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www.ildialogo.org Religioni e Diritti Umani: dallo scontro al dialogo.,Scritto da Roberto Fantini

Religioni e Diritti Umani: dallo scontro al dialogo.

Scritto da Roberto Fantini

Conversazione con Luigi De Salvia, presidente di Religions for Peace, intorno alla natura del fenomeno religioso e al suo destino.


 Martedì 30 Agosto 2011 22:17 - Articolo pubblicato sul sito: http://www.flipnews.org/

Luigi De SalviaLuigi De Salvia

Dal 2007, Luigi De Salvia ricopre la carica di segretario generale della sezione italiana di Religions for Peace. Nel 2008, ha fondato, con colleghi di varie tradizioni, l’associazione Ascoltare le sofferenze, per la cooperazione interreligiosa in medicina.

Dal febbraio 2010, è coinvolto in un progetto per l’accoglienza delle specificità religiose e culturali nelle strutture sanitarie, che si sta concretizzando in una esperienza pilota presso l’ospedale Santo Spirito di Roma.

Con lui è nata la seguente conversazione-intervista su tematiche ad entrambi molto care, quelle relative alla sfera religiosa e alla sfera dei Diritti Umani.

- Scrive Schopenhauer che l'inizio della religione è rappresentato dalla  paura e che, di conseguenza, se "gli uomini fossero felici, non  sorgerebbe mai una teologia".

Credo che ci sia molta verità in queste parole, ma, nello stesso tempo, ho l'impressione che tendano a ridurre eccessivamente l'esigenza del  sacro e la ricerca dell'assoluto a meri meccanismi di autodifesa e di  autoconsolazione. Tu cosa risponderesti al grande pensatore tedesco?

R:  Anche a me l’affermazione di Schopenhauer,  in questo caso,  pare schematica. In un “paradiso terrestre” non si porrebbero certo domande di senso radicali, ma questa è una condizione beata che sperimentiamo quasi esclusivamente nell’infanzia ( e purtroppo, non tutti, come tu sai meglio di altri per l’attenzione che dedichi ai diritti dei bambini ).

Ma si affacciano, comunque, altri interrogativi : perché la paura, e paura di cosa poi, anche in assenza di pericoli immediati ? E perché, sotto la spinta della paura, inventare dei o un dio più alto degli dei ?

C’è da dire che, di fronte ad una teologia prevalente nel suo tempo e nel suo ambiente, fortemente assertiva ed autoreferenziale, più incline a redarguire che a farsi carico degli acuti interrogativi esistenziali specifici della condizione umana, l’atteggiamento “antiteologico” di questo filosofo non dovrebbe sorprendere.

D’altra parte, la teologia, campo di riflessione tipico della tradizione cristiana “occidentale”, potremmo considerarla come la necessità di “fare i conti”, sul piano razionale, con i propri contenuti dottrinari fondativi, che, presi alla lettera, potrebbero risultare non plausibili ( “Stoltezza per i sapienti “ … secondo il vivace linguaggio paolino ).

E quindi, in un certo senso, il “travaglio” teologico , sia nelle varianti contestative e problematiche sia in quelle apologetiche,  sarebbe comunque un frutto di un  tipo particolare di “inquietudine” della ragione e, proprio per questo, degno di un rispetto  profondo e possibilmente di uno sguardo empatico, se vogliamo essere pienamente umani  …

Ma la filosofia e la medicina non sono anch’esse, in qualche modo, il frutto del “parto gemellare” della sofferenza umana intesa nel suo significato più complessivo  ?

Più o meno questo risponderei con simpatia a Schopenhauer, se potessi,  per un momento, superare le barriere temporali che ci separano …

-Ma il mondo della religione in che modo può continuare a rappresentare un punto di riferimento in un’umanità sempre più conquistata dalla scienza e dalla tecnologia? Non pensi che le religioni abbiano esaurito da tempo il loro compito civilizzatore (se mai l'hanno davvero avuto) e , perciò, siano condannate ad un lento quanto inesorabile processo di estinzione?

R  Non credo che siano destinate all’estinzione, ma che andranno incontro ad evoluzioni ( non necessariamente solo in senso positivo) più significative e più rapide rispetto agli ultimi millenni. Avrei i miei dubbi sulla consistenza del fascino della scienza e della tecnologia come punto di riferimento alternativo stabile, pur senza nulla togliere al loro enorme contributo nell’arginare derive irrazionaliste sempre risorgenti . Le religioni, viceversa, rimangono un luogo di apertura al mistero nel quale possono abitare le domande esistenziali più profonde vissute sia dai semplici sia dai  cercatori  di senso più colti ed esigenti.

-   A mio avviso, tutte le religioni del mondo (pur con le necessarie e doverose differenziazioni di responsabilità), di fronte agli innumerevoli orrori prodotti nella storia (considerando che tali orrori si sono verificati o, più o meno direttamente, grazie a loro seguaci, o a coloro su cui esse non sono riuscite - per debolezza e/o per negligenza -  ad esercitare adeguate forme di influenza positiva), se fossero minimamente autocritiche, si dovrebbero sentire di fronte ad un bivio: a)sentirsi chiamate a dedicarsi ad un lungo, onestissimo e dolorosissimo processo di analisi dei propri errori, indagandone senza alcuna indulgenza le complesse e millenarie radici, approdando ad una autentica richiesta di perdono e di sforzo di “conversione”(nel senso di profondo e sincero impegno di liberazione da tutto ciò che le ha inquinate per tanto tempo); b) riconoscere, senza se e senza ma, il proprio fallimento, rinunciando ad esistere come istituzione storica.

R  E’ incontestabile il carico di violenze che ha accompagnato le prassi religiose nella storia. Andrebbero analizzate le ragioni senza pregiudizi (apologetici od accusatori), per capirne il più possibile le dinamiche intime al fine di individuare i fattori di rischio dai quali guardarsi.

D’altra parte l’esperienza conflittuale è, in un certo senso, connaturata al vivere con gli altri (per non parlare dei conflitti nell’intimo di ciascuna persona) ed andrebbe accolta con responsabilità ed atteggiamento di cura verso le insicurezze, spesso solo latenti, che ne sono all’origine.

Certo, la violenza ci sconcerta ancora di più quando è associata al fatto religioso, per la paradossale incoerenza con la spiritualità e l’invito sapienziale a “non uccidere” (in senso stretto ed in senso lato) ed a perseguire  il bene comune ; di questo sono consapevoli anche i leaders religiosi, a molti dei quali va riconosciuto un impegno reale ad arginare i fondamentalismi, che proprio in questi ultimi anni di instabilità crescente nelle relazioni internazionali, si sono affacciati molto minacciosamente sulla scena mondiale, non solo con il terrorismo armato …

-E’ chiaro che, sulla base di quanto affermi, il tuo impegno in una associazione come Religions for Peace nasce sicuramente da una prospettiva palesemente antisettaria ed antidogmatica, su cui è certamente possibile costruire una preziosa convergenza fra differenti visioni del mondo, basata sulla volontà di dialogare. Cosa pensi, quindi, che le religioni, alle soglie del terzo millennio, dopo secoli e secoli di spargimento di sangue in nome dei loro dei e dei loro credi, possano e debbano realisticamente fare?

R  Cerco di tener conto della complessità del fenomeno religioso, di vederne le potenzialità positive oltre alle fragilità dottrinarie e comportamentali ed i rischi che ne derivano.

Per il futuro loro e nostro, mi auguro che le religioni intensifichino le relazioni e  la conoscenza reciproca e collaborino per programmi comuni miranti ad affermare i diritti umani, dalla lotta alla povertà fino all’affermazione della libertà religiosa e di pensiero.

Questo può basarsi sulla concezione fondamentale che le accomuna nel considerare la vita in generale e quella umana in particolare non un banale accidente, ma una benedizione ed un mistero solo in parte accessibile alla nostra capacità di conoscere.

Il loro frequentarsi ed il lavoro comune per la giustizia e la pace potrà essere un buon antidoto ad autosufficienze, intransigenze e settarismi che tanta infelicità, sfiducia e disperazione hanno seminato nei secoli, come giustamente e tristemente hai ricordato.

Quanto è avvenuto nelle ultime decadi nell’incontro e nella cooperazione tra le religioni in varie parti del mondo, a livello di leaders ed a livello di base, autorizza ad un ragionevole ottimismo rispetto alla riduzione della conflittualità interreligiosa e ad un loro possibile contributo positivo nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti interni ed internazionali.

E’ una sfida aperta dall’esito non scontato, che richiede il superamento della cultura della condanna e la crescita di una cultura della tolleranza ( ovvero del farsi carico ) delle contraddizioni … che non ci possiamo illudere di eliminare una volta per tutte (tragica illusione alla base di tutti i regimi dittatoriali religiosi ed antireligiosi  e di ogni aggregazione umana omologata).

In questa sfida siamo avvantaggiati, almeno questa è la mia impressione, rispetto alle generazioni precedenti, ma il compito non è senz’altro facile.



Marted́ 06 Settembre,2011 Ore: 18:15
 
 
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