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www.ildialogo.org LETTERA ALL’AMICO SILVIO POZZANI, IN MERITO AL SUO SAGGIO STORICO ‘IL D’ANNUNZIO FIUMANO’ (Qui Edit),di Franco Casati

LETTERA ALL’AMICO SILVIO POZZANI, IN MERITO AL SUO SAGGIO STORICO ‘IL D’ANNUNZIO FIUMANO’ (Qui Edit)

di Franco Casati

Gent. Silvio Pozzani, ho letto con vivo interesse le tue pagine sul D’Annunzio Fiumano. La tua esposizione nel narrare questi avvenimenti mi è risultata particolarmente accattivante, vuoi per il contenuto, vuoi per la scrittura agile, molto comunicativa e coinvolgente. Dico subito che questo tuo saggio ha il pregio di assolvere a quella che per me è una delle funzioni più importanti della scrittura saggistica, ossia quella di essere divulgativa, di potere cioè coinvolgere e interessare un largo pubblico, e non soltanto una piccola schiera di specialisti del settore. Quelli che hanno un minimo di interesse storico e di amore per i valori fondanti della nazione italiana troveranno in questo tuo saggio tanta ricchezza di informazione e di spunti per una adeguata riflessione. E’ significativa, infatti, la ricca varietà delle fonti alle quali tu attingi, fra le più autorevoli in campo storico-politico, giornalistico e letterario, riuscendo a farle convergere in un discorso personale e in un indirizzo unitario che ricostruisce il percorso della vicenda fiumana così come si è svolta ed è stata vissuta dai suoi protagonisti, fra luci e ombre, fra momenti di esaltazione o di ripensamento, senza esprimere da parte tua alcun giudizio nel merito ma lasciando al lettore la facoltà di formarsene un’opinione. Ho constatato con vivo piacere che ti sei tenuto al di sopra delle parti, senza minimamente indulgere a quei giudizi sommari che vorrebbero il D’Annunzio come ispiratore di certi valori di nazionalismo becero o di ispirazione fascista.

Riporto, a questo proposito, una delle tue citazioni, quella di Umberto Foscanelli, uno dei fondatori della Federazione Nazionale Legionari Fiumani, là dove afferma:” D’Annunzio non è col fascismo, quando in nome di questo si percuotono i lavoratori…”. Infatti, a mio avviso, non basta ricordare che egli inventò il grido di ‘eia eia alalà’ (per altro di origine greca), o che parlava dal balcone direttamente alle folle, per incolparlo di essere stato un antesignano del fascismo. Dopo l’impresa di Fiume, come tutti sappiamo, egli dové subire lo strapotere politico di Mussolini, verso il quale non aveva mai nutrito simpatia, che lo relegò nella prigione dorata di Gardone, sotto stretta sorveglianza, temendolo come un potenziale nemico.

Dal tuo saggio emerge la figura di un poeta alle prese con la politica, che non sarebbe sicuramente stato capace di competere con le strategie o con le decisioni operative di un dittatore come Mussolini. Dal suo Vittoriale, che egli riempì di simboli tanto suggestivi quanto inutili, egli non poté fare altro che limitarsi ad organizzare qualche adunata dei suoi fedeli Legionari Fiumani, a denunciare più volte la violenza dello squadrismo fascista e a tentare, inutilmente, di convincere Mussolini a non allearsi coi tedeschi, dimostrandosi in questo ben più avveduto del Duce. Poté sfruttare, solo con benefici economici e culturali, il peso della sua fama.

L’impresa di Fiume è stata per il D’Annunzio come il fiore all’occhiello di un poeta. Giustamente tu sottolinei come essa suscitò consensi da tutte le parti, e mi viene da aggiungere anche da potenze straniere, come ad esempio l’Inghilterra, almeno per qualcuno dei suoi più importanti diplomatici che ebbe a dichiarare che l’occupazione di Fiume era “una cosa ben fatta”; come essa rappresentò un crogiuolo di idee politiche avanzate, sulla spinta di Alceste De Ambris, che elaborò una Costituzione su basi socialiste e repubblicane, e un’isola felice rispetto al resto dell’Italia. Per tanti che vi parteciparono fu anche un’esperienza esistenziale irripetibile, quella di Fiume ‘città di vita’.

Anni fa, leggendo i romanzi di Giovanni Comisso, mi chiedevo perché questo scrittore fosse tanto legato all’esperienza di Fiume, al punto che Carlo Bo scrisse che non si poteva capire la narrativa di Comisso prescindendo dalla sua partecipazione all’impresa fiumana. La tua rivisitazione storica mi fornisce in questo senso una esauriente risposta.

Mi trovo d’accordo con te nel sostenere che le finalità politiche del D’Annunzio furono principalmente di carattere ideale: da una parte il compimento del disegno del Risorgimento, nella conquista dei confini dell’Italia fino al Carnaro “che Italia chiude e i suoi termini bagna”; dall’altra la strenua difesa del principio di Nazionalità che egli, come tutti, voleva riconosciuto ai dalmati e agli italiani di Fiume. Voglio ricordare come lo stesso principio venne ribadito anche da Alcide De Gasperi, alla Conferenza di Parigi del ’46, volendo salvare i confini dell’Italia sconfitta di cui volevano fare scempio le potenze vincitrici, con queste parole:” La nostra integrità nazionale è congiunta con l’onore”.

Vorrei chiudere questo mio breve scritto riprendendo un punto del tuo saggio, sulla scia del De Felice, che mi ha particolarmente interessato, in quanto lettore della poesia e della prosa del D’Annunzio. Vi si parla di strategia retorica, specialmente nella sua oratoria, che fa ricorso a temi religiosi per attingere a strutture profonde dell’animo umano. Sicuramente il D’Annunzio era un consumato oratore, tuttavia non gli va negato un personale spirito religioso che albergava nel fondo del suo animo. Una religiosità cristiana si manifesta esplicitamente in molti luoghi della sua produzione letteraria, anche se a volte volutamente ostentata. In una breve opera in prosa che egli scrisse nel volontario esilio di Arcachon, la ‘Contemplazione della morte’, accompagnando appunto il trapasso di Adolphe Bermond, suo padrone di casa, cristiano fervente, non si può mettere in dubbio l’autentica partecipazione spirituale che ne ha ispirato le pagine, segnate da una profonda riflessione sulla morte di un credente, sottolineate da richiami a passi del ‘Martyre de Saint Sébastien’, che fu per il D’Annunzio il prezioso biglietto da visita che egli presentò alla comunità letteraria francese. Sicuramente la sua natura incline all’erotismo, il desiderio dei piaceri e del lusso, della fama e della gloria, contrastavano con un modello di vita cristiana, che tuttavia egli ammirava in San Francesco, proprio perché per lui irraggiungibile.

La retorica stessa del gesto bellico, consumato da eroe, in un sacrificio ispirato a sacri valori, così spesso imputata al D’Annunzio, viene per così dire stemperata o contraddetta in quelle commoventi pagine del ‘Libro ascetico della Giovine Italia’, uno dei più appassionati libri scritti sull’esperienza della prima guerra mondiale, che tu hai citato nell’indice bibliografico, dove egli si piega con pietosi accenti umani sulla sorte di quel misero fante meridionale che deve morire nel fango per la decimazione decisa dalla gerarchia militare, ricordando come la guerra in molti, anzi in troppi, l’abbiano solo subita. Pagine che assurgono alla dignità di un manifesto contro il militarismo e la guerra.

Voglio ricordare, inoltre, come la retorica dannunziana, spesso già di per sé pesante e obsoleta, venne volgarizzata dal fascismo, nel lessico e negli stilemi, per renderla accessibile e funzionale alla propaganda di massa.

Concludo affermando, da lettore del D’Annunzio, che la sua italianità è un valore che io riscontro, piuttosto che nella sua azione politica e nel suo eroismo di combattente, nella grande valorizzazione che egli ha saputo fare della lingua italiana attraverso la sua opera di poeta e di scrittore, lasciandoci un’eredità di cultura letteraria che resta a fondamento dei valori della nostra nazione.

Ti ringrazio, caro Silvio Pozzani, per avermi dato l’opportunità, col tuo intelligente e onesto saggio, di riflettere ulteriormente sul D’Annunzio, auspicando, nel contempo, che le tue pagine trovino la più ampia diffusione. Con tanta amicizia e stima

Franco Casati



Giovedì 05 Gennaio,2017 Ore: 22:37
 
 
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