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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org OTTAVIA ARICI SCRIVE AD ALEARDO ALEARDI,di  Franco Casati

Recensione
OTTAVIA ARICI SCRIVE AD ALEARDO ALEARDI

di  Franco Casati

   Nell’era della posta elettronica e degli SMS, in cui la comunicazione (tanto più immediata quanto più scadente) è ridotta sul piano dei contenuti e su quello formale a ingessati e traumatizzati sintagmi, il leggere un epistolario dell’800, ricco di centinaia di lettere di vibrante sentimento, espresso da una penna e da un cuore femminile fa, per contrasto, un certo effetto; il merito di questa operazione, di riportare alla luce il corpo vivo di una personale comunicazione, spetta a Paola Azzolini, italianista e saggista, autrice di studi sui più importanti scrittori italiani fra Otto e Novecento, instancabile ricercatrice e divulgatrice di scritture al femminile, collaboratrice di prestigiose riviste letterarie; col titolo ‘L’amore al tempo della guerra’ la Azzolini ha infatti curato la pubblicazione delle lettere di Ottavia Arici al poeta risorgimentale Aleardo Aleardi, in una bella e assai curata edizione, per conto della casa editrice Il Poligrafo, di Padova, nella collana ‘soggetti rivelati, ritratti, storie, scritture di donne’.
   Aleardo Aleardi, poeta veronese (1812-78) fu amico di Giovanni Prati, col quale collaborò al periodico padovano ‘Il Caffè Pedrocchi’; partecipò ai moti risorgimentali del 1848-49. Fu deputato al Parlamento di Torino e professore di Estetica a Firenze. Pubblicò nel 1864 i ‘Canti’, in endecasillabi sciolti, che lo resero assai celebre. Fu un poeta decadente, definito ‘parnassiano d’Italia’, aperto verso esperienze del romanticismo europeo. Va ricordato, per inciso, che Tomasi di Lampedusa, nel suo celeberrimo romanzo ‘Il Gattopardo’, cita i Canti dell’Aleardi come un dono alla moda, nel contesto siciliano dell’epopea garibaldina.
   Le note storiche e di commento di Paola Azzolini che introducono via via il corpo delle lettere risultano puntuali e circostanziate, sia nel riscontro agli importanti avvenimenti della I guerra d’indipendenza ( di cui arriva a tracciare un  quadro ricco e vivo), che trovano eco nelle parole della Arici, sia ai piccoli fatti della realtà familiare e alla rete di relazioni interpersonali. In ogni caso, il fine dell’autrice è quello di evidenziare il vero, al di fuori di illazioni di tipo personale. La sua scrittura si fa spesso vera e propria narrazione, in specie nella descrizione dei luoghi, degli avvenimenti e degli stati d’animo dei protagonisti.
   Tra le fonti a sostegno, riguardo alle vicende dell’Aleardi, si fa frequente riferimento, nello specifico, al saggio di Ubaldo Mazzini ‘Amori e politica di Aleardo Aleardi’, L’Aquila, Vecchioni, 1930.
   Dopo alcuni passaggi di proprietà fra soggetti privati, l’epistolario di Ottavia Arici viene conservato nella Biblioteca Civica di Verona, dove Paola Azzolini ha saputo riscattarlo dall’oblio, nella sua integrità. Scrive la ricercatrice veronese:” In questo voluminoso epistolario Ottavia usa un linguaggio molto vicino al parlato, con presenze dialettali venete, qualche irregolarità grammaticale e un lessico ricco di espressioni familiari…”.
   Ma chi è Ottavia Arici?  Era figlia del poeta bresciano Cesare Arici; sposata giovanissima a un certo Rinaldini, ne aveva avuto tre figli, e ne era stata assai presto abbandonata. Abitava a Padova, al quartiere Ai Carmini. Nel dicembre 1846 essa riceve, come affittuario, lo studente veronese Aleardo Aleardi, preceduto dalla sua notorietà di poeta, di patriota cospiratore contro il Lombardo-Veneto ma, pure, di irresistibile conquistatore di cuori femminili. Sembra infatti che il suo allontanamento da Verona sia dettato da motivi sentimentali. Per una donna sola e ancora giovane come Ottavia l’incontro risulta, ben presto, fatale. L’amore per Aleardo, ricambiato a piene mani, riempirà ogni spazio della vita e del suo cuore. In lui essa vede non solo l’amante, ma il futuro marito, il padre dei suoi figli e vagheggia pure il desiderio di avere una figlia da lui, che chiama già Maria, bionda e con gli occhi azzurri come il padre.
   Ma il quadro storico in cui si inserisce questa vicenda d’amore è fra i più tormentati e dolorosi del nostro Risorgimento, quel biennio 1848-49 che vede l’insorgere delle città del Lombardo-Veneto contro l’occupazione austriaca, e la successiva riconquista e brutale repressione da parte della potenza straniera, dopo l’armistizio Salasco e la definitiva sconfitta di Novara (23 marzo 1849). Inutili le epiche battaglie e l’eroismo dei patrioti combattenti. 
   A interrompere l’idillio amoroso fra Ottavia e Aleardo sarà una missione diplomatica affidata da Daniele Manin, per conto della risorta Repubblica di Venezia, proprio all’Aleardi e a Tommaso Gar: quella di recarsi a Parigi per cercare l’appoggio della Francia alla rivoluzione e forse per l’acquisto di armi. La missione sarà destinata a fallire, a causa dei moti insurrezionali che scoppieranno nella stessa Parigi, e l’Aleardi farà ritorno, sfidando il pericolo dei gendarmi austriaci, solo alla fine di settembre del ’49, dopo avere soggiornato a Bologna, a Firenze e a Genova, per dare, a Legnago, l’estremo saluto al suo devoto padrino, il dottor Carli, che giace morente nel suo letto. L’Aleardi appare ‘pallido e sconvolto, distrutto dal viaggio e dall’ansia’ (U.M. op. cit.). Da questo momento in avanti Ottavia vedrà ridimensionarsi la sua relazione con Aleardo in un forte legame di amicizia, anche se il suo amore per il poeta e patriota veronese non sarà mai estinto. Dal canto suo l’Aleardi non smetterà di coltivare vecchie e nuove relazioni sentimentali. Tutte le sue lettere ad Ottavia risultano, a tutt’oggi, inspiegabilmente scomparse.
  Ottavia morirà a Udine, ospite del figlio minore, poco meno di un anno dopo la morte del grande amore della sua vita, il 4 marzo 1879.
   Ma diamo, adesso, la parola ad Ottavia, sentiamone l’inconfondibile e commovente voce, sempre dettata da un sentimento sincero, attraverso alcuni stralci delle sue lettere, in relazione ai grandi temi dell’amore e della guerra, scritte nel biennio 1848-49, al lontano e irraggiungibile amante.
    (Ottavia ad Aleardo).
    “Io penso a te, spero per te, io son nulla senza te, se fosse una carezza, la rinuncerei per un fiore che tu mi dessi. Io allo stesso paradiso darei un rifiuto, che cosa più completamente atta a felicitarmi io non posso idearmi che tu non sia. Io ti chiamerò il dio dell’anima mia, la mia felicità in vita, la mia ricomparsa in morte, purché sia tua, purché sia teco, io non morirò mai, se sposa o sorella, se in patria o in terra straniera”. /…“Oh l’Italia, l’Italia libera tu vedrai, come sarà bella questa sventuratissima donna dalle cento attrattive. Pensando all’Italia, pensa a me, io ti cerco come i fiori la luce”. 5 Agosto 1848
   “Qui m’abbraccerai, angiolo, il più bello che abbia fatto Iddio. Qui, qui nel nostro lettino da poveretti saremo felici; qui o altrove fossi meco, le mie braccia al tuo collo, attorno a noi i nostri figlioli, pregheremo Dio assieme, piangeremo assieme. Oh i miei figlioli ti fioriranno intorno affettuosi e grati, porteranno invidia a noi gli angioli del Signore”. 14 Agosto 1848
   Scrive Paola Azzolini:” Nelle pagine sottili, vergate da una grafia nervosa, talvolta incomprensibili, con i segni delle lacrime, la sensualità per l’uomo che a lei pare un dio si esprime con una libertà insolita che rivela un carattere forte, sincero nonostante la repressione rigida dell’ambiente e della cultura, in cui anche lei, come tutte le donne del suo tempo, è immersa”.
Riportiamo ancora alcuni stralci delle lettere a conferma di quanto sopra.
   “Mio Aleardo, E’ una mattina la cui descrizione dovrebbe essere cantata da te, mio poeta, se i tempi fossero ciò che adesso non sono, ciò che forse non saranno per del gran tempo…Oh se questo sole sorgesse un dì, e trovasse liberi i popoli e concordi!...Oh se una mattina come questa fossimo liberi, ed io tua in faccia al mondo…”.  s.d.Agosto 1848
   “E ti veggo a me dato dal Dio onnipotente, e ripenso al tuo volto, alla tua voce, alle tue carezze, al vagire della Maria nostra, al crescere onestamente de’ maggiori figlioli./ …Oh non è peccato né il mio amore, né le mie brame, io ti amo di tutti i più grandi amori”. 12 settembre 1848
   “Tu mi fai provare alla distanza di tante miglia delizie di paradiso, insomma mi vuoi far morire d’amore. Tu sei troppo gran cosa per me. Quando io ti conoscevo di nome, io ti stimavo e quando t’ho veduto, io mi son sentita una confusione, un affanno: quando io t’amai, e fu tosto, io combattevo la mia passione e dicevo: come io potrò mai interessare uomo tale, come fermare ad amarmi il suo cuore?” 28 luglio 1849
   Ma Ottavia è anche testimone dei tragici fatti bellici che stanno accadendo, e ne riporta considerazioni e testimonianza nelle sue lettere. 
   “Oh perché i popoli di qualunque paese non s’abbracciano ai pié della croce, o genuflessi al loro Dio? Perché gli uomini disposti a battersi in guerra non uccidono un 20 teste che mantengono il mondo in tale strazio?” 10 ottobre 1848
   “Qui caro si sta ogni dì peggio. Prediali ogni giorno, requisizioni tutto il giorno, vessazioni di ogni sorta; non si può uscire di provincia senza licenza formale dietro risposta a cento  perché, questi perché bisogna dirli al signor Haynau. In chiesa sempre la sinfonia dei proclama, e fin dall’altare dove si celebra il sacrificio dell’uomo dio, si promette fucilazioni”. 4 marzo 1849
   “Che sarà di Toscana, che di Roma, che dell’eroica Venezia, che d’Italia tutta quanta? Dio sa quali opere nefande si sono stipulate col nostro oro…! E la povera Brescia? Si conta d’orribili cose, ma d’orribili assai? A me né lettere di parente, né avviso di amico; forse sono tra i morti quelli di cui attendo novelle?” 4 aprile 1849
   “Le case arse nel mio paese mi fu scritto ammontano a 300; la desolazione in ogni luogo”. 13 aprile 1849
   “Dio, Dio! E il sole, brilla ogni mattina, e la luna torna ogni sera… Aleardo, l’umanità è all’agonia ed è tremenda l’agonia dei popoli…” 5 maggio 1849
   “Il cannone si sente forte, e feriti ne entrano sempre dalla parte di Mestre. A Brescia continuano i martiri a volare al cielo…” 17 maggio 1849
   “La città pareva un cimitero sull’imbrunire, e le persone larve, che solo il convulso affanno dicea vive. Feriti molti: alle 12 fu affisso essere preso il forte San Giuliano. Insomma, io credeva in Dio prima, poi nei cannoni soltanto; oggi credo che siamo fulminati da una maledizione del Cielo…” 31 maggio 1849
   “Sulle cantonate è scritto in un mezzo lenzuolo di carta: Roma è caduta. E tutti si guardano attoniti passando, come al cadere d’un assassinato di coltello, e seguitano la via inorriditi. E il giorno è sempre brillante, e la notte è placida, come la prima che facesse il giorno…Ma io spero; in che? Nol chiedere, ch’io nol so, ma spero…” 9 luglio 1849
   Alla calamità della guerra si aggiunge anche il colera, che miete tante vittime a sua volta, e rappresenta per Ottavia e la sua famiglia un’ulteriore minaccia.
   “Il Municipio ha deciso la casa contigua alla mia qual lazzaretto pei colerosi./…e la casa è vicina e il pozzo è promiscuo”. 14 agosto 1849
   “Sono fuggita da casa; i colerosi sono già nella vicina”. 15 agosto 1849
   “Io passai la notte pregando e per me e prima per i miei figli e per te e per le persone a te care e per tutti, e anco perché l’alba sorgesse veloce e io potessi lasciare quella sepoltura di città. Ed era là inginocchiata, quando un parlare sommesso, ed un passare di corsa. Io guardai (che pure si guarda ancorché si tema). Erano i becchini che venivano a prendere i morti nel giorno. Oh questo morire in ore senza addio di congiunti e d’amici, è un disperato morire!” 17-18 agosto 1849 
   “E stasera la luna era pallida, parea adattata a illuminare i cimiteri e la povera Italia è un cimitero”. 1 settembre 1849
   Ma anche a guerra finita le tribolazioni e i dispiaceri per Ottavia non sono ancora terminati. Annota Paola Azzolini alla fine di questa significativa pubblicazione:” Ormai l’amicizia, la gratitudine, i ricordi hanno definitivamente sostituito la passione, soprattutto nell’animo incostante di Aleardo. In quell’anno fatale, il 1853, la vita si incarica di aggiungere altri dolori agli affanni già vissuti da Ottavia. Il più grave è la morte, avvenuta il 13 dicembre, della bella, giovanissima figlia di soli diciassette anni, la Dida/… probabilmente di tisi. Aleardo sta vicino a Ottavia con una pietas compassionevole che non ha niente di falso e di occasionale”.
   Il poeta detterà infatti una bellissima epigrafe per il sepolcro di Dida nel Cimitero di Verona.
   Con la pubblicazione di queste lettere Paola Azzolini ha consegnato ai posteri la voce, il cuore e la memoria di Ottavia Arici, una donna e una patriota testimone della passione femminile e dell’amore per l’Italia.
Franco Casati

                                                                                                 



Lunedì 08 Agosto,2016 Ore: 20:24
 
 
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