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www.ildialogo.org UNA RIFLESSIONE SU LETTERA A UNA PROFESSORESSA,DI  Maria Teresa D’Antea

UNA RIFLESSIONE SU LETTERA A UNA PROFESSORESSA

DI  Maria Teresa D’Antea

Ringraziamo Maria Teresa D’Antea per averci inviato questo suo testo scritto per il giornale diocesano “Confronto” destinandolo alla rubrica “ La penna ai lettori” perché non gli sembrava un vero e proprio articolo, ma l’espressione spontanea di alcune sue personali riflessioni. Il caporedattore invece l’ha pubblicato nelle rubrica “Chiave di lettura” destinata alle recensioni.
Nel cinquantenario della morte di don Lorenzo Milani, avvenuta per linfogranuloma nel 1967, vari eventi si sono succeduti per celebrare l’opera del prete ribelle, il più importante fra tutti la visita di Papa Francesco nella frazione di Barbiana.
Ai tempi di don Milani non erano molti i preti che si opponevano a una Chiesa autoritaria superba e solo a parole vicina ai poveri, con papi in scarpette rosse e manti di ermellino. E quei pochi che osavano essere sale e lievito della società, secondo l’esortazione evangelica, venivano additati alla pubblica disapprovazione e puniti confinandoli in parrocchie miserevoli e di difficile accesso. Don Lorenzo fu confinato a Barbiana, che nessuno aveva mai sentito nominare. Oggi Barbiana è conosciuta in tutto il mondo, grazie a questo prete con la forza del vangelo nel cuore. Fu lui a saper dare un bello scossone non solo a una Chiesa ancora medioevale, ma anche a un’altra istituzione, la scuola, che funzionava bene per i figli dei ricchi ma non dei poveri. Lettera a una professoressa denuncia l’ingiustizia di una scuola classista e discriminatoria, solo in apparenza democratica, in realtà un ingranaggio pazzesco perché i poveri restassero poveri umiliati e senza voce. A questo libro plaudirono gli intellettuali di sinistra, con Pasolini in testa, mentre l’intellighentia ecclesiastica rimase silenziosa e diffidente. Una ulteriore conferma che la Chiesa, storicamente parlando, è sempre pronta a perdere il treno, soprattutto quando trasporta contenuti cristiani.
Lettera a una professoressa, appena scoppiato il ’68, divenne uno dei testi cult dei sessantottini, insieme ai libri di Marcuse. Solo le femministe, negli anni ’70, ne presero le distanze. Secondo loro denunciava una realtà intollerabile, ma sbagliava il bersaglio. Si accaniva aspramente contro una donna, anziché colpire una cultura secolare che anche i preti avevano contribuito a formare: la cultura maschilista, classista, sessista violenta e guerrafondaia, dove i poveri le donne e i bambini erano gli ultimi e gli invisibili. In due parole, la cultura patriarcale. Per dirla in forma ancora più semplice, don Milani, anziché mettere se stesso in discussione in quanto uomo e prete, scaricava ogni responsabilità su una insegnante che come donna non si era mai ritrovata né in un libro di letteratura, né in un libro di storia ed era stata messa su una cattedra per essere il cieco strumento di trasmissione di una cultura che la escludeva e la negava. E non perché non ci fossero state letterate filosofe politiche e scienziate, nonostante fosse loro interdetto l’accesso all’istruzione, ma per il semplice fatto che è consuetudine cancellare le donne dalla storia. Un esempio semplicissimo e attuale: il premio Nobel Grazia Deledda già non esiste più nei libri di letteratura delle scuole superiori.
Ricordo che mi indignai molto mentre leggevo Lettera a una professoressa, pur avendo una certa simpatia per don Milani. Fu lui infatti nel 1965 a incenerire la falsa virtù dell’obbedienza con il suo “L’obbedienza non è più una virtù”, che diede il via alla prassi dell’obiezione di coscienza presso i giovani di leva. Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, dove milioni di uomini, svuotati di ogni autonomia critica, erano stati trasformati in demenziali macchine di morte da una parte e dall’altra, finalmente l’edificio militare cominciava a scricchiolare, grazie a un ritrovato primato della coscienza. Anche la Chiesa, fondata su una rigida gerarchia molto simile a quella militare, cominciò ad avere, per grazia di Dio, i suoi preti ribelli, a perdere arroganza e a ricercare la via smarrita del vangelo.
Lo spunto per queste riflessioni, frammiste a ricordi, mi è stato offerto dalla lettura di un epistolario intercorso tra don Lorenzo Milani e il grande maestro Giovanni Michelucci ( noto ai più come l’architetto della chiesa dell’Autostrada ) oggetto di una ricerca di dottorato di Cristina Donati. Giovanni Michelucci quando uscì Lettera a una professoressa nel 1967 scrisse a don Milani queste sagge parole, senza omologarsi al plauso della sinistra: “ Penso che quel che è detto nella Lettera a una professoressa sia esatto, ma non concordo sulle offese dirette alla professoressa e ad altre persone perché, seguendo la logica della lettera, se bisogna dedicare ogni cura al ragazzo che ha difficoltà a capire, non mi rendo conto perché la stessa cura non si debba dedicare alle persone mature di anni che non capiscono “. Non c’è in Michelucci la consapevolezza che vittima di quel sistema scolastico non era solo il ragazzo bocciato ma anche la professoressa, destinata a trasmettere una cultura in cui la prima ad essere ignorata e cancellata era proprio lei. Tuttavia per un uomo del tempo di Michelucci era già una posizione molto civile ed avanzata.
Maria Teresa D’Antea



Venerdì 29 Settembre,2017 Ore: 23:38
 
 
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don Lorenzo Milani

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