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www.ildialogo.org PASOLINI IN RISPOSTA,di Sebastiano Saglimbeni

PASOLINI IN RISPOSTA

di Sebastiano Saglimbeni

“Ho imparato a scrivere intorno ai sette anni; sfortunatamente ho smarrito le mie prime poesie. Le avevo scritte in un piccolo notes che conservai per anni e andarono perse durante la guerra(…). Ho dimenticato che cosa ci fosse, in quei piccoli parti poetici(…)”.
“Il mio rapporto con il friulano è molto curioso, perché in realtà non è il mio dialetto natio. E non lo è neanche per mia madre. I friulani sono trilingui: in primo luogo friulani, ossia ladini; poi veneti, in quanto il veneto era la lingua della classe dominante, importata sotto la dominazione veneziana; e infine italiani” .
Due risposte, queste, tra tante, rivelatrici di un logico parlare di sé da parte di Pier Paolo Pasolini, intervistato a Roma nel 1968, “nell’arco di due settimane”, da Jon Halliday, storico e saggista inglese, che, durante gli anni trascorsi in Italia, insegnò all’Università della Calabria. Un libro, di oltre 200 pagine, editato di recente da Guanda, racchiude le molte domande di Halliday e le molte, spesso lunghe, riposte di Pasolini.
Il libro s’intitola Pasolini su Pasolini/ Conversazioni con Jon Halliday.
Ricordo quando l’inquieto scrittore Paolo Volponi, nel marzo 1976, mi invitò a Reggio Emilia, dove era stato organizzato un convegno sulla morte tragica ed oscura di Pasolini. Vi relazionavano persone molto vicine a Pasolini; tra queste, Laura Betti e lo stesso Volponi. Dalle relazioni era emersa, fra l’altro, una sorta di previsione riguardante i futuri contributi di studi che si sarebbero generati sul poeta, sullo scrittore e sul cineasta. Non pochi libri difatti d’allora, da quella morte fresca, sono stati divulgati in Italia e fuori, non poche traduzioni dell’intensa scrittura pasoliniana.
Nella prima risposta, l’intervistato parla, non senza orgoglio, della sua prima vocazione poetica scritta, ma smarrita; nella seconda spiega il suo esordio di autore in lingua friulana, non la lingua della madre, come tanti hanno creduto e scritto, ma quella dei contadini, con i loro figli, analfabeti strumentali, che egli aveva privatamente istruito. Tra questi- colgo l’occasione per ricordarlo-, il poeta vivente, oggi ottuagenario, Tonuti Spagnol, fervido seminatore di vive testimonianze sull’allora giovane Paolini a Casarsa con il fratello Guido, che, giovane partigiano, morirà a Porzüs ucciso dai partigiani allineati alla politica di Tito.
Sì, la lingua dei contadini, il cui mondo “è scomparso nei maggiori Paesi industrializzati, come la Francia e l’Inghilterra (lì non si può più parlare di una classe contadina nel senso classico del termine), in Italia esso sopravvive, pur avendo subito un declino negli ultimi anni”, risponderà Pasolini all’intervistatore, ornando il suo discorso con la citazione della madre, che “ ai suoi tempi doveva ancora andare a letto a lume di candela”.
E si rifletta come Pasolini più avanti si esprime nei confronti della cultura, la quale può provocare sensazioni più forti di “quelle provocate della natura”, in quanto, queste “vanno a formare la psicologia di una persona. E quando questa è formata, è difficile cambiarla: può evolversi, magari, ma resta sempre un fondamento fisso, ineliminabile”. Qui cultura come solida e profonda conoscenza, quella degli uomini liberi che, in tempi remoti e recenti, ha irritato il potere abietto e, per questo, venne e viene imprigionata e venne e viene perseguitato colui che l’ha detiene e la divulga.
Laddove le “conversazioni” trattano sul cinema, Pasolini racconta la vicenda di Accattone, che esprime la metafora di quella parte dell’Italia dal sottoproletariato delle periferie infime delle grandi città, come Roma. Va ricordato che il film, osteggiato, fu bloccato in sede di censura e ritirato da tutte le sale italiane. Tuttavia conseguì una sua consistente valutazione dopo che venne presentato
al Festival Internazionale del Cinema di Karlovy Vary in Cecoslovacchia ed ebbe il primo premio nel 1962. Ed altre storie sul famosissimo film, come quando, presentato il 31 agosto 1961, alla ventiseiesima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, venne contestato e, dopo, a Roma al cinema Barberini, un gruppo di giovani neofascisti, tentarono di bloccare la proiezione con il lancio di bottiglie di inchiostro contro lo schermo.
Pasolini, nella “conversazione” accenna solo ai guai e, fra l’altro, dice, sempre, a proposito del tema nel film, che la “borghesia ha sostituito al problema dell’anima, che è trascendente, la coscienza, che è una faccenda puramente sociale, mondana” e l’opera non ha “niente di piccoloborghese”. Ed altre puntigliose domande del saggista inglese, ed altre risposte secche, efficaci del cineasta italiano. Appassionante come Pasolini si esprime sulla scelta del personaggio, nel film Mamma Roma, di Anna Magnani, non scelta per farne una piccola borghese, ma per farne una “popolana con aspirazioni piccolo borghesi, e Anna Magnani non è affatto così (…). Volevo far risaltare l’ambiguità della vita di un sottoproletariato con una sovrastruttura piccoloborghese”. Oltre all’attrice
sopraddetta, risaltano, nelle risposte di Pasolini, i nomi di Sergio e Franco Citti, di Ninetto Davoli, i più prediletti.
Quindi, la “conversazione” prende gli altri punti del libro, dal 4 all’11, dai quali, ecco i film La ricotta, Comizi d’amore e La rabbia, Sopralluoghi in Palestina e Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini, La terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole?, Edipo re e Amore e Rabbia.
Le domande e le risposte si completano con gli argomenti riguardanti Stile di Lavoro, progetti teatro, Cinema e teoria, Appendice 1: Teorema. Il libro si chiude con una parte a sé, la testimonianza dello stesso Halliday, che è nellAppendice 2: I racconti di Canterbury. Halliday racconta che il regista Pasolini si trova in Inghilterra “per girare una trasposizione cinematografica dei Racconti di Canterbury”. Ed ancora qui altre domande, ad esempio, sul perché di questo film dopo ch’era stato realizzato di recente il Decamerone e v’era in progetto Le mille e una notte. Le risposte, in numero di 4, sono molto esaurienti.
Si accennava sopra a Il Vangelo secondo Matteo. Pasolini ad una domanda, fra l’atro, risponde dicendo che “era la cosa più adatta a me, anche se non credo alla divinità del Cristo, perché la mia visione del mondo è religiosa, improntata a una religione mutila perché non ha nessuna delle caratteristiche esteriori della religione, ma è tuttavia una visione religiosa del mondo, e perciò per me fare Il Vangelo è stato il culmine del mitico e dell’epico”. E con compiacimento ricorda che i personaggi nel film sono stati “tratti dal sottoproletariato agricolo e pastorale del Sud”.
Infine, questo titolo dell’editrice Guanda ci fa rivivere un uomo che, nel secolo scorso, ha interpretato, con i suoi diversi strumenti, le passioni brute dell’uomo. Che sono quelle di oggi, di sempre, di questa Italia attuale. Per questo, Pasolini oggi è più amato.



Lunedì 10 Marzo,2014 Ore: 16:47
 
 
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