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www.ildialogo.org PER SEI POESIE,di Sebastiano Saglimbeni

PER SEI POESIE

di Sebastiano Saglimbeni

Non poche le poesie del friulano Tonuti Spagnol. Le sue prime scritte sono state vagliate dal suo maestro Pier Paolo Pasolini ed editate. Poesie in lingua e in dialetto friulano che, quanto prima, rimaneggiate, verranno ristampate.
Da questa messe emergono, soprattutto, l’io, la terra, il sentimento della famiglia e la fede cristiana dell’autore. Pertanto vale in questa agile nota un’esamina, come esempio, di sei poesie dai titoli: “I miei campi”, “Immagini”, “Fiumi di pensieri”, “Il mare a ponente”, “Cerco il mio Cristo”, “Mondo vuoto”. Poesie, queste, di un tempo e, come tali, di un linguaggio dal corso compiuto, ma che si può recepire puro, non ricercato con quelle eccessività da tempo di moda.
In “I miei campi”, si legge un indugio nella stagione degli anni adolescenziali in terra friulana. Gli uomini e le donne attendevano allora alla fatica della terra pure, durante le estati , con i loro figli non lasciati all’ozio incontrollato delle strade paesane. Tonuti rievoca, non senza rimpianto, quella stagione di civiltà contadina, dai campi “verdi e puliti”, dalle spighe che “godono il sole”.
In “Immagini”, al volo di rondini, che spesse un tempo volteggiavano, si uniscono gli strilli e la gaiezza dei bambini mentre le immagini del passato “corrono”. Segue una nota di meditazione sul futuro, dalle “vaghe speranze” e l’io si rivede “all’improvviso/ a piedi nudi/ rincorrere le lucciole/ lungo i prati verdi”.
In “Fiumi di pensieri”, un tono narrante, che contempla l’acqua, le rocce, la luna che “scende lenta”, mentre i “pensieri s’arrampicano/ per i sentieri della notte”. La poesia, non breve, comunica con un linguaggio di effetti, espressivo.
In “Il mare a ponente”, il poetare si differenzia qualitativamente rispetto a quello delle liriche sopraddette. Un idillio o una visione della sera, con “un giorno/ che “a stento muore/”. E qui l’io si sperde nel mare, osservato a ponente.
La fede, si accennava prima, si evince dal testo “Cerco il mio Cristo”. E il Cristo, che ha avuto e continua ad avere trattazioni di scritture a non finire mai, l’autore lo cerca, quando in lui si fa sera e scoramento ed è carente di luce e di pace, “tra boschi e mare”, “nell’immensa visione azzurra”. La poesia si completa con una invocazione a Dio perché espanda luce con i suoi limpidi occhi e disperda “le ombre incerte/ “ del mio futuro”.
In “Mondo vuoto”, l’io si è allontanato dalla sua comunità ed erra e si annienta tra la folla. C’è qui uno dei mille e mille umani che esce al fine di poter riuscire, emergere da quello oscuro essere umano. Ancora un ricorso alla sera e certo scoramento come quello che si verifica in chi si allontana dalla propria comunità. Pure qui, come luce, la luna che riappare ed è “tra camini spenti”, un’amica. Ed ancora la terra, il paesaggio, con un latrare di cani “tra le acacie”. E nella penultima strofa Dio. Perché “non c’è pace/ in questo mondo vuoto”, dove “crescono le erbacce/ e muore l’ulivo”. Da intendere gli elementi botanici, le erbacce e l’ulivo, come un ricorso alla metafora. Per dire dell’uomo, più in alto dell’altro, incapace di amore e non in pace con se stesso e con gli altri. Sì, la pace. Che è nel simbolo dell’ulivo.



Giovedì 04 Dicembre,2014 Ore: 17:26
 
 
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