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www.ildialogo.org A.I. Adozione Internazionale. Storie di famiglie, di Davide Pelanda,di Giovanni Sarubbi

Recensione
A.I. Adozione Internazionale. Storie di famiglie, di Davide Pelanda

di Giovanni Sarubbi

Una donna madre
Una donna che diventa madre
d’un bambino nato da un’altra donna
È come acqua che evapora e si fa nube
Volando in cielo per portare acqua
A un albero nel deserto.
(Talmud)
Questa è la citazione con cui si apre il libro A.I. Adozione Internazionale. Storie di famiglie, di Davide Pelanda, editore Giancarlo Zedde, da poco pubblicato e presentato al Salone del Libro di Torino.
Il tema delle adozioni viene affrontato da Pelanda con riferimento alle sole adozioni internazionali, quelle cioè che riguardano bambini e bambine provenienti da paesi esteri. Adozioni lunghe e difficili, per i tanti ostacoli burocratici e non solo che le famiglie adottive devono affrontare per raggiungere l’obiettivo di poter dare una famiglia ad un bambino abbandonato in un paese estero. Adozioni che essendo fatte all’estero, sono molto costose, che comportano spesso lunghi periodi di permanenza nei paesi di adozione e che quindi non sono alla portata di tutte le famiglie.
Il tema delle adozioni in Italia non è mai stato oggetto di un dibattito pubblico di ampio respiro, neppure quando la legge sulle adozioni venne cambiata nei primi anni ‘80 del secolo scorso. Non c’è in Italia una cultura delle adozioni. Le famiglie adottive sono viste sostanzialmente come famiglie di serie B e i genitori adottivi come “non genitori”. Adottare un bambino/a, italiano o meno che sia, è una scelta difficile e coloro che fanno questa scelta sono di solito soli. Non c’è alcuna struttura dello Stato che aiuta i genitori che aspirano ad adottare un bambino/a nella loro decisione e nel loro percorso. Anzi lo Stato è spesso la fonte di ostacoli su ostacoli. Per le adozioni internazionali ci sono poi delle specifiche agenzie con le quali le famiglie devono interfacciarsi e che, in alcuni casi, si sono dimostrate scorrette e fraudolente.
Ma c’è poi in Italia una cultura molto antica che considera i figli adottivi come “i problemi degli altri”, da cui è meglio in definitiva stare alla larga per curarsi solo dei problemi che i “figli propri” procurano ai rispettivi genitori. Idee e cultura figlie del periodo fascista e della sua cultura razzista basata sul “sangue”, dottrina aberrante in un paese formalmente “cattolico” che, altrettanto formalmente, mette il concetto di “adozione” nel primo articolo del suo Catechismo.
Forse è anche per queste ragioni che, scrive Pelanda, “I dati ufficiali parlano di un crollo di adozioni in Italia negli ultimi quindici anni; del 60% per le procedure internazionali, e del 31% per quelle nazionali”. Gli ostacoli da affrontare e anche le spese, soprattutto per le adozioni internazionali, scoraggiano una gran parte delle coppie dal perseguire una strada che è, come scrive Pelanda, “un atto di amore genitoriale” e non un’opera di bene. Scrive Pelanda: “Lo si adotta, dicono le coppie da me intervistate, perché è la cosa che più si desidera”. E lo si desidera perché il problema della sterilità delle coppie è in forte aumento già da molto tempo e riguarda sia le donne che i maschi.
Pelanda nel suo libro racconta le storie, sotto forma di interviste, di una decina di famiglie che hanno adottato i loro figli da paesi quali la Russia, la Cina, il Brasile, l’India, l’Ucraina, la Cambogia, la Colombia, l’Etiopia, riuscendo a rappresentare quindi una molteplicità di situazioni che rendono bene sia le difficoltà che le varie coppie hanno dovuto affrontare nei singoli paesi, sia gli aspetti positivi e le nuove vite che si sono realizzate.
Nel libro c’è anche un capitolo molto bello che riporta “Il punto di vista di una figlia adottiva”, un racconto, sempre sotto forma di intervista, da leggere tutto di un fiato perché fa toccare con mano le due questioni che spesso sono associate alla questione delle adozioni, quella del razzismo e quella della ricerca dei cosiddetti “genitori biologici”.
La questione del razzismo è più marcata nei confronti dei bambini provenienti dalla adozione internazionale perché spesso essi hanno un colore della pelle diverso da quello dei loro genitori, come nel caso raccontato nel libro di Pelanda. Ed è un razzismo che si esercita fin dalla tenera età ed è messo in atto dagli altri bambini coetanei del bambino/a adottivo/a. Racconta Sara, la bambina intervistata nel libro: “Ho anche avuto problemi di razzismo. La prima volta che successe, all’asilo, ero così piccola da non ricordare bene. Stavo disegnando la mia casa, gialla con le imposte verdi; una bimba, di un anno più piccola di me, mi ha chiesto cosa stavo facendo, e io le spiegai che stavo disegnando casa mia. Mi rispose che non poteva essere casa mia e mi disse, testualmente: «Tu sei nera, quindi la tua casa deve essere nera senza le finestre»”. Bambini che ripetono atteggiamenti e parole razziste evidentemente sentite e vissute nelle proprie famiglie.
Ma il razzismo nei confronti dei bambini adottivi non si verifica solo nei confronti di quelli adottati a livello internazionale. Si verifica anche nei confronti di quelli adottati in Italia, che non hanno differenze di colore della pelle. Il sapere che un bambino è adottivo spinge i suoi coetanei a scuola, ma anche gli insegnanti e chiunque abbia a che fare con loro, a guardarli con occhi diversi, spinge ad essere morbosi e curiosi. Ma su questo occorrerà forse scrivere un altro libro.
Negli ultimi anni le TV italiane hanno dato ampio spazio alle storie di figli adottivi che cercano i loro genitori “biologici”. Anche di tale questione si parla nel libro di Pelanda.
Il libro si chiude con un capitolo sull’Arai - Agenzia Regionale Adozioni Internazionali del Piemonte, che da utili informazioni su ciò che fa questa agenzia, e con una bellissima “Lettera a un bambino adottato” di Luciana Litizzetto. É una lettera che vale la pena leggere e che da sola giustifica l’acquisto e soprattutto la lettura dell’ottimo libro di Davide Pelanda.
Giovanni Sarubbi



Mercoledì 30 Maggio,2018 Ore: 08:08
 
 
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