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www.ildialogo.org “NON CHIAMATEMI UOMO DI COLORE”, DI ESOH ELAME',DI CARLO CASTELLINI

“NON CHIAMATEMI UOMO DI COLORE”, DI ESOH ELAME'

EDITRICE MISSIONARIA ITALIANA, BOLOGNA, 2007, PRESENTAZIONE E COMMENTO


DI CARLO CASTELLINI

“Una lingua che si biforca fa più male di un piede che inciampa”.
CHI E' ESOH ELAME' ?
Camerunese, attualmente insegna Geografia presso presso il SSIS dell'università Cà Foscari di Venezia e Pedagogia Interculturale presso l'Accademia delle Belle arti di Venezia. Nell'ambito di progetti europei, svolge attività di Ricerca e di Insegnamento in varie istituzioni universitarie. E' autore di numerose pubblicazioni scientifiche sui temi dell'intercultura e dello sviluppo sostenibile, tra cui L'EDUCAZIONE INTERCULTURALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE, PROPOSTA DI FORMAZIONE PER INSEGNANTI, EMI, BOLOGNA, 2007. “C'ERA UNA VOLTA AL TEMPO DEGLI ANTENATI......FAVOLE DEI POPOLI BANTU DEL CAMERUN, EMI, BOLOGNA, 2OOO. In preparazione, EDUCARE ALL'INTERCULTURA A PARTIRE DALLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI, EMI, BOLOGNA.
La copertina è di OMBRETTA BERNARDI, che ritrae l'autore mentre di copra il volto con la mano sinistra quasi a indicare vergogna ; la dedica è riservata alle figlie ANGUEL'A MUSANGO E JABEA LA ELAME' E a tutti i neri italiani.
FLAVIO FABI, Presidente dei comuni di Pian del Bruscolo; e
GIOVANNI BARBERINI, Assessore alla Promozione del territorio e della cultura. Riflettono.
Il tema del vocabolo discriminante affrontato da Esoh Elamé nel volume NON CHIAMATEMI UOMO DI COLORE, ci fornisce elementi di riflessione per capire, come nell'Italia che cambia gli immigrati sono diventati uomini di colore, Marocchini, Vu cumprà, Extracomunitari, Musulmani, ecc.
Gli interrogativi che l'Autore si pone con ironia e pragmatismo ci fanno capire come, spesso in maniera inconsapevole, usiamo questi termini attraverso uno slittamento semantico senza nemmeno porci il problema del loro impatto sugli immigrati. La diffusione di tali vocaboli conduce la società ad una nuova forma
di etichettatura che manifesta la discriminazione e la segregazione che sono presenti nella nostra vita. L'opera di ELAME' rilancia la questione del dialogo interculturale sia tra Italiani indigeni e italiani allogeni, sia tra Italiani e stranieri. E' evidente che serve una maggiore sensibilizzazione delle istituzioni, dei mass-media, della scuola nonché dell'opinione pubblica sulla comunicazione interculturale e sui vocaboli discriminanti.
Ci auguriamo che quest'opera, prodotto di un progetto finanziato dall'Unione europea, (DG Giustizia e Affari Interni), Programma INTI), e che l'Unione dei comuni di Pian del Bruscolo, (Colbordolo, Monteciccardo, Montelabbate, Tavullia e Sant'Angelo in Zizzola), ha coordinato possa essere strumento valido per mettere in discussione immagini del nostro modo di pensare che spesso produce battute, scambi di opinioni e discorsi stereotipati.
Le comunità immigrate a loro volta, non devono riprodurre un linguaggio stereotipato verso altri immigrati e indegni italiani, chiudendosi in sé stesse, ma provando a capire la peculiarità degli autoctoni, e allo stesso tempo per comprendere le loro. (Flavio Fabi, Giovanni Barberini, a cura di Carlo Castellini).
UN PROBLEMA ANCORA APERTO : IL CASO DELLA SOMALIA E I FIGLI NATI DALLE VIOLENZE SESSUALI IN EPOCA COLONIALE.
La Somalia oggi è un paese inesistente; da più di dieci anni non ha più una rappresentanza istituzionale. L'Italia non ha saputo operare per creare un percorso di cambiamento culturale. Le scelte politiche dei governi italiani non sono state all'altezza delle attese delle popolazioni somale.
Le tristi conseguenze della politica italiana coloniale e postcoloniale, si riflettono anche nei figli nati dalle violenze sessuali durante l'epoca coloniale. Quando vigeva il divieto di matrimoni tra Italiani e Somali, pena la reclusione fino a cinque anni. Non ostante le leggi razziali ponessero la segregazione anche in materia sessuale, nacquero molti meticci tra donne dichiarate di razza inferiore, e uomini di razza considerata superiore.
Il mito della Venere Nera e la voglia di avventure fecero sì che gli Italiani in Somalia lasciassero dietro a sé centinaia di figli illegittimi mulatti. E lo testimonia G. CAMPASSI, nel suo studio su “Il madamato nell'Africa orientale. Relazioni tra italiani e indigene come prima forma di aggressione coloniale”, in Miscellanea di Storia delle Esplorazioni, n. XII,1987.
Oggi, la questione italo somala dello sfruttamento sessuale durante l'epoca coloniale, si pone ancora, come conferma l'associazione ANCIS, Associazione Nazionale Comunità Italo Somale – che raccoglie i figli di padri e di madri italiane, considerati per tanto tempo “frutto della vergogna”. La questione è del tutto al di fuori dei salotti della politica e degli intellettuali: non interessa a nessuno.
Sono passati cento anni dalla colonizzazione della Somalia, e gli Italiani fino ad ora, continuano a non capire nulla dei Somali. Si continuano a fare gli stessi errori. Nel 1990, all'inizio della guerra civile, la diplomazia italiana sbagliò: l'ambasciatore MARIO SICA e il ministro DE MCHELIS, sostennero che SIAD BARRE dovesse rimanere presidente. La diplomazia italiana non aveva colto l'evidenza che vi era una rivolta generale in tutto il Paese contro un regime dittatoriale e che quel governo era sostenuto dalla Farnesina. I Somali lo ricorderanno.
Ce lo testimonia per noi tutti GIANNI MARI, Presidente
dell'Ancis intervistato da BARBARA FAEDDA nel 2001 in :”Italo-Somali una minoranza che l'Italia vuole ignorare. Le tristi conseguenze della politica italiana coloniale e post-coloniale”.
“Mi chiedo - testimonia ancora Gianni Mari – se tutto ciò accade, perchè queste persone dimostrano la vergogna dell'Italia in Africa. Non vengono rispettate e valorizzate solo per il motivo che hanno per madri donne nere somale? Come accettare la vergognosa situazione dei cosiddetti “figli del peccato”, nati e abbandonati in Somalia da italiani sposati, che vengono considerati in Somalia come bianchi, e in Italia come neri?
Una delle risposte non secondarie potrebbe essere questa, che “tanti presidenti del Consiglio e presidenti della Repubblica italiana, sono andati nel continente africano
ma si sono spesso soffermati nei Paesi dell'Africa Bianca oppure hanno proseguito in Sudafrica, dove ci sono più interessi economici per le imprese italiane. Il Corno d'Africa che avrebbe dovuto godere di maggiore attenzione e il resto dell'Africa Nera non hanno mai appassionato i capi di governo e di stato italiani”.
LA MIA RIFLESSIONE PERSONALE.
Avevo ascoltato questo giovane Autore camerunese, alcuni anni fa, in occasione di un incontro formativo e culturale, tenuto presso il Salone Comboni di viale Venezia, 116, a Brescia. Mi aveva subito interessato, perchè aveva affrontato senza tanti preamboli il problema della solidarietà con l'Africa e con l'intercultura necessaria per impostare un dialogo con gli Africani e gli immigrati in genere, che fosse di reciproca utilità e stimolo pedagogico.
Le storie che racconta e le parole su cui riflette nel suo libro le
ha provate tutte sulla sua pelle di nero, di africano e di ricercatore curioso e riflessivo. Forse per questo, le sue poesie, sono piene di pressanti inviti all'accoglienza, ma anche ricche di riflessioni e proposte linguistiche e operative. E' simpatico e comunicativo di suo, e desidera farsi accogliere e ascoltare come “uomo”, e non come “uomo di colore”.
E' cosciente cioè della sua “africanità” e della sua “negritudine”; per questo si è fatto “pellegrino” itinerante in tanti paesi e università italiane europee, per comunicare quanto ha appreso di umanità e di intelligenza del linguaggio e dei rapporti umani. Così anche lui è divenuto capace di comprendere e leggere la nostra storia, di riflettere, di ricercare, di scrivere libri, di interagire, di inserirsi in mezzo a noi. Pesaro è diventata la sua città di adozione.
E quella sera mi avevano colpito la sincerità e la chiarezza con cui aveva parlato dei mali e dei modi tipicamente europei e italiani di fare solidarietà, di considerare l'Africa Nera con stereotipati luoghi comuni, falsi e frutto di mentalità razzista e pigrizia mentale, e di parlare un linguaggio sottilmente ambiguo; che è ancora incapace di informarsi, per comprendere e dialogare “alla pari” con la cultura africana.
Fu questo l'aspetto singolare che mi aveva colpito quella sera. Con facilità per farsi capire meglio dagli ascoltatori, ci aveva dolcemente spiazzati, perchè non si era sottratto alle domande scomode sulla sua Africa; così facendo ci aveva costretti a porci delle domande egualmente serie e impegnative sulla nostra Europa e Italia; e quindi a prendere sul serio le nostre forme di
solidarietà. Rimuovendo però i nostri pregiudizi razziali ancora molto cristallizzati nei nostri linguaggi e comportamenti. (Carlo Castellini).



Venerdì 01 Dicembre,2017 Ore: 12:55
 
 
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