’unica carne» (Gn 2,24). Liberarsi, almeno in parte, della propria condizione di figli è un requisito per potersi sposare e diventare a propria volta genitori.
La quinta Parola è unilaterale? Non vi sono doveri dei genitori nei confronti dei figli? Certamente ve ne sono, ecco ad esempio cosa insegna un brano talmudico: «Il padre è tenuto, nei confronti del proprio figlio, ai seguenti obblighi: circonciderlo, riscattarlo, insegnargli Torah, farlo sposare, insegnargli un mestiere. E c’è chi dice anche: insegnargli a nuotare» (bKiddushin, 29a), beninteso: insegnargli a nuotare nel gran mare della vita.
Vorrei concludere con un passo di Yeshua ben Sira (II sec. a.e.c.): «Chi onora il padre espia i peccati, chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce ad Ha-Shem darà consolazione alla madre. Chi teme Ha-Shem, onora il padre e serve come padroni i suoi genitori. […] Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa. Nel giorno della tua tribolazione Ha-Shem si ricorderà di te, come brina al calore si scioglieranno i tuoi peccati» (Sir 3,3-7; 3,12-15).
 
 Note
1 Secondo Rashi: Non avrai gli Eloqim degli altri.
2 Le altre cose che vengono menzionate sono: le opere di bontà, mettere pace tra le persone e lo studio della Torah.
3 Filone di Alessandri , De Decalogo, a cura di F. Calabi, ETS, Pisa 2005, p. 105.
4 D. Sibony, Les trois monotheisms, Seuil, Paris 1997.
 


Domenica 09 Gennaio,2011 Ore: 17:46
 
 
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