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www.ildialogo.org TENTAZIONI DI VENEZIA,di Primo Mazzolari

TENTAZIONI DI VENEZIA

di Primo Mazzolari

Adesso anno 1 n. 10 - Modena 31 maggio 1949


Motivi di meditazione per gli amici che il 2 giugno fanno Congresso a Venezia sotto l' insegna dello scudo crociato

I

Anche i luoghi tentano: come tentano le creature, le ore del giorno, le stagioni.

Davanti a Venezia il mare si placa e si fa laguna. La laguna ricorda la «palude». I) richiamo di un'offesa avversaria fa dispiacere, ma sta scritto: « salus ex inimicis nostris». II vostro Segretario, com'e suo invidiabile costume, ha saviamente e pacatamente ammonito coloro che « desiderano o cercano che i congressi diventino per forza arena dl battaglia ».

Infatti, la serietà di un Congresso non consiste nel gridare e nell'accapigliarsi (non in commotione Dominus): pero, in un momento tanto delicato e con responsabilità che non si possono demandare ne risolvere unicamente con la «fede nel Partito e il senso della misura », chiunque non abbia ambizioni da concordare, può volere l'unita del Partito anche per strade diverse da quelle battute dopo il 18 aprile. E lo può dire a cuore spalancato: lo deve dire a cuore spalancato, perché ci si può voler bene e aver fede nel Partito senz'essere unanimi nell'alzare o nell'abbassare la destra o nell'applaudire. La critica fraterna, anche se vivace anche se violenta, non può mancare a Venezia se no, la laguna rischia davvero di farsi palude.

II.

Venezia ha un passato che ammonisce. Nonostante le sue meraviglie è la «città morta». Rialto, gli Schiavoni, il Canal Grande, la stessa Basilica, sono memorie. Il potere logora: la grandezza logora: lo splendore logora, logora il fasto: logora la comodità che fa da cornice ingannevole alla dura giornata di chi comanda.

Cinque anni di governo, in democrazia possono diventare corrosivi come una volta i secoli per la Signoria. Non lo dimentichino i pochi che credono di essere arrivati, non lo dimentichino coloro che ambiscono arrivare se veramente hanno fede nel partito e senso di misura. Quando, sia pure per necessità, un partito ha parecchie feluche e sotto feluche da distribuire e per diversi anni, quando può dare onori più che oneri, i clienti crescono come gli asparagi, ma cresce pure il pericolo che il partito divenga una memoria non bella, mentre la memoria di Venezia e sempre bella.

III.

Venezia ha un'aria conciliante e cortese, e i veneziani sono quel signori «servitor suo», che fecero la corte a non so quanti imperatori e re e principi d'Occidente, a tutti i Sultani, Gran visir e Pascià d'Oriente. Essi sapevano conciliare il Vangelo e il Corano, il fasto e l'austerità, la libertà e il despotismo. Non mi pare l'aria più raccomandabile per un partito che ha principii immutabili da difendere e urgentissime riforme da attuare, se vuol dimostrare, come ne ha preso l'impegno, che la rivoluzione cristiana e l'unica che salva anche nel campo politico e sociale.

IV.

Venezia ha un retroterra cattolico e conservatore. Il Congresso ha quindi un ottimo coro, più intonato cattolicamente che politicamente. La sua voce arriverà indubbiamente fino a voi, come una corale nei giorni di sagra. Un po' d'ottimismo non fa male, purché non smorzi vieppiù la già scarsa sensibilità politica di coloro, che senza dirlo, concepiscono il partito come una specie di confraternita o un ramo dell'Azione Cattolica. Ricordatevi che se, a destra di Venezia, c'è Padova, Vicenza, Verona, Belluno, Udine; a sinistra, c'è Chioggia, Rovigo, Ferrara, la Romagna, la Toscana, con colori e umori un po' diversi. Non parlate unicamente veneto.

V.

Pare che a Venezia il tempo non sia tempo, la gondola ha la sua ninna nanna. Si dorme volentieri a Venezia, ci si indugia sul passato, ci si può incantare sui secoli come su una giornata: il 18 aprile!

Qualcuno, in quell'aria senza tempo, potrà credere che il 18 aprile continui o si ripeta domani o fra quattro anni. La Sardegna non è bastata a insegnarci che l'orologio cammina, che certe ore non tornano sul quadrante di nessun partito, e che la libertà, se non diventa lavoro, pane e pace, i poveri (su tredici milioni di voti, dodici sono i poveri che ve li anno dati) non sanno che fame e la cedono a prezzo di rifiuto al primo rivendugliolo.

VI.

I Dogi non erano nominati a vita, ma finivano per restarci perché i gran signori veneziani erano riusciti a mettere insieme una specie di accomandita, che regolava i trapassi e le successioni. La democrazia esaurisce presto i suoi uomini, li spreme e non dovrebbe neanche ringraziarli quando li esonera; anche se hanno fatto buon lavoro. Duro regime, ma sano regime, perché il durare troppo, come l'avvicendarsi tra i medesimi così da formare la casta dei chiamati, è un gioco estremamente insidioso. Se il potere è un «calice amarissimo» (adriatico amarissimo) mi vien da pensare che molti uomini politici siano più generosi del Signore che ha dato sangue per nor berlo.

VII.

C'è S. Marco a Venezia, l'Evangelista che incomincia il racconto di Gesù dalle sue tentazioni nel deserto. Vangelo delle tentazioni, città delle tentazioni. I Veneziani, sempre intelligenti, il Vangelo l'hanno conservato e tenuto aperto; ma sopra ci tiene la zampa il leone, il quale pai che dica: « accontentati di averlo sotto mano: se lo leggi hai finito di star bene».

Per aprire e leggere il Vangelo ad ogni pagina ci vuol del coraggio. Se il leone di S. Marco vi fa paura, se preferite tenerlo aperto dov'è e di adoperarlo piuttosto come insegna che come Parola di vita su cui impegnare « usque ad sanguinem», il « pax tibi» non ci sarà ne per Voi ne per il Paese, che attende dalla Democrazia cristiana la rivoluzione cristiana.

PRIMO MAZZOLARI



Domenica 18 Dicembre,2011 Ore: 16:25
 
 
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