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www.ildialogo.org BELTÀ IN POESIA A LIMINA,di Franco Casati

BELTÀ IN POESIA A LIMINA

di Franco Casati

Per conto dell’editrice venezuelana Editorial Melvin, un’interessante pubblicazione di una scelta dei canti appartenenti alla tradizione popolare liminese, dal titolo Rose di poesia, viene proposta al lettore da Sebastiano Saglimbeni, poeta siciliano di Limina (Messina), trapiantato al Nord Italia quasi da una vita, e da tanti anni a Verona, dove ha svolto la propria attività di insegnante di lettere nelle scuole superiori. E’ rimarchevole il fatto di come un poeta affermato, che si è sempre espresso in lingua, e anziano, quale il Nostro, si sia umilmente chinato a rivisitare i poeti siciliani di Limina, della sua terra natale, di quei cantori che hanno affidato il loro estro poetico a una tradizione orale che si è trasmessa per generazioni, espressione di una cultura subalterna rispetto a quella delle classi dominanti, ma animata da un’ispirazione spontanea e schietta, dal calore e dal sapore della terra natale, da quelle eterne radici alle quali, con evidente intento, rivolge l’attenzione il Saglimbeni per ritrovare le fonti autentiche della sua stessa poesia.
Il soggetto prevalente di questi canti è la donna, l’antica chimera d’amore, il richiamo della sua bellezza e femminilità, fonte di un travagliato sentimento amoroso, della nostalgia, del desiderio di possesso, di quel tesoro che non viene negato nemmeno ai poveri. I canti popolari liminesi, almeno nella scelta dei dodici effettuata da Saglimbeni, con relativa lettura e puntuale commento, con traduzione in italiano dello stesso Saglimbeni, in spagnolo di Eligio Restifo e in inglese di Sebastiano Calabrò, ruotano attorno a questo universo femminile, dal quale scaturiscono quei sentimenti che hanno alimentato la poesia, si potrebbe dire da sempre, come sottolinea lo stesso autore di questa piacevolissima antologia, evidenziando come essi (i poeti di Limina) “sentivano , come se fossero ritornati alle radici dell’anima, alla stessa maniera del greco-siculo Teocrito”. E in altro luogo del suo saggio introduttivo “Dialetto come identità” Saglimbeni afferma ancora: “Alcuni anni fa, i canti amebei delle egloghe virgiliane, che ho provato a volgere più volte, per alcuni editori, nella nostra lingua, mi avevano stranamente ricondotto a quelle ‘canzuni’ che erano state eseguite a Limina e che avevano di seguito alimentato pure la mia vena di poeta”.
A titolo esemplificativo cito alcuni di questi versi delle ‘canzuni’, perché il lettore di queste mie brevi note possa farsene un’idea: “Lu nostru amuri no’ finisci mai,/picchì semu d’accordu tutti dui” (nella sua apparente semplicità una affermazione più che categorica, dettata dalla forza del sentimento d’amore); “Spunta lu suli e, tu, bella, t’affacci/ e lu trattini cu li ta billizzi ( un incipit che si fissa nella mente come l’immagine di una divinità solare); “L’amuri è na catina forte assai:/ tu sula, bella, rùmpiri la poi”. ( che la dice lunga sul legame amoroso); “Partiti, littra mia, parti e camina, no’ diri unni va’ cu ti cumanna;/ vattinni’nni dda rosa lissantrina,/ chidda che teni ncatinata st’arma;”(un testo che ricorda da vicino la ‘Ballatetta’ di Guido Cavalcanti, arricchito altresì dal preziosismo di quel ‘rosa lissantrina’ di evocativo esotismo); “Quannu passu di ccà, sentu n’oduri,/ l’oduri di na rosa nta n-bicchèri;” (dove la donna amata si identifica col profumo stesso, oltre che con la bellezza, della rosa).
Spero che i pochi versi citati bastino a esemplificare la bellezza di questa poesia cosiddetta ‘popolare’.
L’interesse di Saglimbeni per il dialetto si era anche manifestato per l’attenzione che egli aveva rivolto all’opera del veronese Dino Coltro, che in Paese perduto aveva raccolto la tradizione orale dei contadini della Bassa veronese in tutte le manifestazioni della loro vita e cultura. Non tralasciando di esplorare, a suo tempo, l’opera di Pier Paolo Pasolini, del quale riporta l’affermazione, a proposito del dialetto:” Il dialetto è come la mammella di una madre a cui tutti hanno succhiato, ed ora ci sputano sopra…”.
Ma c’è anche una matrice ‘colta’, della tradizione letteraria italiana, che non sfugge all’analisi di un frequentatore della letteratura qual è stato il Saglimbeni nei suoi lunghi anni di insegnamento
perché egli afferma ancora: “Il tema delle ‘canzuni’ riconduce alla Scuola Poetica Siciliana, del ‘Contrasto’ di Cielo d’Alcamo e della lirica ‘Meravigliosamente’ di Jacopo da lentini, nella quale viene iterato l’aggettivo ‘bella’ rivolto alla donna,e, successivamente, del Dolce Stil Novo”.
Nel contempo egli rende omaggio a chi, intensamente, ha studiato la cultura popolare liminese, ricordando il conterraneo Giuseppe Cavarra che interrogò gli anziani del paese “che custodivano l’oralità dei testi, e di trascrizioni di questi, in dialetto, e di commenti”.
Alla fine del volume di questa scelta antologica poetica liminese Saglimbeni pubblica alcune sue poesie, in lingua, che “contemplano il memoriale di immagini e di luoghi della terra liminese”. Effettivamente, risulta assai felice la rievocazione di momenti e di luoghi di questa terra, legata prevalentemente all’infanzia e alla giovinezza del poeta, dove i suoi versi a volte richiamano e si confondono con gli stessi della tradizione locale, a suggellare un’unione imprescindibile nel sangue e nella memoria, ma soprattutto nel sentimento e nell’amore per la cultura delle sue origini.
Va sottolineato, infine, come questo prezioso volumetto antologico si apra con una prefazione di Michele A. Nigro, filologicamente attenta e documentata, scandita da interrogativi ai quali egli stesso cerca di fornire una risposta. In primo luogo il Nostro si chiede che senso possa avere “recuperare lacerti di memorie popolari o contadine… in un’epoca, come la nostra, caratterizzata dal fenomeno della globalizzazione e dal più conformistico adattamento ai gerghi informatici…”.
La scienza si fa carico di una prima motivazione in quanto “l’universo dialettale sta interessando la comunità dei neuroscienziati e dei neurolinguisti”, prove statistiche alla mano.
Un altro interrogativo concerne il dialetto liminese, che a parere di Nigro lo si può definire come tale in quanto “variante locale del ‘sicilianu’, cioè di una lingua vera e propria, con regole grammaticali e sintattiche originali e doviziosa di apporti pre-classici, greci, latini, arabi, franco-normanni, gallo-siculi, spagnoli ecc”. Ai quali aggiungerei, a mio avviso, dei francesismi per averne rilevati nei testi, durante la lettura.
Il Nigro si dichiara, poi, sostanzialmente d’accordo con Sebastiano Saglimbeni nel rispondere positivamente e con dovizia di prove all’interrogativo riguardante le ascendenze colte di questa poesia popolare, che trova come modelli di riferimento la grande tradizione di un Cello d’Alcamo, quello della “rosa fresca aulentissima” e di un Jacopo da Lentini, quello dell’ “amor cortese”. Seguendo un suo percorso esplorativo il Nostro arriva a trovare delle significative affinità con la poesia popolare della Lucania, sua terra d’origine.
Concludo queste brevi note con le parole stesse di Michele A. Nigro, riferite a questo significativo lavoro di Sebastiano Saglimbeni:” Benissimo ha fatto dunque Saglimbeni a riproporci, sapientemente commentandole, queste liriche, nello spirito delle quali egli compiutamente si è rispecchiato, rammentandoci, secondo la passione civile che sempre ha animato la sua opera, che quegli Autori, se pure appartenenti a classi sfruttate ed emarginate, avevano saputo preservare un nobile lasciato, loro conferito da quei castelli (soprattutto delle Sicilia del Duecento) o da quei palazzi (soprattutto del continente e soprattutto di Napoli…”.



Venerdì 29 Agosto,2014 Ore: 14:29
 
 
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