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www.ildialogo.org QUESTO OTTO MARZO,di ANNA BRAVO

QUESTO OTTO MARZO

di ANNA BRAVO

[Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo@iol.it) per questo intervento.
Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Luminosa figura della nonviolenza in cammino, della forza della verita'. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia,  Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003; A colpi di cuore, Laterza, Roma-Bari 2008. Si veda anche l'intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 353]

Arriviamo all'8 marzo forti del grande successo del 13 febbraio, e soprattutto dell'esperienza di cambiamento e di crescita che abbiamo fatto in questi  decenni. Ma sappiamo che la strada e' lunga e che la violenza antifemminile cresce.

Ogni giorno verifichiamo che esistono molti modi per ferire o uccidere simbolicamente (e materialmente) una donna, modi diversi fra loro, visibili, invisibili, esibiti, mascherati, agiti da singoli, gruppi, Stati: dalla segregazione alle sterilizzazioni e aborti forzati alle mutilazioni sessuali, dallo scherno all'uso del corpo femminile, dall'esaltazione di immagini svilenti alla sottrazione dei figli, alle aggressioni apertamente politiche.

Infatti il concetto di violenza di genere messo a punto in varie dichiarazioni dell'Onu, comprende "qualsiasi atto (...) che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico": una formula elastica, cosi' da poter includere altri comportamenti.

Giustamente, perche' quella violenza attraversa le culture, le classi, le generazioni, i continenti; ha sempre come bersaglio la liberta' e la voglia di liberta' di una donna; non si dissolve con la modernizzazione; convive con le ideologie progressiste e rivoluzionarie.

Segnalo due bei libri che aiutano la riflessione. il primo e' Amore e violenza (Bollati Boringhieri 2011) di Lea Melandri.

Di fronte allo scempio del corpo femminile che trabocca dalla cronaca, una schiera di esperti televisivi ci invita a vedere quella distruttivita' come un raptus, quasi che l'uomo fosse stato "rapito" da un misterioso Mister Hyde. Altri osservatori, piu' seri, mettono la violenza in rapporto con il logoramento di due pilastri della mascolinita', la padronanza del futuro e il potere sulle donne; e' forse la sola tendenza trasversale in un periodo di contrasti radicali. Gli uomini occidentali, e orientali, asiatici, africani, vivono una crisi, sia pure in forme diverse, e reagiscono con armi vecchie e nuove.

Ma si puo' andare piu' a fondo. Melandri risale alla "preistoria" di questa distruttivita', muovendosi fra il vicino e il lontanissimo, fra la contemporaneita' e lo spazio/tempo delle origini, per mettere a fuoco le teorie e le pulsioni sottese al binomio questione maschile / questione femminile. Alle radici di tutto, sta l'antica e conflittuale dipendenza dalla madre, che si perpetua a dispetto delle negazioni, degli ausili psicologici - e dei motti di spirito sullle mamme nazionali, italiana, ebrea, black eccetera.

Oggi e' ritornato un clima di esaltazione della maternita' che non aiuta ne' le non-madri ne' le madri. Le prime possono sentirsi incomplete, le seconde sentirsi costrette a corrispondere a una immagine di perenne oblativita' - e molti mariti/figli/fratelli si comportano come fossero convinti che ogni donna debba svolgere il ruolo materno, accogliente, sempre a disposizione. Quasi che la maternita' potesse essere un obbligo invece che una scelta e un dono.

Per esempio, sentiamo continuamente esaltare le doti femminili - empatia, pragmatismo, uno speciale talento nel far coesistere pubblico e privato, casa e lavoro, nel curare i rapporti, nell'affrontare i conflitti con la mediazione - indicate come strada maestra verso un lavoro umanizzato: e' la donna "creativa". Se non che, quando qualcuna prova a cambiare l'organizzazione del lavoro e del potere, spesso incontra ostacoli tali da farle ridimensionare le aspettative: e' la donna "normalizzata". Poi ci sono l'ancella, la manager-immagine e la manager addetta (o costretta) allo sfoltimento del personale; e altre ancora. Ne parla il secondo libro, Donne senza guscio. Percorsi femminili in azienda (Guerini e Associati 2009), di Luisa Pogliana.

La crisi del maschile e' un'occasione storica offerta agli uomini per fare un po' di chiarezza in se stessi. Ma mi chiedo quanti ne avranno il coraggio e la voglia. Oggi viviamo in un groviglio complicato di nuovo e falsonuovo, di vecchio e di similvecchio - succede in tutte le fasi di trasformazione, ma questa e' complicata dal fatto che il rapporto fra i sessi sta nel tempo lineare della storia e contemporaneamente nel tempo ciclico della ripetizione.

Ma un regalo per l'8 marzo lo vorrei. Vorrei che molti piu' uomini (sulla scorta del pensiero di singoli, dell'associazione Maschile plurale e di vari altri gruppi) capissero che non aver mai commesso stupro non basta a chiamarsi fuori da un mondo maschile in cui la violenza contro le donne si ripete ogni giorno. Vorrei che capissero che neppure dallo svilimento delle donne e' possibile chiamarsi fuori, che c'e' una responsabilita' sovraindividuale - non come colpa general/generica o dannazione originaria, ma nel senso in cui la intende Amery: come somma delle azioni e omissioni che contribuiscono a fare un clima. O a lasciarlo sopravvivere.

Articolo tratto da:
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 487 del 7 marzo 2011

Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it



Luned́ 07 Marzo,2011 Ore: 19:53
 
 
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