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www.ildialogo.org SINTONIA CON SEBASTIANO SAGLIMBENI,di Franca Sinagra Brisca

SINTONIA CON SEBASTIANO SAGLIMBENI

di Franca Sinagra Brisca

Intrattengo dalla mia Sicilia con Sebastiano Saglimbeni una relazione tecnologica, fatta di rade e-mail alternate a telefonate simili a quelle che si ricevono dai parenti d’oltreoceano, ricche di affettività colloquiale e gioiosa, con aggiornamento sui temi della nostra salute sempre a rischio, e sul lavoro creativo e nutriente; telefonate ricchissime di vitalità, che si concludono sempre con reciproci appelli a star saldi fra i marosi della quotidianità e con i saluti finali come se potessimo gesticolare la cordialità con lo sventolio di una mano. C’è sintonia tra il mondo ideale di Saglimbeni e la mia esperienza emotiva, forse perché ambedue segnati dalla Sicilia mitica dell’infanzia, dove solo io sono tornata a vivere, non lui che si è radicato da tempo a Verona. Vincenzo Consolo, amico di Sebastiano, scrisse che non si nasce in un luogo impunemente. Nonostante impennate anarchiche, ironie provocatorie, indagini irritanti e polemiche in veste socratica, traspare negli scritti del mio amico Saglimbeni una dolcezza incontenibile, un’estasi onnipresente, che scaturisce dalla memoria di campagne curate dalla sapiente mano umana, umanità che lavora in un tutt’uno col paesaggio, vissuto in origine e concretamente, nell’armonia della sua infanzia: lì è il fanciullino poeta, nato alla socialità stando accanto al padre contadino nel sole dorato del suo piccolo vigneto. Da un’aura mediterranea che potrebbe anche, con Carducci, farci sentire le cicale frinire, oppure le note della siringa di Pan l’eterno, scaturisce una sicura adesione sentimentale e costruttiva dell’uomo.
Saglimbeni ha attuato una scelta di vita di progresso, più simile all’ultimo ‘Ntoni ne I Malavoglia, e da Verona permea ogni contesto umano, e soprattutto espressivo, dell’afflato che fa emanare a un se stesso creativo, a quell’Isolamondo / Sicilia-paese natio, in cui direi che il suo spirito vive da sempre agiatamente e a pieno titolo. Traduttore elegante di alcuni classici latini e greci, “discepolo” di Tito Lucrezio Caro, questo Saglimbeni è entrato a far parte dei poeti che, traducendo si sono riappropriati della raffinatezza classica e l’hanno riprodotta per sé e il lettore nella loro poesia moderna, mutando le forme della lingua ma non gli assunti stilistici. Destino ineluttabile, questo, per i discendenti degli abitanti della Magna Grecia, come successe al corregionale Quasimodo, di riscoprire innamorati la particolare proporzione classica fra sentimento, ritmo e purezza della parola, con una riappropriazione di uno stile di pensiero e quindi di vita. I classici fanno della sua poesia, delle traduzioni e dei commenti, delle prose, una panacea intellettuale che attraversa il tempo e le stratificazioni ambientali, prendendo vigore dai campi e dalla creatività popolare contadina, palinsesto di storia e culture. Saglimbeni ha tradotto tutto Virgilio, le favole di Fedro. Di quest’ultima fatica, Newton Compton di Roma ha
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pubblicato, in 20 anni, quattro edizioni. Poi, Saglimbeni, con l’editorial Melvin di Caracas, ha pubblicato una traduzione dei frammenti e delle liriche di Alceo e Saffo con il titolo Amaranti di Lesbo. Credo che la sua conoscenza della letteratura, non solo italiana, sia vasta. Il suo stile, come poeta, riecheggia, a volte, quello del poeta statunitense Walt Whitman. Saglimbeni, come un maestro, mi ha incitato alla scrittura e me la richiede, lui che ha insegnato realmente nelle scuole del Nord e del Sud, che ha frequentato maestri del secondo Novecento, come Paolo Volponi, Roberto Roversi, Mario Geymonat ed altri. Diversi anni fa, in Sicilia, candidato al Senato, l’ho votato, prima di conoscerlo personalmente, e ancora sono convinta della giustezza di quel mio mandato a rappresentare un progetto politico irrinunciabile anche per lui, sebbene oggi sembri in disuso. Non è un caso che a lui si debba la riscoperta delle lettere che dal carcere l’on. Francesco Lo Sardo, comunista siciliano martire dell’antifascismo, inviò ai familiari. Alla memoria di questi, io stessa imbeccata da Saglimbeni, ho dedicato per molto tempo la mia disponibilità. Saglimbeni, dopo la ricoperta di Lo Sardo, ha riaffacciato alla memoria degli Italiani il latinista Concetto Marchesi. Per il trentennale della sua scomparsa aveva curato e pubblicato i discorsi che il latinista aveva pronunciato, dal 1948 al 1957, alla Camera dei deputati, dov’era approdato come parlamentare. Nonostante l’incalzare dell’età, Saglimbeni continua a coltivare ed esercitare vivacemente il suo impegno civile, riconoscibile in tutta la sua opera, nella sostanza creativa delle sue immagini poetiche, nella prosa fluente di ambientazione e di forza vitale ragionatrice, sempre realistica. Succede, semel in anno, che la terra veneta ci avvicini fisicamente, per trascorrere due brevi ore in uno dei caffè nella “sua” Verona, dove è di casa in piazza Bra. Ed è sempre fonte di serenità scoprire quanto egli ami sentire intorno a sé la vitalità dell’amicizia, praticata in quel suo insediarsi a lungo nei caffè, affabile nel lasciarsi avvicinare da chiunque e godere della curiosità suscitata, farsi interrogare e stimolare, riconoscere vecchie conoscenze, condividerle e farne di nuove. E l’incontro diventa un’epifania, un discorrere incessante, un premuroso e fervido commercio d’intenti culturali. Dei suoi scritti e del suo parlare, letteralmente mi ammalia la percezione, immediata, della schiettezza morale, dell’orizzonte positivo e vitale, della tensione progettuale pur nel rigore dell’analisi. Homo novus atque classicissimus è l’amico Sebastiano Saglimbeni.
Franca Sinagra Brisca
31 luglio 2016

 



Lunedì 01 Agosto,2016 Ore: 23:44
 
 
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