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www.ildialogo.org Mino Martinazzoli e don Primo Mazzolari, due viandanti inquieti,di Anselmo Palini

Mino Martinazzoli e don Primo Mazzolari, due viandanti inquieti

di Anselmo Palini

(Articolo pubblicato su “Impegno”, periodico semestrale della Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo, MN, 1/2012, pp. 95-122)


 (Articolo pubblicato su “Impegno”, periodico semestrale della Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo, MN, 1/2012, pp. 95-122)

Uno strano democristiano”1

Mino Martinazzoli è morto il 4 settembre 2011, nella sua casa di Caionvico, a pochi chilometri da Brescia. L'ex sindaco della città, nato a Orzinuovi il 30 novembre 1931, era malato da tempo.

Mino Martinazzoli, frequentato il liceo classico “Arnaldo” a Brescia, si laurea in giurisprudenza come alunno del “Collegio Borromeo” di Pavia ed esercita la professione di avvocato. Comincia poi l’attività politica nel suo paese natale, Orzinuovi, nella Bassa bresciana, come assessore alla Cultura. A partire dagli anni Sessanta-Settanta si afferma nelle file della Democrazia Cristiana di Brescia. Entra così a far parte del Consiglio Provinciale e diviene Presidente dell'amministrazione provinciale dal 1970 al 1972.

Dal 1972 è parlamentare: prima senatore (1972-1983, e 1992-1994), poi deputato (1983-1992). È Ministro di Grazia e Giustizia dal 1983 al 1986, anni in cui si occupa, tra l’altro, dell’approntamento dell’aula bunker di Palermo per permettere l’effettuazione in sicurezza del maxiprocesso alla mafia, istruito dai giudici Falcone, Borsellino, Ayala e Di Lello. Da Ministro di Grazia e Giustizia, stimolato anche da varie sollecitazioni provenienti dal mondo ecclesiale e da numerosi incontri con padre Balducci e con il card. Martini, affrontò il problema delle condizioni di vita all’interno delle carceri e quello del rispetto dei diritti umani dei detenuti. Venne così approvata nel 1986 la legge sulla dissociazione, nota come Legge Gozzini, «una sorta di temperamento di quella afflittività, un recupero di diritto. L’elaborazione fu lunga e la legge vide la luce nel 1986. Fu l’assemblaggio di una serie di iniziative di governo e parlamentari. Credo che abbia funzionato bene. E che sia servita per uscire dall’emergenza e recuperare il diritto»2.

Dal 1989 al 1990 è Ministro della Difesa: sua la storica decisione di equiparare in termini di durata il servizio militare e quello civile. Mentre è Ministro della Difesa, si dimette (insieme ad altri ministri della sinistra democristiana: Sergio Mattarella, Riccardo Misasi, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani) in segno di dissenso rispetto all'approvazione della legge Mammì, che riguardava l’emittenza radiotelevisiva, legge che riteneva inadeguata in quanto non prevedeva una vera regolamentazione del sistema privato della comunicazione.

Nel 1991-92 è invece ministro delle Riforme Istituzionali e degli Affari Regionali nel settimo governo Andreotti.

Il 12 ottobre 1992, con la Democrazia Cristiana travolta da Tangentopoli, è eletto per acclamazione dal Consiglio Nazionale segretario del partito, col compito non facile di salvare la DC e condurla fuori dalla crisi.

Mi capitò di dire che ero stato eletto quasi per disperazione. Ed era una constatazione fondata. Per la mia storia, per il mio modo di essere nel partito, per quello che ero, sicuramente non rappresentavo la continuità di una fisionomia democristiana. Ero certamente una scelta eccezionale in un momento eccezionale. Non credo di essere stato chiamato lì per dispetto, ma credo di avere a mia volta (…) rappresentato il segno di una tragedia che stava incombendo3.

Alle prese con un partito in grande difficoltà e sempre più diviso sulle posizioni da prendere, Martinazzoli sceglie la via dello scioglimento della Democrazia Cristiana, considerando esaurita, nella nuova stagione politica, la forza trainante del partito di Alcide De Gasperi. Nel 1993 lancia la proposta di costituire, sulle ceneri della DC e in continuità ideale con essa, ma in discontinuità di classe dirigente, il nuovo Partito Popolare Italiano, che nasce nel gennaio 1994 e riprende il nome del partito che fu fondato da don Luigi Sturzo. «La ragione del cambiamento della sigla del partito fu questa: dar conto, rendere visibile la necessità di tornare, per qualche misura, alle origini»4.

Alle elezioni politiche del 1994 Martinazzoli s'impegna nella costruzione di un polo autonomo di centro, dove confluiscono anche i repubblicani di Giorgio La Malfa, i liberali di Valerio Zanone e un gruppo di socialisti guidati da Giuliano Amato. Trova un alleato in Mario Segni, col quale fonda la coalizione del “Patto per l'Italia”, che si presenta in tutti i collegi di Camera e Senato contro i candidati della sinistra e della destra. Martinazzoli non si candida alle elezioni e chiede a molti notabili democristiani di fare lo stesso, per favorire il rinnovamento della cultura democratico-cristiana nel nuovo Partito Popolare. «Mi sembrava chiaro che, per chiedere ad altri il sacrificio, dovevo farlo io per primo»5. I risultati delle elezioni sono tuttavia deludenti: il “Patto per l'Italia” ottiene pochissimi collegi maggioritari e le liste del PPI nella parte proporzionale raccolgono un modesto 11%, un terzo dei voti della vecchia DC. I seggi ottenuti non consentono nemmeno di essere ago della bilancia in Parlamento, dove si afferma l'alleanza di centrodestra guidata da Berlusconi. Dopo le elezioni Martinazzoli si dimette, via fax, da segretario e annuncia l'intenzione di abbandonare la politica attiva.

Mi hanno rimproverato di aver dato le dimissioni con un fax. In verità mandai un fax e scrissi un articolo di fondo per il giornale del mio partito, “Il Popolo”. Spiegavo che non me ne andavo per dispetto, ma per amore del mio partito. E comunque promisi che la prossima volta avrei dato le dimissioni con una mail. Peraltro immaginavano che questo distacco potesse significare, da parte mia, un’abiura delle scelte che avevamo fatto. Tutt’altro. Non avevo dubbi sulla circostanza che, malgrado tutto, un grumo di fedeltà era rimasto. Certo, accentuavo anch’io la valutazione drammatica del risultato. Valutazione che più avanti avrei stemperato visto che oggi, guardando le cifre attuali, un partito del sedici per cento sarebbe stato un signor partito6.

Nell'autunno successivo (1994), tuttavia, pressato dalle richieste di molti e preoccupato della nuova alleanza di centrodestra al potere, accetta di candidarsi a sindaco di Brescia in una coalizione di centrosinistra (col sostegno del PPI e del PDS), prefigurando quell'alleanza che, col nome di Ulivo, qualche mese dopo Romano Prodi estenderà a tutta l'Italia. Vinto il ballottaggio con il leghista Vito Gnutti, rimane sindaco fino al novembre del 1998, quando decide di non ripresentare la propria candidatura.

Nel 2000 accetta di candidarsi alla presidenza della regione Lombardia in una sfida difficile contro il presidente uscente Roberto Formigoni, sostenuto anche dalla Lega. Il risultato è deludente: sostenuto da tutto il centrosinistra, ottiene solo il 32% dei consensi. S'impegna comunque come consigliere regionale fino alla scadenza naturale del mandato (2005) nel gruppo "Centro-sinistra, PPI, la Margherita". Scriverà Martinazzoli:

L’ultima campagna elettorale nella quale mi impegnai fu quella per le regionali del 2000. Una cosa che ricordo molto malvolentieri, perché quella, devo ammetterlo, è stata una corsa contro la morte. È stato un errore dovuto alla circostanza che non volevo mancare a una parola data. E poi quel tanto di amore per le sfide impossibili, che si annida dietro la mia mitezza, mi consiglia ogni tanto di fare pazzie. Ma è stata una morte annunciata. Ma continuo a ritenere che forse, un giorno o l’altro, anche quella cosa sarà riguardata con più comprensione. Continuo a pensare che un giorno o l’altro accadrà che i lombardi torneranno a raccattare il loro senno andato sulla luna e cominceranno a pensare che quello che gli tocca di fare, per garantire la loro qualità della vita, non è di pretendere di essere altro dall’Italia, ma invece di essere all’avanguardia dei doveri degli italiani7.

In occasione delle elezioni politiche del 2001 garantisce il suo sostegno alle liste della Margherita, ma nel 2002 non condivide lo scioglimento del Partito Popolare Italiano e la sua confluenza nella lista rutelliana.

Nel 2004 si schiera a fianco di Clemente Mastella ed è nominato presidente di "Alleanza Popolare-UDEUR", sempre con l'obiettivo di mantener viva una presenza autonoma del cristianesimo sociale e democratico nella politica italiana. Successivamente si dimette dall'incarico, preferendo una posizione più lontana dai riflettori, ma sempre attenta a stimolare il dibattito politico e culturale.

Quale identità attribuire alla figura di Mino Martinazzoli?

Certamente quella caratterizzata «dall’intelligenza degli avvenimenti, dal carisma della parola, dallo stigma dell’inquietudine…, da un’attitudine tutta riflessiva all’ascolto, da una mai appagata curiosità intellettuale, da una congenita riservatezza, da un’istintuale ritrosia a torto spesso vista come alterigia o supponenza aristocratica…, dalla pratica del dubbio metodico imposto dalla ragion critica, dalla libertà nella ricerca intellettuale e dalla dirittura nella vita morale»8.

Da qui l’immagine falsa e fuorviante di un Martinazzoli crepuscolare, l’italo Amleto, la Cassandra bresciana, o ancora, come scrisse “Il Giornale nuovo”, «uno degli uomini più oscuri del secolo»9.

Un appassionato lettore di Mazzolari

Mino Martinazzoli è stato un grande estimatore e un appassionato lettore di don Primo Mazzolari. Numerosi sono stati gli incontri pubblici in cui ha parlato della figura del parroco di Bozzolo.

Di Mino Martinazzoli è disponibile innanzitutto l’intervento che tenne a Bozzolo il 9 aprile 1999 in occasione del quarantesimo della morte di don Mazzolari10. Ha curato inoltre la prefazione all’audiolibro Il cielo capovolto realizzato su testi di Primo Mazzolari11. È poi intervenuto presentando la figura di don Mazzolari anche in uno degli incontri del ciclo “Obbedienti ma liberi” nell’ambito de I pomeriggi in San Barnaba (settembre-ottobre 2007), organizzati dal Comune di Brescia. Il primo appuntamento di tale iniziativa ha visto, il 25 settembre 2007, una relazione di Mino Martinazzoli proprio sul parroco di Bozzolo. Purtroppo non sono stati pubblicati gli atti di tali incontri, durante i quali sono state presentate anche le figure di padre Ernesto Balducci, di don Lorenzo Milani e di padre Camillo De Piaz12.

Numerose altre sono state le occasioni pubbliche in cui Martinazzoli è intervenuto ad illustrare la figura di don Mazzolari. Ne citiamo solo due: nel gennaio 2010 presso le Acli provinciali di Brescia e nello stesso periodo a Vicenza, invitato dal prof. Pavan13.

Ha scritto Martinazzoli, riferendosi a don Primo:

Appartengo ad una generazione di cattolici che hanno avvertito, sia pure da lontano, il fascino della predicazione e dell’azione che veniva da questa grande anima inquieta14.

Molti riferimenti culturali comuni

Martinazzoli e Mazzolari provengono entrambi dalla Bassa, da una terra di gente laboriosa e paziente, riservata e sobria: da Orzinuovi il primo, dalla Bassa cremonese e mantovana e dalla Bassa bresciana (Verolanuova) il secondo.

Scrive Martinazzoli in riferimento alla propria terra:

Sarei tentato di definire questa cifra lombarda come una sobrietà dell’intelligenza. Non un’angustia, non un rifiutarsi alla passione e alla fantasia, ma la compiutezza, difficile e placata, di una conoscenza intera, di un’ostinata esperienza. Delle cose, degli uomini, dell’eccezione, della regola, della fatica e della festa, della lunghezza e della misura15.

E don Mazzolari a sua volta ricorda:

Siamo nati sul Po: abbiamo la casa a pochi metri da esso, allo stesso livello. Se l’argine non ci dividesse, potremmo dire che dormiamo nello stesso letto. Il Po fu il primo nostro orizzonte, il primo nostro sogno, il primo nostro acre desiderio: quello di tuffarci, durante le giornate senz’aria, nelle sue acque, così fresche e trasparenti sullo sfondo argenteo delle sabbie. Fu anche la prima nostra paura, quando, nei giorni di piena, lo guardavamo dall’argine che pareva diventato fragile come una diga qualunque, le dighe che costruiscono i fanciulli quando giocano con l’acqua piovana. Tutti noi rivieraschi vogliamo bene al nostro fiume. Ci è familiare come la casa, come il brolo, come la Chiesa, come il campanile, come le cose che sono nate accanto a noi e che hanno occupato i primi spazi della nostra immaginazione e del nostro cuore. Un ondeggiare di boschi lontani, un incupire di salici, una striscia bassa e degradante di sabbia, un corso d’acqua qualunque, trascorrente placido o impetuoso, chiaro o fangoso, basta a darci, se siamo lontani da Cicognara, il sussulto delle cose care che si avvicinano: è un po’ di casa che ci viene incontro, poiché la nostra casa è un poco il nostro fiume16.

Nel 1925 don Primo inizia a frequentare a Brescia l’Oratorio della Pace guidato dai sacerdoti della Congregazione dei Padri Filippini (da San Filippo Neri)17: da tale anno in poi numerose volte verrà chiamato a predicare sia alla Pace che a Villa San Filippo, entrando così in contatto in particolare con padre Giulio Bevilacqua18, padre Carlo Manziana, padre Paolo Caresana e padre Giuseppe Acchiappati19. Nel novembre 1926 proprio l’Oratorio della Pace di Brescia viene preso di mira dai fascisti, che vi irrompono e tentano di aggredire padre Giulio Bevilacqua. Don Mazzolari viene a sapere tutto ciò da una lettera di padre Acchiappati20. Don Primo ha una grande stima e considerazione per padre Bevilacqua. In una lettera ad un amico lo definisce «un’anima straordinaria»21. Nel 1928 padre Bevilacqua è costretto dalle pressioni della questura bresciana e dei fascisti a lasciare Brescia e l’Oratorio della Pace per riparare a Roma, dove alloggerà nella casa di via Aurelia 106 dove sono ospitati gli assistenti di Azione cattolica, tra i quali vi è anche Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Nel 1934 anche padre Paolo Caresana lascia l’Oratorio della Pace di Brescia, chiamato a Roma per assumere l’incarico di parroco a Santa Maria in Vallicella (detta la Chiesa Nuova). Padre Caresana aveva appoggiato padre Bevilacqua e pertanto era considerato a Brescia un oppositore del fascismo. Per evitare dunque ulteriori attriti e problemi con le autorità bresciane, gli era stato assegnato il nuovo incarico a Roma22.

Nell’ambiente della Pace cresce anche Giovanni Battista Montini23. Dalla frequentazione dei Padri della Pace don Mazzolari deriva l’amore per il cattolicesimo francese, che allora era vivace e sugli avamposti, l’amore per Maritain, Bernanos, Bloy, Claudel, Mounier.

Martinazzoli non frequenta direttamente l’ambiente della Pace, ma l’opera e gli scritti dei Padri della Pace sono stati per lui sempre un riferimento importante, al pari della letteratura cattolica del personalismo francese. Spesso nei propri interventi l’ex sindaco di Brescia ricordava una famosa frase di padre Giulio Bevilacqua: «Le idee non valgono per quello che rendono, ma per quello che costano»24.

L’attenzione di Martinazzoli è indirizzata a tanti personaggi cari anche a don Primo Mazzolari: Giorgio La Pira e gli altri componenti del “Circolo del Porcellino”25, come Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti e Laura Bianchini26.

L’ascolto di Martinazzoli si rivolgeva anche agli scritti di padre Balducci e di padre David Maria Turoldo, cari amici di don Primo.

L’humus culturale di Martinazzoli e Mazzolari ha dunque molti punti in comune.

Va anche ricordato che il primo editore di don Mazzolari è stato il bresciano Vittorio Gatti. E anche qui c’è un’interessante notazione di Martinazzoli, il quale durante una conferenza ha raccontato:

Debbo confessare che l’accettare questo invito a parlare di don Primo Mazzolari, per me contiene anche una punta di temerarietà, per la ragione che stiamo cercando di delineare una figura di singolare complessità, una figura per altro che ha lasciato nella nostra provincia echi e risonanze, riverberi di sentimenti di amicizia, dentro questa terra e questa diocesi bresciana che gli furono ben più amiche e ospitali che non la sua curia cremonese.

Qui abitava e viveva il primo editore di don Primo Mazzolari, Vittorio Gatti. Poiché la fantasia della realtà è in ogni modo limitata e molto spesso capitò a don Primo di imbattersi in realtà ostili e complicate, mi permetto di ricordare, a proposito proprio di Vittorio Gatti, che mi capitò negli anni Sessanta di difenderlo in un processo davanti al Tribunale di Brescia, insieme ad altri librai, per il reato di diffusione di pubblicazioni oscene. Mi ricordo che pronunciai l’arringa, lo dico pomposamente, più breve della mia esperienza di avvocato, perché mi alzai e chiesi ai giudici se davvero immaginavano di condannare per questo reato l’editore di don Primo Mazzolari27.

Un altro punto di riferimento comune a Mazzolari e a Martinazzoli è stato poi Stefano Bazoli: figlio di Luigi Bazoli, uno dei maggiori esponenti del mondo cattolico bresciano tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, Stefano Bazoli nel 1946 è eletto alla Costituente e successivamente rieletto come parlamentare nel 1948.

Il primo incontro fra il parroco di Bozzolo e Stefano Bazoli avviene a seguito della lettura del libro La più bella avventura e probabilmente si verifica nella libreria di Vittorio Gatti in piazza del Duomo, a Brescia, un naturale luogo di incontro per gli antifascisti e gli intellettuali bresciani.

Il rapporto fra don Mazzolari e Bazoli si sviluppa in diversi incontri a Brescia, soprattutto in casa Tosana, e a Bozzolo, oltre che in un ricco carteggio28, dal quale emergono i problemi e le difficoltà che don Primo incontra con le sue iniziative. Il confronto fra Mazzolari e Bazoli verte anche sulle problematiche politiche del tempo e sulla necessità di avviare quella che il parroco di Bozzolo chiama una “rivoluzione cristiana”29.

Nel marzo 1952 Stefano Bazoli favorisce un incontro a Roma fra Primo Mazzolari e Concetto Marchesi, esponente di punta del Partito Comunista Italiano. Per non dare adito a polemiche, l’incontro di Mazzolari con Marchesi avviene in gran segreto. Il colloquio dura tutto il pomeriggio e per volere sia di Mazzolari che di Marchesi è presente solamente Bazoli. Pur nella diversità delle posizioni, i due si trovano uniti nell’ideale della difesa della povera gente, nell’amore per la verità e per la giustizia. Stefano Bazoli ricorderà: «Questo fu uno degli incontri più commoventi e più edificanti che io abbia avuto nella mia lunga vita»30.

Un’ulteriore testimonianza dell’amicizia intercorsa fra Stefano Bazoli e don Primo ci viene dal commosso ricordo di Luigi Bazoli, figlio di Stefano, riguardante la partecipazione sua e del padre al funerale di don Mazzolari:

«Sono stato diretto testimone dell’ultimo saluto a don Primo, allorché accompagnai papà a Bozzolo per i funerali. Ricordo il turbamento e l’emozione, entrando nella chiesa parrocchiale gremita di gente; qualcuno stava predicando e a poco a poco ci rendemmo conto che quella voce, che sembrava conosciuta, era la sua voce, la voce di don Primo, con il suo timbro inconfondibile, le sue pause, il suo calore, la sua tenerezza, la sua stanchezza… Era, apprendemmo poi, la registrazione di una sua predica della settimana santa, di pochi giorni prima. Un’emozione profonda invase anche noi, come tutta la gente raccolta in silenzio in chiesa, nell’udire e ascoltare la sua voce mentre ne vedevamo il feretro deposto in terra davanti all’altare. E la commozione divenne irrefrenabile quando fu letto il suo testamento: vedevo le lacrime di tutti, nei banchi accanto a noi, di fronte alla testimonianza ultima dell’amore e della povertà di don Primo. Tra questi due punti ci sono stati i lunghi anni della profonda trepida amicizia tra papà e don Mazzolari. Ad alcuni incontri anch’io fui presente: da quelli nella cordiale accogliente casa Tosana, ad alcune visite a Bozzolo, nello studio di don Primo, attorno alla sua scrivania, incredibilmente riempita di pile di carta e di libri»31.

Claudia Tosana, ricordando gli incontri di don Mazzolari presso la propria abitazione, ha scritto che «è impossibile pensare a quegli incontri senza ricordare Stefano Bazoli, tanto egli era parte viva e illuminante di quelle serate. I lunghi silenzi che precedevano il suo parlare lento e meditato, non erano vuoti, ma anzi pieni di quella tensione interiore di cui ci faceva dono, intervenendo con un’eccezionale acutezza di intuizioni che vorrei dire “profetica”»32.

Mino Martinazzoli, a sua volta, ha ricordato come Stefano Bazoli sia stato anche per lui un importante punto di riferimento.

Un mattino del 1946, durante la campagna elettorale per la Costituente, mi era capitato di assistere a un comizio di Stefano Bazoli, una delle personalità più illustri del mondo bresciano. Le sue parole erano pacate e impegnative, forse deludenti per ascoltatori inclini al comizio come spettacolo. Tendevano alla complessità e non alla semplificazione. Mi avevano colpito. Lo conobbi anni dopo, quando già la sua esperienza parlamentare si era bruscamente interrotta. Nel 1953 Bazoli non era stato ricandidato dall’organizzazione locale del partito. Lui non aveva fatto polemica, aveva semplicemente ripreso a fare l’avvocato. Immagino che quella conclusione, e la dura trama che l’hanno determinata, abbiano segnato di qualche amarezza il suo distacco dalla politica attiva. Ma non mi è mai capitato di sentire da lui un’allusione, l’eco di un risentimento. Lo incontrai dopo il 1953. Mio fratello maggiore, come me avvocato, faceva pratica nello studio che Bazoli aveva fondato insieme con Lodovico Montini, quest’ultimo fratello di Paolo VI, sottosegretario di De Gasperi e parlamentare fino al 1968. Tramite lui, dunque, conobbi Bazoli e altri giovani della nuova leva democristiana di Brescia. Persone che già partecipavano con interesse alla battaglia politica. Erano frequentazioni rare, fatte di pochi colloqui e tanti indizi, di segnali nitidi33.

E in merito al rapporto fra Stefano Bazoli, Concetto Marchesi e Primo Mazzolari, l’ex sindaco di Brescia ha scritto:

Stefano Bazoli, così umanamente ricco, così aperto verso gli altri, così naturalmente gentile, fu, dunque, un tramite generoso e plausibile. A Roma, negli anni della Costituente e della prima legislatura repubblicana, era maturata l’amicizia con un grande erede della tradizione popolare come Piccioni, uomo singolare e complesso. Ma, fuori dal campo, con Piero Calamandrei, Concetto Marchesi, Targetti, Nenni, Terracini. A Brescia, era costante e intenso il legame con la parrocchia di Bozzolo, non rifugio, ma radice per la parola di don Primo Mazzolari. E, in Brescia, la viva consistenza di una storia che aveva trovato in Giorgio Montini e in Luigi Bazoli la sua più alta scrittura civile. A questo crocicchio si situava la sensibilità, la capacità di animazione di Stefano Bazoli. Si carica, allora, di suggestione l’incontro da lui propiziato e mediato tra don Mazzolari e Concetto Marchesi. Suppongo, non un confronto politico, ma un incontro di uomini, fuori di ogni equivoco. Il messaggio di Mazzolari non fu in alcun modo riconducibile entro schemi di tipo ideologico, non ebbe immediati riferimenti politici. La sua predicazione era, prima di tutto, la sua scelta di vita, non riproducibile, perciò, secondo il modulo di adesioni intellettuali. Stare dalla parte dei poveri e degli oppressi, di chi è comunque vittima, era un comandamento che leggeva nel Vangelo, un comandamento che non viene a patti con la storia, ma drammaticamente la attraversa. Dall’altra parte, l’irrisolta contraddizione di un affascinante umanista che tuttavia coniugava il suo impegno politico su un paradigma forse più stalinista che marxista. Ma Concetto Marchesi aveva pure dettato, in memoria dei suoi studenti padovani caduti nella Resistenza, l’epigrafe: Hic vivant, hic virent. Non è arbitrario pensare che il colloquio di Mazzolari, di Marchesi e di Bazoli si collocasse qui, all’incrocio di una speranza e di una fede, dove è il culmine e insieme il dovere del cristiano, quello aleggiato da papa Giovanni XXIII nella esortazione a “parlare con gli uomini, non accusarli”34.

Primo Mazzolari, un profeta

Mino Martinazzoli ha individuato nella profezia la cifra per definire la personalità di don Mazzolari.

L’ex sindaco di Brescia scrive infatti che il parroco di Bozzolo fu «un profeta, un profeta moderno, implicato nella storia: come sempre, del resto, avviene per i profeti, che stanno dentro la storia del proprio tempo, con lo sguardo proiettato nell’oltre, non come l’utopista che è fuori della storia – vuole starne fuori! – e che dunque non “guarda” oltre”, ma “sta” oltre…, ma è proprio la parola profetica che fa luce sulla trama tragica della storia umana, in tempi che rischiano di essere ciechi di futuro e che appaiono abitati, secondo una densa espressione di Sergio Quinzio, “dalla paralizzante certezza della radicale opinabilità al tutto”, che non lascia spazio se non all’indifferenza e a un vano e doloroso agitarsi per riempire il vuoto»35.

E ancora Martinazzoli aggiunge:

Non è agevole cogliere la cifra essenziale, lo “stigma” di Mazzolari, se non per approssimazione: non è agevole leggerlo in una dimensione piuttosto che in un’altra, nella sua dimensione sacerdotale e nella sua dimensione civile e politica. Si potrebbe applicare alla sua vita un’espressione di Cristina Campo, una finissima scrittrice che ha frequentato a lungo le grandi storie del misticismo, là dove parla di «uomini rari cui appartiene la consapevolezza di un destino» e che pertanto, come eccezioni, risultano “imperdonabili”: imperdonabili perché pesa su di loro il rischio di una eccedenza insopportabile nell’attrito con ciò che è ossidato della regola della quotidianità, della normalità36.

Primo Mazzolari sacerdote

A Bozzolo, sulla tomba di don Primo, posta ora nella chiesa di San Pietro, è scritto solamente “Primo Mazzolari, sacerdote”. Don Mazzolari è stato questo, innanzitutto, e la sua vita sacerdotale si è svolta sostanzialmente nell’ombra, senza onorificenze né riconoscimenti, in un isolamento rotto solamente dai frequenti viaggi pastorali e dalle visite degli amici più cari, oltre che dalla passione per la scrittura che sempre lo accompagnò e che fu alla base delle sue fortune ma anche delle sue disavventure.

Primo aspetto centrale nel profilo sacerdotale di Mazzolari è la convinzione, fermissima e incrollabile, che nessuno è escluso, ma che di tutti e di ciascuno Dio è Padre amorevole. È il tema dei lontani, trattato ne La più bella avventura, dove commenta la parabola del Figliol Prodigo, e in numerosi articoli pubblicati nel 1935 sulla rivista bresciana “Scuola e Clero”37, oltre che sul quindicinale “Adesso”, fondato nel 1949 dal parroco di Bozzolo.

Don Mazzolari era animato da un’ansia pastorale incessante: la Chiesa doveva essere missionaria. I lontani erano al centro della sua attenzione: il Vangelo doveva giungere fino a loro.

Secondo tratto della figura sacerdotale di don Primo è la sua convinzione circa un ruolo più attivo, autonomo e responsabile dei laici. Don Mazzolari ha mosso critiche molto severe sul ruolo che allora il laicato rivestiva nella Chiesa, in quanto lo vedeva clericalizzato, a servizio dei preti e non efficacemente intento a proporre con coraggio il Vangelo. I laici per don Mazzolari devono invece rappresentare il naturale raccordo, una sorta di ponte, tra la Chiesa e il mondo moderno, devono operare con intelligenza, coraggio e autonomia dentro e fuori la comunità cristiana, devono fare da fermento nel mondo, assumendosi con coraggio le responsabilità delle proprie scelte. La valorizzazione del laicato è il tema principale della Lettera sulla parrocchia del 1937.

Terzo aspetto centrale nel profilo sacerdotale di don Mazzolari è l’esperienza della misericordia divina e tra le pagine più significative a questo riguardo vi è la famosa predica del giovedì santo su Nostro fratello Giuda.

Quarto aspetto di Mazzolari sacerdote è la coniugazione di Vangelo e Storia. Quello di Mazzolari è stato un cammino di formazione della coscienza morale lungo e faticoso, a volte anche accidentato, ma sempre accompagnato da una conversione continua, da una sempre nuova capacità di discernimento, secondo un duplice costante riferimento: il Vangelo e la storia. Un Vangelo sganciato dalla storia degli uomini per don Mazzolari sfocia in semplice intellettualismo, in formule sterili e disincarnate. Se analizziamo gli scritti di don Primo, constatiamo che sono costruiti riferendosi fondamentalmente ai Vangeli, pochissimo alle lettere di Paolo e ancor meno all’Antico Testamento. Questa centralità di Gesù Cristo e del Vangelo ispira tutta l’azione di Mazzolari e mette decisamente in secondo piano le altre grandi figure della tradizione cristiana. In questo cammino di formazione della coscienza morale, anche don Primo, come tutti, ha commesso degli errori, ma ha sempre saputo riconoscerli e andare oltre.

Era dunque Gesù Cristo il segreto di don Mazzolari, il segno distintivo della sua vita appassionata, entusiasta, mai rassegnata, tribolata, ma insieme felice. L’amore per Cristo crocifisso e risorto, come anima della Chiesa e speranza del mondo, ha guidato l’opera del parroco di Bozzolo.

Martinazzoli ha percepito molto bene questa centralità dell’essere prete di don Mazzolari. Scrive infatti:

Tutto Mazzolari – la sua intelligenza, il suo cuore, la sua fede, la sua esperienza, la sua cultura – è assunto e attualizzato entro questa integrale dimensione sacerdotale. E a conferma di ciò, vorrei proporre una brevissima citazione che ha senso per il fatto che ogni impegno biografico cela un poco, nel fondo, anche un’attitudine autobiografica. In una nota pubblicata su Adesso nel 1951, dal titolo “Saluto a don Sturzo”, scriveva Mazzolari: «L’ho incontrato una sola volta nella mia vita e, più che ascoltato, l’ho guardato: le cose che diceva avrebbe potuto dirle anche un altro, ma il volto aveva una così viva chiarezza sacerdotale che imponeva una sacralità a ogni sua parola. Mi sembrava che il sacerdote fosse più grande del politico e del filosofo, due dimensioni che pure hanno in lui una misura fuori del comune. Dopo Rosmini, Bonomelli e Pio XI, don Sturzo è forse il sacerdote che meglio e più validamente operò per ricongiungere religione e patria, per restituire l’Italia agli italiani e gli italiani a Cristo, tenendo una strada che a molti sembra ancora oggi la meno adatta: ma per chi ha le mani, la mente e il cuore puri, non c’è niente di impuro, nemmeno la politica»38.

Mazzolari, un uomo libero di fronte al potere politico

Don Primo Mazzolari è stato un uomo libero innanzitutto nei confronti del potere politico, in particolare del fascismo, al quale non si è mai piegato e che da subito catalogò come una ideologia incompatibile con il messaggio cristiano. Già nell’ottobre 1922 i fascisti di Viadana inviarono a Mazzolari una lettera di minacce. Con il fascismo non è mai sceso a compromessi: fatto oggetto di un attentato, di numerose denunce, di svariati interrogatori, sempre don Mazzolari è stato fermo e irriducibile. Un uomo libero. Ha contestato il Concordato in quanto per lui rappresentava un laccio per la Chiesa e una patente di legittimità per lo Stato fascista. Ha avuto parole dure per la cultura italiana che nel 1931, senza battere ciglia, si piegò al fascismo. Con lo sviluppo della Resistenza, divenne il punto di riferimento per i tanti giovani della sua zona che si schierarono contro il fascismo. E per lui la Resistenza era soprattutto di tipo morale.

Mazzolari nei confronti del potere politico ha dunque seguito quello che diceva il vescovo di Brescia mons. Giacinto Gaggia, colui che nel 1912 l’aveva ordinato sacerdote a Verolanuova, ossia che davanti all’autorità non si deve stare né in ginocchio né seduti, ma in piedi.

Martinazzoli ha osservato, anche a questo riguardo, che don Primo non credeva alla libertà dei pochi, ma alla libertà dei molti, non a una libertà solitaria ed egoista, ma a una libertà ricca di proiezioni solidali.

Scrive l’ex sindaco di Brescia:

Non era quella di Mazzolari una “religione di libertà”, ma la certezza della radice religiosa della libertà, di quella che Mario Tronti ha chiamato recentemente “la oltre umana libertà cristiana”. Questo amore della libertà lo portò a non avere dubbi quando “illuminate” menti liberali, invece, ne ebbero nell’intuire la radice barbarica del fascismo.

Il fascismo, di cui Mazzolari seppe cogliere fin dagli esordi i rischi incombenti, rappresentò per il parroco di Bozzolo l’occasione di una più acuta percezione del valore della libertà. In una lettera del 1922 a don Guido Astori esprimeva con estrema chiarezza le sue preoccupazioni: «Noi cristiani siamo stati sconfitti. Il paganesimo ritorna, ci fa la carezza e pochi ne sentono la vergogna». Sono parole forti, che trovano un’eco in quelle che, nella stessa stagione e con la stessa intuizione, pronunziava padre Giulio Bevilacqua, padre filippino dell’oratorio della Pace di Brescia, allorché, di fronte alla distruzione della tipografia del giornale cattolico “Il cittadino” di Brescia, fondato da Giorgio Montini, e all’irruzione fascista nei locali dell’Oratorio della Pace proprio per cercare padre Bevilacqua, scriveva ai suoi aggressori: «Sono più solo di quanto crediate, ma non per questo vi temo. Io so che le idee valgono per quello che costano, non per quello che rendono»39.

Mazzolari come Bevilacqua, Gobetti e altri, identificò immediatamente la natura del regime. E non era facile in quegli anni. Fu un resistente della prima ora, non dell’ultima ora40.

Mazzolari, obbediente ma libero anche nei confronti della Chiesa

Un uomo libero, obbediente, ma libero anche nei confronti della Chiesa: questo fu don Mazzolari. La prima condanna del Sant’Uffizio risale al febbraio 1935 per il libro La più bella avventura, l’ultima al 1960, quando Mazzolari è ormai morto, ancora per il libro La più bella avventura, che alcuni suoi amici volevano ripubblicare.

Osserva Martinazzoli:

La sua era la capacità di stare sull’argine, non per costruire una difesa, ma per attraversarlo: uno sguardo del cristianesimo oltre la frontiera. Un cristiano fino in fondo, ma senza sacrificare la libertà di coscienza, senza tacere sulle cose che non condivideva, per il quale vale più l’affermazione “in veritate libertas”. Ma anche e soprattutto il suo ribaltamento: “In libertate veritas”41.

In politica per le ragioni del Vangelo

La politica, scrive Mazzolari a un giovane nel 1943, è una nobilissima attività umana che fa parte del mestiere dell’uomo, del suo dovere di giustizia e di carità verso il prossimo. Non si può lasciare il campo della politica, che è poi l’ordinamento dell’uomo per il bene comune, all’arbitrio incontrastato degli avventurieri di ogni risma.

Scriveva Mazzolari ai deputati e ai senatori eletti nelle file della Democrazia Cristiana nel 1948:

Gli uomini che veramente valgono non rifiutano la responsabilità, come non la rifiutano gli uomini veramente umili. Nel bisogno, anche il profeta si offre: «Eccomi, Signore, manda me!».

Vi sorregga il cuore la voce del povero “che ha sempre ragione”; non vi seduca la voce della popolarità a qualunque costo. A qualunque costo c’è soltanto il proprio dovere.

Chi ha ricevuto molto, deve dare molto. Guai ai rigattieri dello spirito! La povertà non vi deve impedire di essere grandi.

Siate grandi, come la povertà che rappresentate42.

Martinazzoli ha visto in una tale concezione della politica, intesa come essenziale dimensione umana della quale ci si deve far carico non per le ragioni della politica ma per le ragioni del Vangelo, la cifra interpretativa della riflessione di don Mazzolari sul comunismo. Ricordando uno scritto mazzolariano del 1937, in cui il parroco di Bozzolo sosteneva che ci siamo dimenticati, come cattolici, della verità che il comunismo ci ha portato via, Martinazzoli scrive:

Questa tesi della “verità del comunismo” era in consonanza con gli autori francesi che Mazzolari largamente frequentava e che davano un’interpretazione del comunismo come di una “eresia” del cristianesimo, come una reazione alle insufficienze dei cristiani nei confronti del problema della giustizia sociale43.

E Martinazzoli amava spesso citare altre frasi di don Primo:

Non a destra, non a sinistra, non al centro, ma in alto.

Non capisco perché un cristiano abbia bisogno di andare a prestito di rivoluzione. Voi parlate di rivoluzione collettiva, io propongo, con il Vangelo in mano, la rivoluzione personale.

La forza della nostra rivoluzione non è nella negazione e nell’antitesi, ma in un di più44.

Le categorie di Martinazzoli in politica sono state quelle della regola, della mitezza, dell’ordine, del limite. Significative queste sue parole:

La politica riconquisterà la sua persuasione e la sua necessità per una calma intelligenza degli avvenimenti, per una pacata attitudine ordinatrice, per una tempestiva sensibilità degli annunci lontani, per una sagace intuizione dei nessi e delle relazioni, per la pazienza di un’attesa, per una volitiva percezione dell’occasione e del consenso. Per noi non c’è che tentare, il resto non ci riguarda45.

Nelle ultime righe del libro scritto con Annachiara Valle, Martinazzoli ritorna sul tema del limite della politica.

Fra le cose che ho avuto la fortuna di imparare, vorrei ricordare due concetti che mi sono cari: la mitezza della politica e il limite della politica. Quello del limite è un tema particolarmente importante. Continuo a non avere dubbi che, nel tempo della illimitatezza della politica, che pure c’è stato, noi siamo stati quelli resistenti e vittoriosi contro il troppo della politica. Continuo a temere che oggi non contiamo più niente contro il niente della politica46.

E su questo tema dell’impegno politico, dopo la stagione piena di speranze seguita alla caduta del fascismo e all’impegno diretto per la Democrazia Cristiana almeno fino al 1948, don Mazzolari sviluppa il concetto di rivoluzione cristiana. E così lo legge Martinazzoli:

Questo della “rivoluzione cristiana” fu il grande luogo irrisolto della meditazione mazzolariana, ciò che lo portò alla fine a essere continuamente impaziente e insofferente del limite della politica: non il suo “limite alto”, ma il limite della ambiguità e della compromissione, che pure è una componente politica. Alla fine su questo tema della “rivoluzione cristiana” palpitò e crebbe in lui quello sgomento dell’insufficienza, questa esigenza del “di più” nell’urto appassionato con il proprio tempo, nell’esperienza drammatica della guerra: mai al di fuori o al di sopra della storia, bensì dentro la storia, in profonda fedeltà al Vangelo47.

Un grande amico di Mino Martinazzoli, un’anima inquieta come lui, per certi versi simile nel carattere e nell’approccio problematico e non urlato ai problemi, ossia Benigno Zaccagnini, nel 1976, intervenendo ad un convegno a Mantova organizzato dai giovani della Democrazia Cristiana sul tema “Primo Mazzolari: una voce di speranza e di proposta per l’impegno politico dei cattolici democratici”, ha detto:

Don Mazzolari, con la sua figura di prete povero e scomodo, con la sua testimonianza fervida e anticipatrice, suscita in questo momento particolare un’ondata di commozione profonda: perché qui soprattutto, nella sua lunga battaglia sostenuta da una fede incrollabile nel destino di dignità e di giustizia dell’uomo rigenerato dalla fede, noi ritroviamo intatte le grandi speranze che sono alle origini del nostro impegno politico.

Egli precorre il Concilio, precorre l’incontro tra cattolici e socialisti, precorre la distensione, precorre un mondo nuovo che sta nascendo faticosamente nel firmamento precario delle grandi speranze, ma che noi siamo impegnati a consolidare e difendere48.

La laicità, un altro punto di incontro tra Martinazzoli e Mazzolari

Per Martinazzoli la laicità è un perno obbligato, da qui la contrarietà ad accettare un rapporto tra fede e politica inteso come obbligo a calare meccanicamente, attraverso l’uso del potere, le persuasioni etico-religiose nella definizione normativa delle regole della convivenza civile. Scrive Martinazzoli:

L’aggettivo cattolico non è un aggettivo del politico. È più importante, è un aggettivo dell’impolitico. In politica il mondo cattolico non c’è. In politica ci sono i cattolici che scelgono di occuparsene, quelli che scelgono di non occuparsene e ci sono quelli che se ne occupano in un modo e altri in un modo diverso. E si qualificano così non perché sono cattolici49.

La laicità in politica è l’esigenza di correre da soli il nostro rischio non in una separatezza, ma in una distinzione di ruoli50.

Stabilito chiaramente il concetto di laicità e affermata senza esitazioni l’idea della responsabilità individuale nell’azione politica, Martinazzoli critica comunque anche quella ragione laica che, quando giunge all’esasperazione, pretende perfino di insegnare il catechismo ai cattolici. Annota al riguardo l’ex sindaco di Brescia:

Viene amaramente alla mente una osservazione che faceva spesso don Primo Mazzolari, quando assicurava che in questo Paese ci sono persone assai gentili che sarebbero disposte persino a regalare ai cattolici un cappello, purchè i cattolici rinunciassero ad avere una testa51.

Anche don Mazzolari ha sviluppato questo tema della responsabilità individuale, soprattutto in rapporto alla libertà di coscienza, su questioni opinabili e sulle scelte concrete, all’interno della Chiesa.

Scrive il parroco di Bozzolo nel 1941:

Lo spettacolo di gente, che convertita o non convertita, si rifugia nella Chiesa come in un porto tranquillo, rinunciando alla ricerca e al combattimento per desiderio di quiete o di ordine, o per avere qualcosa cui attraccarsi, senza chiedersi neanche se il sostegno è saldo e sicuro il porto, non è molto incoraggiante.

La Chiesa non è fatta per riposare o ricoverare, ma per offrire un motivo di combattimento, che può essere accettato con pieno onore e dignità piena.

Qualche volta accade che persino la stessa parola d’ordine per il giorno che passa debba essere strappata dalla nostra audacia, la quale, appoggiata all’esperienza millenaria della tradizione, ne tenta a proprio rischio le nuove incarnazioni nella sempre mutevole realtà52.

Bisogna riconoscere e rispettare nello studioso che lotta per lo spirito una più ampia libertà di movimento e giudicarlo non ai primi insuccessi o ai primi errori.

Questa libertà di movimento – difesa e battaglia manovrata – è tanto più necessaria quanto più limitata è la libertà lasciata all’uomo e al cittadino nella vita associata; quanto più difficile è divenuto l’intendersi anche tra i vicini, quanto più difficile ogni azione di massa53.

Il muoversi a proprio rischio non è disobbedienza: lo sbaglio non è un atto di ribellione. Il nostro errore può servire – deve servire – per rendere più umile e meritoria la nostra obbedienza, come può servire e deve servire all’esperienza della Chiesa, che si allarga e si arricchisce anche per quello che i suoi figli hanno tentato per il bene comune senza riuscirci54.

Giudizi taglienti da parte di entrambi

Non dobbiamo farci di Martinazzoli e Mazzolari una concezione irenica, buonista. Hanno dato, all’occorrenza, giudizi taglienti. Martinazzoli, ad esempio, diceva ai giornalisti che riteneva non avessero riferito correttamente un suo intervento: «Voi avete scritto quello che avete capito, non quello che ho detto io».

E, ad esempio, per essere più attuali, definiva Umberto Bossi, agli inizi della sua carriera politica, un «Paneroni della politica»55, vale a dire, per chi non conosce la vicenda di questo bresciano, un venditore di chiacchiere e di fumo, “un geografo”, ciarlatano e visionario. E della Lega diceva «che non possiamo incontrarci con la sua provocazione poiché rappresenta esattamente la presunzione della nostra sconfitta politica e la pretesa del nostro fallimento ideale»56.

L’ex sindaco di Brescia ricorda un incontro con Umberto Bossi: «Era venuto da me a cercare un’alleanza. Ma io con la Lega non andrei neanche in tram. Sono traumatizzato dalla circostanza che le parole d’ordine di quel partito oggi sembrano condivise da tutte le parti. Si svolgono messe solenni intorno al federalismo, quando invece bisognerebbe cominciare a capire cosa sono gli italiani e cosa è l’Italia»57.

E ancora: «Quando sento un autorevole esponente della Lega spiegare che allo stesso modo come hanno fatto un’alleanza di là, potevano farla di qua, allora mi dico: questa è la borsa, non è la politica, è il linguaggio del Mibtel, del chi ha comprato chi, del chi ha venduto cosa»58.

E a sua volta vediamo come anche don Mazzolari sia tagliente e impietoso. Prendiamo ad esempio una pagina in cui prende in esame il comportamento della cultura italiana, in particolare cattolica, negli anni del fascismo:

Credo che nessuno abbia mai seriamente pensato che tra la Dottrina cattolica e l’ideologia fascista si potesse stendere un accordo tanta era l’antitesi o la naturale ripugnanza dei due insegnamenti. La Chiesa infatti, come magistero, non ha mancato al suo ufficio, così come mi sembra un po’ strano che nessun giornale cattolico abbia in questi giorni richiamato l’enciclica di Pio XI “Non abbiamo bisogno” che fu e rimarrà il giudizio definitivo della coscienza cattolica sul fascismo. Forse non venne ricordata per lo stesso motivo per cui non fu scolpita nella lapide che in Vaticano ricorda le altre lettere di Pio XI, quasi non meritasse quello scritto di figurarvi, per quella prudenza che fu troppo in onore nel mondo cattolico, con evidente soperchieria nei confronti delle rimanenti virtù cardinali. E fosse stata unicamente la prudenza la regola degli scrittori e dei diaristi cattolici! La prudenza tiene l’indice della mano destra sulle labbra chiuse, mentre molti di essi hanno parlato, approvato, encomiato, applaudito al pari degli altri, e con un vocabolario che per essere un po’ meno iperbolico non era certo meno infelice, perché quando in certe brutte cose nostre ci mettiamo la Provvidenza, il rischio è enorme. Ed ora, come tant’altra gente, eccoli a dichiarare nei loro editoriali che la stampa cattolica non ha che da continuare la propria strada, fedele ai princìpi come ieri, come sempre! E ci sono lettori tanto buoni che mandano lettere in direzione, col plauso alla rettilineità e l’aggiunta di un ringraziamento caloroso perché in tal modo è stato portato a salvamento il giornale, strumento assai prezioso per le battaglie della libertà. Sono tanto buoni questi lettori da non avvedersi che, ringraziando in tal modo, mettono in serio dubbio i lettori meno buoni, i quali hanno buone ragioni di pensare che se un giornale o una rivista è riuscita a campare in questi vent’anni, qualche scappellata deve pure averla fatta, bruciato qualche granello d’incenso, perché se Dio perdona una Messa non ascoltata, i numi dell’ora non perdonavano né un omaggio né un servizio mancato. Per cui, concludendo, se verrà istituito, come mi auguro per la comune e doverosa espiazione, uno speciale distintivo per il mancato coraggio civile, da portarsi almeno per quattro mesi dopo la fine della guerra, nessun onesto italiano dovrà rifiutarsi di portarlo. E non sarà fuori posto, immagino, neanche sulla giacca o sulla talare dei redattori della stampa cattolica, neanche sulle marsine di molti Camerieri di Cappa e di Spada, neanche sulle mozzette di parecchi prelati e perfino su qualche porpora. Perché se la prudenza è una virtù cardinale, non sempre è virtuosa la maniera di essere prudenti davanti ai potenti59.

Una distanza siderale fra il tempo di Mazzolari e il nostro

Pur avendo sottolineato la capacità profetica di don Primo, non possiamo non riconoscere la distanza quasi siderale che vi è fra il suo tempo e il nostro. Osserva al riguardo ancora Martinazzoli:

In Mazzolari era vivo l’auspicio di un più alto e forte spirito comunitario, mentre oggi assistiamo al primato della tecnica, alla globalizzazione dell’economia, al sorgere dei tribalismi e di localismi intesi non come ricchezze di una memoria e di una tradizione, ma come grettezza, come chiusura, come rifiuto, come espulsione. Mazzolari credeva nella parola e oggi viviamo nell’eccesso delle parole, in un silenzio della parola. Egli aveva indicato nell’etica il fondamento della libertà, ma oggi non troviamo più il fondamento dell’etica60.

L’orizzonte potrebbe apparire sconsolante, continua Martinazzoli, ma dobbiamo guardare non tanto a ciò che chiassosamente occupa il centro della scena, ma piuttosto alla profondità; non conta ciò che è più clamoroso, ma ciò che resiste, che ha durata, perché ha verità61.

Secondo l’ex sindaco di Brescia non c’è bisogno di ribattere colpo su colpo alle invenzioni facili. Vale piuttosto un lavoro paziente, una passione operosa. E non importa se, nel clamore, non si riesce ad essere immediatamente percettibili. Non si richiedono gesti continuamente incandescenti. E anche qui, secondo Martinazzoli, il richiamo «è alla voce di don Mazzolari, alta e appena segnata da una fervida incrinatura. Parla in una chiesa della Bassa mantovana, solida e disadorna come la fede degli uomini che l’hanno edificata, custodita e abitata, di speranza e di dolore, nel volgere delle opere e delle stagioni. Una di quelle chiese “ch’erbose hanno le soglie”, o almeno le avevano. È la chiesa di Bozzolo. Predica don Mazzolari - con il cuore gonfio di amore e di obbedienza e dell’indignazione di padre Cristoforo - alla messa mattutina del quattro novembre 1955. Celebra, come tutti gli anni, il ricordo della grande guerra, quella dei suoi contadini più adulti, e la memoria di un’altra guerra, quella dei suoi contadini più giovani. Certifica la stessa sofferenza, la stessa disperazione. Dice la necessità e la provocazione della pace. E conclude: “Occorre un ritorno alla pietà. Pietà per me. Pietà per voi. Per i morti e per i vivi… Pietà per tutti”»62.

Così commenta Martinazzoli queste parole di don Primo:

Sì, pietà per tutti; o meglio una singolare, amorevole intelligenza della condizione umana, una mitezza convinta che la vita può essere ricevuta come un dono piuttosto che rivendicata come una sopraffazione; che può essere vissuta come misura per sé e per gli altri, poiché la felicità della pienezza non si giustifica né si perdona quando risulta troppo esosa. Se non ci lasciamo indurre alla tentazione di questa dolente pietà, suona falso il cordoglio per le vittime e l’orrore per i carnefici.

La “Storia della colonna infame”(si riferisce ad alcune riflessioni che scrisse in merito a questo testo di Manzoni, ndr) non è altro che l’allegoria della notte indecifrata che ci lambisce. Lo scampo è, come fece don Primo, aleggiare un chiarore, per quanto fioco. Ha ragione Testori quando invita a recuperare il senso della luce che abbiamo intuito come la più tenera metafora del nascere. Il senso di questa luce è oltre le rilevate tracce del nostro andare. Di qua, sfiorisce anche l’ultimo addio. Ma se siamo qui, possiamo dire che per lui, per don Primo, non sfiorisce l’ultimo addio, poiché il suo spirito rischiara il cammino dei viandanti come lui inquieti63.

Uno spirito inquieto è stato anche Mino Martinazzoli, una persona non certo appagata, e questa caratteristica lo accomuna a don Primo Mazzolari, in perenne ricerca di sempre nuove strade per portare il Vangelo agli uomini del suo tempo.

Il parroco di Bozzolo fu un mite, non nel senso di persona accomodante o arrendevole, ma come vuole il Vangelo, perché sapeva che si può combattere contro l’errore, ma lo si deve fare in modo tollerante, senza aver di mira la distruzione di chi la pensa diversamente. Don Primo ha cercato di coniugare la provocazione con la pietà, la presa di posizione con il confronto e il dialogo. Proprio ciò che ha cercato di fare anche Mino Martinazzoli nel corso della sua attività politica.

Anselmo Palini

Note

È questo anche il titolo di un libro scritto con Annachiara Valle ed edito da Rizzoli nel 2009. Si tratta di una sorta di biografia politica che attraversa la storia del nostro Paese.

1 Mino Martinazzoli è autore di alcuni libri, fra i quali possiamo ricordare: Pretesti per una requisitoria manzoniana, Grafo, Brescia 1985; Il limite della politica, Morcelliana, Brescia 1985; Il cielo di Austerlitz, La Quadra e Città&Dintorni, Brescia 1987; Pretesti, La Quadra, Brescia 1992; Elogio di Nicodemo, La Quadra, Brescia 2001. Importante è poi l’Introduzione di Mino Martinazzoli a: Aldo Moro, Discorsi parlamentari, due volumi, Camera dei Deputati, Roma 1996.

2 2 M. Martinazzoli, A. Valle, Uno strano democristiano, cit., p. 104.

33 Ivi, p. 152.

44 Ivi, p. 153.

55 Ivi, p. 149.

66 Ivi, p. 165.

77 Ivi, p. 172.

88 P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, in “Arel” (rivista quadrimestrale dell’Arel - Agenzia di ricerche e legislazione fondata da Nino Andreatta), 3/2011, p. 13. Una versione ridotta di questo intervento di Paolo Corsini è apparsa su “Humanitas”, 6/2011.

Paolo Corsini, parlamentare, docente di Storia Moderna all’Università di Parma, per un certo periodo è stato vicesindaco di Brescia quando Mino Martinazzoli era sindaco. È stato poi a sua volta sindaco di Brescia per due mandati, dal 1998 al 2008 e, in precedenza, dal settembre 1992 al giugno 1994.

99 Citazione riportata in M. Martinazzoli, Il cielo di Austerlitz, cit., p. 81.

1010 Tale relazione, dal titolo Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, è riportata in A. Chiodi (a cura di), Mazzolari. Nella storia della Chiesa e della società italiana del Novecento, Paoline, Milano 2003, pp. 233-246.

1111 Edito da San Paolo Multimedia in collaborazione con Caritas Italiana, questo audiolibro, oltre a quella di Martinazzoli, presenta una seconda prefazione ad opera di mons. Gianfranco Ravasi.

1212 La registrazione audio di questo intervento di Martinazzoli in San Barnaba a Brescia è depositata presso la Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo (MN).

1313 La registrazione audio-video di questo intervento di Martinazzoli a Vicenza è depositata presso la Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo (MN).

1414 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., p. 233.

1515 Citazione riportata in P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, cit., p. 14.

1616 P. Mazzolari, Diario II, nuova edizione a cura di A. Bergamaschi, Dehoniane, Bologna 1999, pp. 360-361.

I volumi del Diario finora usciti nella nuova edizione a cura di A. Bergamaschi sono i seguenti: P. Mazzolari, Diario I (1905-1915), Dehoniane, Bologna 1997; Diario II (1916-1926), Dehoniane, Bologna 1999; Diario III A (1927-1933), Dehoniane, Bologna 2000; Diario III B (1934-1937), Dehoniane, Bologna 2000; Diario IV (1938-25 aprile 1945), Dehoniane, Bologna 2006.

1717 Su questa frequentazione si veda: C. Manziana, Don Mazzolari e l’Oratorio della Pace, in “Città e Dintorni”, periodico bresciano di note e commenti, 23/1990. Si veda anche: G. Mazzolari, Mio fratello don Primo, Fondazione don Primo Mazzolari, Bozzolo (MN) 1990, p. 48.

1818 Su padre Bevilacqua si rinvia a G. Barra, Padre Bevilacqua, parroco cardinale, Gribaudi, Torino 1966; A. Fappani, Padre Giulio Bevilacqua, il cardinale-parroco, Queriniana, Brescia 1979; Il cardinale Giulio Bevilacqua, numero speciale della rivista “Humanitas”, giugno-luglio 1965; AA.VV., Giulio Bevilacqua a quarant’anni dalla morte (1965-2005), a cura di L. Ghisleri e R. Papetti, Morcelliana, Brescia 2006. Di padre Giulio Bevilacqua si veda Scritti fra le due guerre, a cura di E. Giammancheri, La Scuola, Brescia 1968.

1919 Sul rapporto fra Acchiappati e Mazzolari si rinvia a M. Gnocchi, Giuseppe Acchiappati e Primo Mazzolari: una lunga amicizia, una comune testimonianza, in “Impegno”, 2 (2003), pp. 42-43.

2020 A. Palini, Don Primo Mazzolari, Brescia e i bresciani, Opera Diocesana San Francesco di Sales, Brescia 2010, p. 17. Si vedano anche Bevilacqua contro il fascismo in F. Molinari e M. Dorini (a cura di), Brescia cattolica contro il fascismo, edizioni S. Marco, Esine (BS) 1978, pp. 91-99; F. Molinari, Padre Bevilacqua e il fascismo, in AA.VV., Momenti e aspetti della cultura cattolica nel ventennio fascista, Ce.Doc (Centro di Documentazione), Brescia 1977, pp. 29-42.

2121 P. Mazzolari, Diario IV, cit., p. 129.

2222 Sull’Oratorio della Pace durante il fascismo e fino al 1945 si vedano A. Fappani (a cura di), La resistenza dei cattolici bresciani, Il Cittadino, Brescia 1965; A. Cistellini, La “Pace” durante il fascismo, in AA.VV., Momenti e aspetti della cultura cattolica nel ventennio fascista, cit., pp. 58-65; La “Pace” nel ventennio 1923-1943 e La “Pace” nella Resistenza, in F. Molinari e M. Dorini (a cura di), Brescia cattolica contro il fascismo, cit., pp. 249-257.

2323 Sui rapporti fra il parroco di Bozzolo e il futuro Paolo VI si rimanda a A. Palini, Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari, Messaggero, Padova 2010.

2424 Dall’intervento al Senato della Repubblica il 28 maggio 1974 alla notizia della strage di Brescia, in M. Martinazzoli, A. Valle, Uno strano democristiano, cit., p. 38.

2525 Su questo particolare circolo si veda, Telemaco Portoghesi Tuzi, Grazia Tuzi, Quando si faceva la Costituzione. Storia e personaggi della Comunità del Porcellino, Il Saggiatore, Milano 2010.

2626 Sulla figura di Laura Bianchini, una delle ventuno donne elette alla Costituente, si rimanda a: Giorgio Moretti, Laura Bianchini, a cura di Elisabetta Selmi e Chiara Celiker, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia 2009.

2727 Dalla relazione di Mino Martinazzoli tenuta in S. Barnaba a Brescia il 25 settembre 2007 nell’ambito del ciclo “Obbedienti ma liberi”, cit.

2828 A. Fappani ha pubblicato nei suoi Ricordi e documenti mazzolariani, La Voce del Popolo, Brescia 1969, pp. 87-91, alcune delle lettere inviate da don Primo a Stefano Bazoli. Si veda anche La profonda e trepida amicizia tra don Primo Mazzolari e Stefano Bazoli, inserto pubblicato su “Impegno”, 2/1998, pp. 65-96.

2929 Su questi aspetti si rinvia a A. Palini, Don Primo Mazzolari, Brescia e i bresciani, cit., pp. 43-48. Si vedano anche P. Mazzolari, Scritti politici, a cura di M. Truffelli, Dehoniane, Bologna 2010; G. Campanini, Fra religione e politica, in G. Campanini, Un uomo nella Chiesa. Don Primo Mazzolari, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 73-87. Il testo di P. Mazzolari, Rivoluzione cristiana, è stato ripubblicato in edizione critica, a cura di Fulvio De Giorgi, dalle edizioni Dehoniane di Bologna nel 2011.

3030 E. Franceschini, Concetto Marchesi, Antenore, Padova 1978, p. 56.

3131 L. Bazoli, Uomini di frontiera: don Primo e Stefano Bazoli, in “Città e Dintorni”, 23/1990, pp. 52-55.

3232 In Stefano Bazoli. Ricordi e testimonianze, Centro di Documentazione (Ce.Doc), Brescia 1982, p. 84. Su questo rapporto di don Mazzolari con la famiglia Tosana, si veda A. Falsina, La povertà riposa nella carità che si fa amicizia. Epistolario P. Mazzolari-R. Tosana, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, a.a. 1998-1999, rel. F. De Giorgi.

3333 M. Martinazzoli, A. Valle, Uno strano democristiano, cit., p. 25.

3434 M. Martinazzoli, Il limite della politica, cit., p. 133.

3535 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., p. 234.

3636 Ivi, pp. 234-235,

3737 Questi articoli vengono ora riproposti nel libro, a cura di A. Palini, Primo Mazzolari, sulle strade degli uomini. Scritti e i discorsi in terra bresciana, Ave, Roma marzo 2012, prefazione di Paolo Corsini.

3838 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., pp. 235-236.

3939 Ivi, p. 238.

4040 Dalla prefazione all’audiolibro Il cielo capovolto, pubblicato nel 2010 dall’editrice San Paolo in collaborazione con Caritas italiana.

4141 Dalla prefazione all’audiolibro Il cielo capovolto, pubblicato nel 2010 dall’editrice San Paolo in collaborazione con Caritas italiana.

4242 “L’Eco di Bergamo”, giovedì 27 maggio 1948.

4343 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., p. 239.

4444 Ivi, p. 239.

4545 Citazione riportata in P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, cit., p. 16.

4646 M. Martinazzoli, A. Valle, Uno strano democristiano, cit., p. 172.

4747 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., p. 241.

4848 “La Voce del Popolo”, settimanale della diocesi di Brescia, 16 gennaio 1976.

4949 Citazione riportata in P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, cit., p. 21.

5050 M. Martinazzoli, A. Valle, Uno strano democristiano, cit., p. 156.

5151 M. Martinazzoli, Il cielo di Austerlitz, cit., p. 64.

5252 Lineamenti spirituali della nuova intelligenza cattolica, in “La Voce Cattolica”, settimanale della diocesi di Brescia, 1° novembre 1941. Il settimanale della diocesi di Brescia è “La Voce del Popolo”, che ha visto la luce l’8 luglio 1893. Nel 1926 viene chiuso dal fascismo e può riprendere ad uscire solo nel 1937 (e fino al 1945) con il nome “La Voce Cattolica”. Dopo la guerra, dal 1946 riprenderà il nome di “La Voce del Popolo”.

5353 Lineamenti spirituali della nuova intelligenza cattolica, in “La Voce Cattolica”, 8 novembre 1941.

5454 Lineamenti spirituali della nuova intelligenza cattolica, in “La Voce Cattolica”, 1° novembre 1941.

5555 Citazione riportata in P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, cit., p. 23.

5656 Citazione riportata in P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, cit., p. 23.

5757 M. Martinazzoli, A. Valle, Uno strano democristiano, cit., p. 170.

5858 Citazione riportata in P. Corsini, Mino Martinazzoli: l’intelligenza degli avvenimenti, il carisma della parola, cit., p. 23.

5959 P. Mazzolari, Diario IV, cit., pp. 577-578. Si veda anche A. Palini, Primo Mazzolari. Un uomo libero, Ave, Roma 2009, pp. 186-187.

60 60 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., p. 244.

61 61 Ivi, pp. 244-245.

62 62 Ivi, p. 245. Si veda anche M. Martinazzoli, Pretesti, cit., pp. 67-68.

63 63 M. Martinazzoli, Uno spirito che rischiara il cammino dei viandanti inquieti, cit., pp. 245-246.



Martedě 19 Giugno,2012 Ore: 17:49
 
 
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