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www.ildialogo.org TUTTI INDIETRO: STORIE DI UOMINI E DONNE IN FUGA. E DI COME L'ITALIA LI ACCOGLIE, TRA PAURA E SOLIDARIETA', DI LAURA BOLDRINI,A CURA DI CARLO CASTELLINI

TUTTI INDIETRO: STORIE DI UOMINI E DONNE IN FUGA. E DI COME L'ITALIA LI ACCOGLIE, TRA PAURA E SOLIDARIETA', DI LAURA BOLDRINI

A CURA DI CARLO CASTELLINI

PER CAPIRE IL PROBLEMA.
      Ho deciso di scrivere questo libro nell'estate del 2009, quella in cui il governo italiano ha messo in atto i respingimenti in mare. Pensavo che mi avrebbe aiutato ad analizzare quello che è accaduto in questi anni e ciò che invece non avviene oggi.
    L'inquietudine, non ostante la calma apparente che regna nel Mar Mediterraneo in assenza di sbarchi, nasce dalle tante storie di uomini e di donne che negli anni si sono avvicendati sul molo FAVAROLO DI LAMPEDUSA e sulle coste meridionali italiane.
     Quelle storie mi riecheggiano nelle orecchie, e mi impediscono di trovare anche un solo aspetto positivo dei respingimenti in alto mare. TUTTI INDIETRO, per tutti la stessa soluzione a prescindere dalle cause che stanno alla base della fuga di ciascuno.
 Sentenza unica e sbrigativa, senza appello. Se sei in mare perchè nel tuo paese infuria la guerra, poco conta. Se sei su un gommone, perchè restare a casa significa essere torturato fa lo stesso. Da questa parte del Mediterraneo i distinguo non contano più. Così come mi fa sentire terribilmente a disagio la reazione di buona parte dell'opinione pubblica che plaude a questa scelta, senza chiedersi quale sia il prezzo da pagare.
    Le persone respinte, compresi i bambini, finiranno in un CENTRO DI DETENZIONE in LIBIA e lì vi rimarranno per mesi o forse per anni, ma sia chiaro, non hanno commesso alcun crimine.
Sono soltanto esseri umani che non hanno il privilegio di poter vivere a casa propria  e cercano altrove pace e sicurezza. Le persone respinte, inclusi i BAMBINI, hanno inoltre buone chance di essere rimandate indietro, ma questa volta più a SUD, in mezzo al DESERTO. Si può essere d'accordo con tutto questo? Dalle tante storie di donne uomini che ho conosciuto e ascoltato negli anni di lavoro come portavoce dell'ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI (UNHCR), pochissime sono quelle prive di sofferenza, e quasi mai la condizione di persona in fuga si è risolta senza traumi: la maggior parte è passata attraverso un calvario di dolore e solitudine.
     Ma le storie che mi sono rimaste impresse non sono le più crudeli. Ci sono situazioni in cui la disperazione dell'altro è travolgente e per chi ascolta è impossibile arginarla. Così si incamera un malessere che può trovare conforto solo in un'azione concreta che sia di aiuto per quelle persone, che riesce a infondere loro  un po' di speranza per il futuro. Non ci si può abituare al dolo re dell'umanità.
    Se torno indietro negli anni il mio ricordo va in AFGHANISTAN, uno dei luoghi più spettacolari del pianeta. Qui si avverte spesso un intollerabile stridore  tra la bellezza della natura e le storie di orrore raccontate da donne annientate dalla violenza. Le bianche e immacolate vette dell'HINDUKUSH, da una parte, e gli efferati crimini contro intere generazioni di DONNE E BAMBINE, tanto silenziose quanto invisibili, dall'altra.
     Nei BALCANI invece, mi è rimasta impressa in modo indelebile, l'immagine degli ANZIANI  cacciati dai nosocomi in KOSOVO, e trasportati dai parenti, in CARRETTE lungo impervi sentieri di montagna, sotto una pioggia incessante. DOLORE E SILENZIO. Sguardi atterriti di vecchi che avrebbero preferito morire  anziché dover vivere quello strazio.
       E ancora PRIGIONIERI SCHELETRICI, rilasciati ad un posto di frontiera dopo essere stati usati come SCUDI UMANI a protezione delle postazioni militari nemiche. Così come è difficile dimenticare COLONNE DI DONNE  E BAMBINI ERITREI, avvolti nel vento di sabbia che oscura il cielo, arrivare sfiniti dalla  sete nel primo campo di KASSALA, appena dopo il confine sudanese. Ore di marcia sotto un sole implacabile e una temperatura che tocca i cinquanta gradi.
   Dopo qualche anno, altri racconti di RIFUGIATI, questa volta in ITALIA, mi hanno portato a conoscere l'ultima frontiera della disperazione. Una vera e propria roulette russa gestita dai TRAFFICANTI,  i veri signori della guerra che si combatte nel Mediterraneo. Essere costretti a partire su un gommone in vetroresina per attraversare le 160 miglia che separano la LIBIA DA LAMPEDUSA, equivale ad accettare a caro prezzo, una scommessa sulla propria pelle. Quando non si hanno i DOCUMENTI,  né un visto d'ingresso in un PAESE SICURO,  non si ha nemmeno scelta.
     Ma cosa sappiamo di queste persone e delle loro difficili esistenze? A mio avviso non abbastanza. Nei mezzi di informazione  e di conseguenza nell'IMMAGINARIO COMUNE,  coloro che arrivano via mare sono chiamati CLANDESTINI, termine che si porta dietro un bel carico di pregiudizio.
    Clandestino fa pensare a qualcuno di pericoloso che deve nascondersi perchè ricercato dalla giustizia , anche se la maggior parte delle persone che approdano sulle coste italiane è RICHIEDENTE ASILO.
    Per questo considero ognuna di queste storie un'EREDITA' che mi è stata lasciata e un patrimonio di grande valore sul quale investire  continuamente attraverso il mio lavoro. I RIFUGIATI non hanno il privilegio di vivere a casa propria e infatti molti di loro desiderano tornarvi il prima possibile. Quando un immigrato viene rimpatriato, perchè è entrato o soggiorna irregolarmente, non rischia di ESSERE IMPRIGIONATO, TORTURATO O UCCISO.  Può capitare che incappi in qualche sanzione ma niente che possa mettere a repentaglio la sua esistenza. Se invece un RIFUGIATO è RESPINTO  nel suo PAESE D'ORIGINE, da dove è scappato per motivi di PERSECUZIONE, è come rimetterlo “nella bocca del leone”.
    Nel Mondo vi sono circa 35 MILIONI DI PERSONE che vivono oggi questa condizione   DI SRADICAMENTO FORZATO e di cui si occupa l'ALTO COMMISSARIATO DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI.
    E poiché sui  MEZZI DI INFORMAZIONE  vi è poco spazio per restituire all'OPINIONE PUBBLICA l'altra faccia degli sbarchi e del dramma che c'è dietro la fuga, diventa troppo facile strumentalizzare la situazione e far leva sulla paura.  Allora è possibile che la vittima bisognosa d'aiuto, diventi una minaccia,  una persona temibile per il solo fatto di essere arrivata nel nostro paese irregolarmente, magari via mare.
    Il buon senso poco può di fronte alla paura, specialmente quando viene alimentata in modo strumentale, si estende e diviene collettiva. Tale percezione così sommaria e fuorviante non rende giustizia alle donne, agli uomini e ai bambini approdati in questi anni  sulle coste italiane.
   E non rende giustizia a un'ITALIA INVISIBILE, ma reale:  quella di chi nella vita di tutti i  giorni, e con il proprio lavoro, favorisce la conoscenza reciproca e la CONVIVENZA CIVILE.
Penso agli INSEGNANTI, che con poche risorse a disposizione sostengono i giovani stranieri nel loro difficile cammino scolastico e preparano i ragazzi italiani  a vivere nel VILLAGGIO GLOBALE. Penso anche ai tanti PESCATORI, che in questi anni nel MEDITERRANEO, hanno salvato centinaia di persone in pericolo, rischiando in prima persona. Penso alle FAMIGLIE ITALIANE  che imparano a conoscere questa nuova RISORSA, rispettandone la dignità e i diritti.
    In questi contesti si sviluppa la società del futuro, ed è grazie agli EROI DEL QUOTIDIANO che si realizza in modo spontaneo e quasi inconsapevole un'INTEGRAZIONE che invece spesso per le istituzioni rimane un obiettivo astratto. (LAURA  BOLDRINI, a cura di Carlo Castellini).



Martedì 12 Giugno,2018 Ore: 14:12
 
 
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