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www.ildialogo.org LA VIOLENZA SULLE DONNE SI NUTRE DI OMERTA’, DENUNCIAMO LA VIOLENZA: OGGI, DOMANI, SEMPRE.,di Giovanna Mulas

LA VIOLENZA SULLE DONNE SI NUTRE DI OMERTA’, DENUNCIAMO LA VIOLENZA: OGGI, DOMANI, SEMPRE.

di Giovanna Mulas

C’è stato un momento in cui non ho più ascoltato il ritmo del mare.

E’ stato in quel momento che ho capito

che il mare mi chiamava.

(Giovanna Mulas)

C’ era una volta una piccola donna di una piccola cittadina di provincia. I vicini non ne ricordano il nome, ma non importa. La conoscevano bene perché dicevano convinti che avesse una bella famiglia: in chiesa tutte le domeniche e a comprare il pane alla Forneria Manca tutti i giorni oh, ma appena i cinque minuti per vederlo imbustato perché poi correva in casa. Sicuramente una casa tranquilla, visto che voleva starci sempre dentro.

La Piccola Donna aveva dei bambini meravigliosi ed un marito tranquillo si, tranquillo: salutava sempre e tutti, o quasi, con Buongiorno e Buonasera. Uno che non creava problemi, non come quei delinquenti che bazzicano giù alla stazione della metro, a imbrattare muri con graffiti anticlericali.

Lei la ricordano di bassa statura e pure a testa sempre bassa, anonima, una tranquilla, che non richiamava l'attenzione, che non dava problemi. Buona eh! Per carità. Una piccola donna tutta casa e chiesa.

Un giorno la Piccola Donna s’innamorò della vita. S’innamorò davvero, credetemi.

Crebbe dentro, e lo fece in silenzio per non disturbare, come quei semi che germogliano al buio, in un piattino, in un piccolo spazio e solo acqua basta loro per crescere...e crescono così tanto e così tante foglie tirano fuori -troppe e tutte assieme- che, Icaro, vorrebbero raggiungere il sole. Ma quel piattino a loro non può più bastare.

E’ la natura che dice al seme germoglia, è il tuo momento. Ed è la legge della natura che impone al seme di cercare il suo sole, per continuare a vivere, non sopravvivere in un piattino.

E’ fisiologico che, prima o poi, accada.

La piccola Donna crebbe dentro e si vide diversa. Si vide come in realtà era sempre stata ma tutti, stranamente e caparbiemente, ne avevano sempre rimandato un’immagine diversa: un’altra immagine, l’immagine che loro volevano e a che a loro faceva comodo.

Allora accadde che la Piccola Donna chiese il divorzio a quel compagno che sentiva parte di una vita non più sua.

Il giorno dopo i vicini di casa seppero dai giornali che la signora...quella tranquilla si, di cui non ricordo mai il nome... quella sempre a testa bassa, si, ecco, la Piccola Signora tranquilla era stata uccisa dal marito a coltellate. In casa, in cucina mentre il minestrone ribolliva in pentola e il tagliere stava sul lavandino, ancora coi pomodori a pezzetti e qualche spicchio d’aglio. Davanti alla tv che trasmetteva Un Posto al Sole, davanti agli occhi dei figli, uno col bavaglino sporco di pappa alla banana e l’influenza di stagione.

“29 coltellate!”, urlava il trafiletto del piccolo quotidiano della piccola e tranquilla provincia.

Oh! Non ci posso credere signora mia! Lui?! Uno così tranquillo! L’avrà provocato...qualcosa avrà fatto per meritarsi 29 coltellate. Queste cose ad una buona signora non accadono.

E se pure l’avesse tradito, sciocca, avrebbe dovuto farlo in silenzio...occhio non vede, cuore non duole. E oggi sarebbe stata ancora viva, col marito fedele e innamorato accanto e l’amante ad aspettarla in macchina ogni sabato pomeriggio.

I tradimenti? Ah, signora mia...queste sono cose che si fanno in silenzio: nessuno deve sapere o sentire, ma accadono da sempre comunque.

La libertà è un’idea che ficcano in testa alle donne insicure le associazioni femministe e quei comunisti perditempo, sempre in strada a scioperare contro Dio sa cosa.

Sa che sul nuovo Diva ho trovato quella ricetta sugli involtini ripieni ai carciofi? Certo che l’ho segnata...stasera la chiamo per telefono per dargliela. Ah no, aspetti! Dimenticavo che oggi è sabato...si si, starò fuori questo pomeriggio, fino alle 20.00.

Con un amica che non vedo da anni, si.

Domattina in chiesa le porterò la sua ricetta. Chissà cosa dirà Don Piras di quella donna lì...si, quella uccisa.

Buongiorno signora e cari, cari saluti in famiglia.

Come i miei lettori sanno, tra i miei libri uno in particolare occupa quella parte più intima e segreta, amata nonostante. E’ Lughe de Chelu e Jenna de Bentu, autobiografia romanzata scritta in tre mesi, di getto, istinto puro, dolore, vita e morte, di sopravvivenza. Tra pochi giorni il romanzo vedrà una sua nuova edizione per la Neuma ( www.neumaedizioni.eu ) , quindi la presentazione ufficiale al Salone Internazionale del Libro di Torino. L’ ho scritto nel momento più difficile della mia esistenza; quando pensavo convinta, da donna e madre prima che scrittrice, che mai più sarei stata in grado né di scrivere né, soprattutto, di vivere.

Ed una sorta di pudicizia bambina, figlia di retaggio culturale prisco, ancorato alla pelle sarda prima che alla mente, m’ ha accompagnata per tanto, forse troppo tempo prima di riuscire a parlare del libro con la libertà che merita, prima di comprendere io stessa, autrice, che la mia libertà poteva divenire col tempo, tramite la maturità e l’esperienza, libertà di altre libertà. Il libro “è (...) sgocciolato da una mente ad un foglio, da un cuore ferito nell.intimo e, perciò, autentico. E. sin troppo facile precipitare nelle profondità della propria psiche; impresa ardua è risalirne sani, l'uscirne indenni. E’ un viaggio...”

Esistono ferite, nella vita, che mai si rimargineranno. Il tempo potrà ammansirle, quietarle, vestirle di una nuova prospettiva di saggezza e serenità. Ma mai, mai queste ferite potranno cicatrizzarsi del tutto.

Vuoi perché sono troppo profonde, vuoi perché, oramai, fanno parte di noi e solo con noi scompariranno.

E ogni volta che una donna, una sorella, muore per mano di un amore malato, la ferita grida ancora.

Griderà tutta la vita lo so. A volte vorrei che smettesse, a volte io stessa ho voluto smettere. Ma il richiamo alla vita è sempre stato più forte, maledetto, istintuale. La vita stessa mi ha chiamato quando pensavo di non avere più nulla da darle, né da risponderle. Ed è anche per questo che io, oggi, sono qui a raccontarlo.

A scrivere queste righe è una donna diversa: forse più forte o forse no ma che in un capitolo nuovo, questa nuova vita, vive l’amore amata di stesso amore. Ciò che ogni donna è portata fisiologicamente a vivere e dovrebbe vivere: in piena libertà di scelta, in dignità, in purezza.

Curioso che, ad oggi, si debba rimarcare che ad una donna la libertà spetta di diritto, per nascita.

Ecco, Lughe de Chelu è una storia come tante, e per raccontarla volo indietro nel tempo al 2001 in un’apparentemente tranquilla piccola città di provincia, la mia Nuoro: una richiesta di divorzio Dall’uomo che allora era mio marito, tre tentativi di omicidio dei quali l’ultimo, per strangolamento ed accoltellamento, avvenuto davanti agli occhi dei nostri quattro figli, allora tutti minori.

Sospesa tra la vita e la morte. Il limbo. Di quei giorni ‘non miei’ ancora oggi porto il ricordo nebuloso, incerto, vacuo quasi. Gli infiniti perché, il pozzo profondo della depressione, il buio, la crisi artistica: perché io ero viva, perché io, perché a me, perché i miei figli avevano dovuto assistere a tutto questo, perché lui aveva tentato il suicidio, perché lui a me, proprio a me... che fino al giorno prima aveva ripetuto di amare alla follia.

Ecco, questa amici miei è probabilmente la parolina magica: follia. Ma non rappresenta IL Tutto: sarebbe riduttivo parlare soltanto di follia, e offensivo nei confronti di quelle sorelle che, per mano di un amore malato, hanno perso la vita o il sorriso o la speranza... donne che, in ogni modo, si sono perse, forse dentro loro stesse e non sempre riuscendo a ritrovarsi. Lughe de Chelu è il diario di un viaggio, un mio viaggio che è anche quello di Marina, di Annette, di Ivy, di Edith, di...e di... .

Troppi nomi, e croci.

Viaggio nell’ipocrisia, nei tristi, malsani pregiudizi di donne nei confronti di altre donne, noi che dovremmo essere sorelle e unite di quella forza che la Natura già ci dona, semplicemente perché donne, creatrici, mestruate sempre, partorienti di energia. Viaggio in una chiesa misogina, potere al servizio del potere, in uno Stato che tenta di curare la donna vittima di violenza ma, paradossalmnete, lo fa senza intaccare la radice della violenza quindi senza punire severamente chi la attua.

Anni fa, dopo un mio reading a tema violenza contro la donna, al momento delle domande dal pubblico un tizio, impacciato, sollevò la mano per chiedere la parola.

Un uomo sulla sessantina, più o meno, in giacca e cravatta.

Ricordo che sorrisi a quel gesto quasi da scolaro.

- Perché il suo compagno ha cercato di ammazzarla?...Voglio dire...lei voleva lasciarlo...lui l'amava troppo - ‘Non dire altro, è meglio.’ pensai soltanto e lo fermai subito, già infastidita: -Non c’è un perché nella violenza.- e l’altro, incalzante, agitandosi sulla sedia -se è accaduto...ci sarà un perché, DEVE esserci un perché-.

Ricordo che dal mio tavolo troppo accademico sbuffai, continuai pure a sorridere pensando a quell’ imbecille, uno di tanti, pronto a cercare un perché nell’orrore.

-Dare un perché alla violenza significa, in un modo o nell’altro, giustificarla-. E troncai da maleducata, da saccente, da femmina, donna e madre ferita e rabbiosa per un perché che io stessa, per anni, avevo continuato a chiedermi. Troncai lasciando intendere che non intendevo continuare sull’argomento.

Mea Culpa.

Ora, si chieda un perché a quei bambini che hanno assistito all’assassinio della madre ancora giovane e bella, ma tacciata come ‘puttana’ dal paese perché, immensa ed eterna colpa, ha osato divorziare dal marito; ha osato LEI, chiedere il divorzio.

Mea Culpa.

Si chieda ai familiari, agli amici, ai vicini di casa che, intervistati dalla giornalista rampante e arguta di turno hanno risposto, sull’assassino -ma, sembrava un tipo così tranquillo. Lei la vedevamo spesso triste, trascurata, con gli occhi bassi...a volte coi lividi, sa?. Ma chi mai avrebbe pensato che...-

Mea Culpa.

Chi mai avrebbe pensato che.

Se un perché esiste, forse, sta nascosto negli occhi chiusi di una donna, una delle tante senza medaglia, da Eterno Riposo. O di quell.altra, proprio quella che ti vedi passare accanto, magari ogni mattina all'uscita dal panettiere Gino, e lei non ti vede neppure e tu pensi Ma guarda questa chi si crede di essere per passarmi accanto senza salutare.

Lei, forse, da un lettino di obitorio domani ci dirà che il suo perché era nascosto nell’aver troppo creduto nell’ amore.

E’ la natura che dice al seme germoglia, è il tuo momento. Ed è la legge della natura che impone al seme di cercare il suo sole, per continuare a vivere, non sopravvivere in un piattino.

E chi sono o rappresentano un uomo o una donna, per impedire il germoglio anche ad un solo seme?

La violenza si nutre di omertà. Denunciamo la violenza: oggi, domani, sempre.

(da Isola Nera, rivista di letteratura, poesia, attualità - nr 59

www.giovannamulas.it )



Marted́ 15 Febbraio,2011 Ore: 12:21
 
 
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