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www.ildialogo.org UN SAGGIO SU BARTOLO CATTAFI,di Sebastiano Saglimbeni

UN SAGGIO SU BARTOLO CATTAFI

di Sebastiano Saglimbeni

La poesia di BARTOLO CATTAFI/ Tra negativo esistenziale e ansia metafisica. Così titola il suo saggio Carmelo Aliberti sul poeta Bartolo Cattafi, di cui è stato scritto non poco da studiosi di poetiche contemporanee.
In un volumetto di un centinaio di pagine, divulgato di recente da Giambra Editori di Terme Vigliatore, si legge il percorso umano e poetico di questo singolare poeta. Il pregio, che subito si riscontra, di questa, tra altre, scrittura di Aliberti consiste nella brevità espositiva. Una sintesi, pertanto, una forza che motiva ad intenderla persino chi non predilige la cosa scritta.
In apertura del volumetto si può rivedere la giovane esistenza di Cattafi fermata in un disegno del 1951 a firma di Luca Crippa, il pittore del gruppo spazialista e del movimento nucleare; quindi una foto del poeta a 2 anni ed un’altra della maturità del1972. Ed altre immagini dentro il volumetto che, recuperate, sono una fine rivelazione e, come tali, eloquenti.
Piane le prime pagine del saggio (“Nota dell’autore”), suscitano certo stimolo a scoprire o a riscoprire una poesia, tra le più discusse, del secolo scorso. Aliberti trascrive una citazione di Cattafi, nella quale racconta il suo esordio di scrittore, avvenuto “in preda a non so quale ebbrezza”.
Se prima in Sicilia o nell’Isolamondo s’era diffusa una nuova poesia, quella di Salvatore Quasimodo, destinata ad una grande fama che venne offesa dai maligni di sempre, dopo si è diffusa quella di Cattafi, autore di metafore, “impegnato a salvare con la voce ogni scheggia di un presente frantumato e disatteso quasi ‘obbedienza ideologica’ e adorato invece con tutte le forze dell’istinto, della corporeità dell’inconscio”, scrive Giovanni Raboni nel 1978. Di Cattafi ha scritto con acume il siciliano Giovanni Occhipinti, poeta e saggista, in alcuni suoi studi sulla poesia contemporanea siciliana e, dopo, altri, che Aliberti cita nelle pagine della Bibliografia del volumetto.
Laddove il saggista costruisce la prima formazione del poeta, della classe 1922, di un solo anno più giovane di Andrea Zanzotto, si legge che nel “periodo del suo apprendistato incisero anche, sulla sua attività creativa le operazioni sperimentali del Gruppo ‘63 che si unì a Palermo nello stesso anno e che, tra gli altri, vide cimentarsi in elaborazioni di poesia nuova poeti come Porta, Sanguineti, Eco, ecc.”.
E da quell’esperienza un orientamento creativo libero, dall’ “ardito sguainamento della parola all’interno di nuovi pentagrammi espressivi, su cui impasta il materiale del suo poetare con inusitata cesellatura razionale, condensata di rifrazioni simboliche e, per ciò, di difficile interpretazione”.
Segue, nel racconto di Aliberti, il Cattafi che si accosta alla “cosiddetta linea lombarda”. Pertanto, come altri uomini della Sicilia e del meridione d’Italia, un poeta della diaspora che si colloca, nel dopoguerra, a Milano, rinascente, sotto il profilo economico e culturale, con i suoi uomini, oggi mutati ab illis. Qui le varie formazioni dilaganti della poesia ermetica, ma Cattafi tende a curare creatività poetiche proprie, non influenzate in seguito ai numerosi viaggi in Paesi europei. Protagonisti, nelle sue scritture poetiche, i luoghi - e non potevano eludersi - della Sicilia, di quella parte mitica, omerica virgiliana, che inizia dallo Stretto tra Scilla e Cariddi e si completa con il piccolo suggestivo arcipelago delle Eolie e il promontorio di Tindari e l’area della terra di Cattafi, di vive occasioni poetiche, Terme Vigliatore.
Le sillogi poetiche di Cattafi Nel centro della mano(1951); Partenza da Greenwich (1955); Le mosche del meriggio(1958); L’osso, l’anima(1964);L’aria secca del fuoco (1972);La discesa al trono (1975); Marzo e le sue Idi(1977); L’allodola ottobrina (1979), sono state parecchio lette negli anni passati, pure quelle postume, Chiromanzia di inverno (1983); Segni(1986) ed Occhio e oggetti precisi. Quest’ultima, editata a vent’anni dalla morte di Cattafi.
Si colga dal nostro saggista il seguente tratto con il quale commenta un testo poetico di Cattafi. “Allora, la realtà”, egli scrive, “continua a manifestarsi come un groviglio caotico di disintegrazioni, dentro cui è impossibile alla parola fissare un ordine. Né serve la limpidezza espressiva a bloccare l’astrattezza oggettuale che, malgrado pressanti conati di estrapolazioni del contesto di una congrua evidenziazione non riesce ad attenuare la disastrosa valutazione”.
Il testo, dai versi più brevi che lunghi, s’intitola “Come vanno le cose”. Recita: “Ti spiattello in faccia /come vanno le cose: /vanno male. // Benché abbia perso lo spirito o la lettera / della fede in quella /sfera che tu conosci, /sono ancora inquieto.// Non mi tornano i conti, le misure, il modo / che ha il mondo di girare.// Ti faccio l’esempio dei consunti/ oggetti: i caldi i cogniti/ compagni delle nostre stanze /con qualcuno congiurato a mio danno/ mutato volto,/ stranieri appena giunti a questa soglia,/ allusivi e furbi, /ammiccanti con strane luci negli occhi,/ missive minacciose nelle mani.// E la foglia caduta / che un giorno colsi col piede e feci mia/ si è staccata, / mi svolazza intorno mi rinfaccia / un corpo pesante / il passo del mio piede”.
Molto tersa in assoluto l’interpretazione della silloge L’allodola ottobrina, da dove ci deriva un poeta ripiegato su se stesso, più intimo e pessimistico.
Questa fatica, infine, di cui si dovrebbe ancora dire, mentre rinfresca la memoria del poeta siciliano, completa il quadro dovizioso saggistico di Carmelo Aliberti, iniziato con una interpretazione a Fontamara di Ignazio Silone del 1977. Un modo di insegnare ai giovani nelle Scuole di vario indirizzo come leggere l’opera.



Sabato 11 Ottobre,2014 Ore: 11:50
 
 
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