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www.ildialogo.org Dal Dio delle immagini antropomorfe e del Catechismo di Pio X al silenzio del grande assente-presente nel sacrificio di Dietrich Bonhoeffer,di Carlo Castellini

Recensione
Dal Dio delle immagini antropomorfe e del Catechismo di Pio X al silenzio del grande assente-presente nel sacrificio di Dietrich Bonhoeffer

di Carlo Castellini

Questo l'invito di Gilberto Squizzato contenuto nel suo ultimo saggio dal titolo “Il Dio che non e' Dio”, dei Fratelli Gabrielli editori di san Pietro in Cariano di Verona


Si possono dire cose vecchie, con linguaggio vecchio; si possono illustrare le stesse con linguaggio nuovo. Si possono spiegare idee nuove, con linguaggio vecchio; oppure si possono presentare idee nuove con parole nuove.

E' quest'ultima via che intende percorrere il nostro scrittore e pensatore GILBERTO SQUIZZATO, che entra nelle librerie italiane con questo titolo del suo ultimo saggio “IL DIO CHE NON E' DIO”, edito dai fratelli GABRIELLI di Verona, che hanno una piccola ma qualificata casa editrice a San Pietro in Cariano in provincia di Verona.

L'autore, che vive a Busto Arsizio, ma è originario di Padova, aveva già fatto comprendere, almeno in parte, quali sono i sentieri che intende percorrere per rendere il messaggio di GESÙ DI NAZARETH, più proponibile ai suoi figli, DAVIDE E GABRIELE, ed ai loro amici che vivono in pieno le contraddizioni e le istanze della cultura post-moderna. Ed aveva scritto “IL MIRACOLO SUPERFLUO”, dell'editrice sopra citata,“perchè possiamo dirci cristiani”.

Fa un certa impressione, anche oggi, vedere un laico, scrittore e critico, affrontare questi problemi, che si offre ai suoi lettori, con il frutto di studi prolungati, di appassionanti letture bibliche, di analisi teologiche e filologiche mai banali, che “osa” trattare argomenti che in genere richiedono la presenza del bisturi di teologi accademici, biblisti di professione, o teorici affermati nella fede.

Ma forse proprio per questo il suo saggio mantiene una sua fragrante freschezza, che non fa altro che aumentare il pregio di questo opuscolo, che in altri non trovi. Come ci ricorda anche ANDREA PONSO, che ne firma la prefazione, dall'alto della sua qualifica di traduttore di testi biblici, poeta e critico maturo e di spessore.

Il titolo è piuttosto chiaro e perentorio; ma non deve spaventare, tutto questo; perchè Squizzato prende sul serio le obiezioni dei post-moderni e non si sottrae alle domande di ispirazione laica e sente il pungolo della critica nichilista e denigratrice di PIERGIORGIO ODIFREDDI, il fisico e matematico che più volte ha definito i cattolici, piuttosto stupidi; forse perchè non sanno rendere ragione della fede che è in loro. Ecco perchè il nostro pensatore propone a noi lettori, con fare garbato e mano spedita, di percorrere il tracciato del suo discorso che si dipana chiaro e si sviluppa in itinere arricchendosi di esperienze e idee, e di contributi di altri pensatori, per giungere ad alcune riflessioni conclusive, di comune utilità per lui, per noi, per la comunità cristiana, ma anche per i non credenti, che rimangono sempre sullo sfondo, del suo modo di pensare.

Il titolo sottende anche altre ansie: ci vuole ricordare con quanta facilità e superficialità in passato, ma anche al presente, abbiamo parlato di Dio, della sua natura, con una mentalità pratica, antropomorfa e miracolistica quasi fosse “onnipresente”, “onnisciente”, “onnipotente” senza diventare oggi capaci di “credere rinunciando ad ogni immagine del divino”. Due atteggiamenti che a volte sottendono due testi, due scuole di pensiero, due liturgie, due teologie che a ben guardare sono angli antipodi. Poiché secondo il nostro autore, l'uomo è fatto a immagine di Dio; ma dimentichiamo spesso che Dio non è fatto a immagine dell'uomo. Da qui nascono le deformazioni del pensiero antropomorfo, con tutte le conseguenze negli altri campi, (liturgie, catechesi, preghiere, pensieri).

All'inizio il nostro rimane colpito da un'esperienza di dolore e propone l'immagine sofferente e devastata dell'amico PADRE DAVIDE MARIA TUROLDO, Servo di Maria; il quale non chiede al suo Dio, di guarirlo dal cancro che lo divora, (ma cerca di vedere Lui nella sua assenza), e lo propone a tutti noi per introdurci nel tema del “SILENZIO DI DIO”, come Presenza- Assenza.

Poi, non può fare a meno di ricordare la efficace testimonianza, con grande salto di qualità, di DIETRICH BONHOEFFER, nostro fratello e grande teologo protestante, che in pieno regime razzista, alimentato da ADOLF HITLER, dopo aver partecipato a due attentati per eliminare il tiranno, si fa impiccare nel campo di sterminio di Flossenbourg, per rendere testimonianza al suo Dio. Una grande figura, di cristiano, che non chiede di essere liberato nel momento i cui il cappio gli strozza la gola e ne deforma il viso, ma accetta la volontà di questo Dio, assente (nella vecchia concezione), ma presente (per lui).

Anche ROSINO GIBELLINI, piamartino, già ideologo, filosofo e teologo, finissimo intellettuale della Casa Editrice Queriniana di Brescia, creatore della rivista CONCILIUM, aveva trattato di questo problema, in una serata tenuta presso la sala della Biblioteca della Cooperativa Cattolica Democratica di Cultura, di via Pace, 10 a Brescia. Per quella occasione avevano portato la loro testimonianza LUCIANO MONARI, Vescovo di Brescia, e GIUSEPPE LARAS Rabbino (3)Capo della Sinagoga di Milano. In quella occasione si erano chiesti:”Dove era Dio ad Auschwitz”? Ed ognuno aveva cercato di dare delle risposte credibili; Monari attingendo soprattutto all'esperienza di Hetty Illesum; e il rabbino capo attingendo a testi biblici e provocando anche i presenti chiedendosi:”Dove era l'uomo ad Auschwitz”?

Senza ricorrere all'idea di un Dio-tappabuchi, che non piace oggi sia a credenti che non credenti, perchè incolpare Dio per il suo silenzio, quando l'uomo in quello stesso momento, ha abdicato ad ogni forma di ragione? Verrebbe spontaneo chiedere, nella vecchia maniera di pensare, infantile, anropomorfa, “perchè non è intervenuto Dio a fermare le mani dei gerarchi fascisti, corrotti e carnefici? Così altre domande incominciano ad affiorare:”Perchè Gesù è stato mandato sulla croce se era innocente? Perchè non è sceso dalla croce?”

Acettare questo silenzio, sapendo che dentro questa solitudine, lui, il Dio ineffabile, indicibile, si rivela, noi diventiamo adulti nella fede e superiamo il livello del nostro infantilismo religioso ed antropomorfo. Ecco perchè al nostro autore piace ricordare un altro grande della cultura e della teologia del nostro tempo RAIMUND PAMIKKAR (1918-2010).

E' stato filosofo, gesuita, che nasce a Barcellona, da madre cattolica, di famiglia catalana, e da padre indiano, induista, che dirà di sé:”Non mi considero mezzo spagnolo e mezzo indiano; mezzo cattolico e mezzo indù; ma totalmente occidentale e totalmente orientale”.

Approfitta della citazione di questo grande filosofo e teologo per aprire il capitolo forse più impegnativo del suo saggio. Che cosa significa affermare che Dio non è Dio? Possiamo tentare di riassumere il senso di questa domanda e del problema ad essa sotteso:”La parola “dio” secondo l'autore, non è un nome proprio ma un nome comune. Non è quindi esatto, nella lingua italiana, l'uso di questa parola con la maiuscola e senza l'articolo......Quando perciò scriviamo “Dio”, usiamo una figura retorica per indicare il “dio” per antonomasia dei cristiani, ebrei, mussulmani, che è anche unico”.

Gli fa da sponda RAIMUND PANIKKAR, il quale afferma come “Theòs” è un nome generico, che indica un evento, un evento divino. Con la diffusione del cristianesimo il termine generico, fu attribuito al Padre di Gesù di Nazareth. Mentre nella redazione ebraica, si usa ancora il nome proprio Jahvè, che ha un senso personalistico. Il termine fu adottato dal cristianesimo per indicare per designare il Padre di Gesù, è appunto il nome generico “dio” che non evidenzia l'aspetto della divinità, ma mette in rilievo il dinamismo di un evento divino. Il nome comune “dio” finì con l'assumere la funzione di nome proprio di Dio per antonomasia”.

Queste, per tanti di noi, potrebbero sembrare quisquilie di nessun valore; ma per il nostro invece, potrebbero aprire nuovi orizzonti, per un cambio di cultura mentale, per l'adozione di nuovi linguaggi. Ma rimane per noi il fatto che non riusciamo a liberarci dai nostri nostri limiti di linguaggi, che hanno bisogno di immagini, di metafore per indicare realtà che non percepibili dall'ambito dei nostri sensi.

Ecco perchè a questo punto il nostro ci fa accostare, attraverso l'esperienza di Mosè e del roveto ardente, al Dio della Bibbia”il dio non dicibile, che non ci rivela il Suo nome, perchè anche Jahvè non è un nome proprio, ma lascerà piuttosto percepire, solo la relazione che ha con l'uomo” e che possiamo solo definire “luce divina”, che sta vicina al credente, ma non si lascia possedere neppure con un nome”.

Rimango piuttosto sorpreso e stupito davanti ad alcune disquisizioni linguistiche secondo cui la derivazione linguistica e il significato della parola “dio” derivi dal sanscrito e non da altra lingua; e come le riflessioni linguistiche sulla parola “ruah” (Spirito, pneuma, soffio, respiro), che l'autore maneggia con piacere quasi feticistico, diventino per lui passaggi obbligati per comprendere quelli successivi, o per comprendere testi biblici in maniera più ricca e adeguata. Questo camminare su sentieri di un purismo linguistico per giungere a concepire un “dio” che non si può immaginare, che non si può dire, che non si può rappresentare. Il tentativo cioè di evitare le metafore antropomorfe, per non cadere in tautologie. Ma l'uomo finito – dico io - è costituito di spazio e tempo, e quindi non può trascendere la sua situazione, se non per metafore o facendo uso di tautologie che voleva evitare.(Ndr)

Da qui l'invito del nostro al silenzio, alla contemplazione del Mistero, dell'Indicibile, dell'Ineffabile, del non Rappresentabile. In questo mi trovo d'accordo quando invita al silenzio rispettoso dell'uomo davanti a dio, perchè si ritrova povero di concetti e di immagini che in questi anni hanno riempito a dismisura la nostra testa e il nostro immaginario collettivo.

Mi ricorda, questa riflessione, una mia esperienza personale, quando alcuni decenni fa, mi trovavo in Francia per ricerche di studio sulla mia tesi; ed ero entrato per curiosità nella sinagoga di Le Havre. Rimasi piuttosto sorpreso e sconcertato al sentirmi immerso quasi sperduto e disorientato in un enorme salone, pieno di (5) sedie, senza nessuna immagine sulle pareti, un tavolo spoglio davanti all'assemblea e forse uno, due, candelabri ebraici. Ne ebbi una impressione negativa, abituato com'ero stato, alle liturgie, ai canti, ricchi di colori e di vivacità musicali ed espressive.

Da qui l'autore riprende il suo viaggio verso altre riflessioni collegate che trovano ancora spazio nei sui capitoletti brevi ma sapidi; quanto basta per catturare l'attenzione del lettore senza tediarlo. Ci si sofferma volentieri sull'esperienza di Dio vissuta ai mistici della sppiritualità cristiana della grande Teresa d'Avila e di San Giovanni della Croce; nei quali evidenzia il loro disorientamento e annullamento di fronte all'oceano in cui si trovano della contemplazione della grande Luce.

Ma poi ti distrae per un attimo sulla digressione linguistica del MUEIN, termine greco, inteso come “balbettio confuso dello smarrimento, l'incespicarsi delle parole, il farfugliare della lingua che emette dei suoi confusi che possono esprimere insieme terrore, meraviglia, spavento, ammirazione, stupore, esaltazione, disorientamento”. Da qui la parola “mistica” e “mistico” e con tutto ciò che ha a che fare con questa esperienza limite; e “mistici” vengono definiti coloro che fanno dell'esperienza dello smarrimento che si sperimenta nel silenzio, che è la cifra diversa del loro incontro con l'Ineffabile.

Mi fermo qui. Non vorrei sprecare con la mia fretta di concludere, la freschezza di idee e riflessioni pertinenti l'argomento, sul quale potremo tornare in tempi più opportuni. Ci sono altri accattivanti capitoletti da indagare perchè sono sempre arricchenti. La lettura dei quali è resa graduale dal garbo dell'autore, cui piace dialogare, che non vuole imporre il suo pensiero. Anzi! Sembra quasi voglia attendere una riposta dal suo lettore reale o ipotetico. Così, non ostante riesca a spiazzarti più volte.

“Perchè invece di imbastire tante tavole rotonde e aprendo dibattiti politici, nessuno si interroga sul mistero di Dio che non risponde ad un sofferente? Così testimonia di lui CHRISTIAN RAIMO (1975).

Squizzato, dice ancora RAIMO,”si pone domande di questo tipo. Se le pone senza farsi sconti sulle contraddizioni logiche di una teologia spesso troppo indulgente con un metodo filosofico”.

In conclusione, quale e quanto fieno porta in cascina il lettore di questo libro? a) anzitutto è un libro che si lascia leggere con una certa facilità, sia per la chiarezza narrativa che per il linguaggio discorsivo, innervato su una certa logica stringente, spesso collegata alla realtà laica;

b) non ha la pretesa di essere e proporsi come un libro dogmatico; ma intende liberare da alcune incrostazioni storiche e linguistiche alcune immagini di Dio che con la pretesa di veicolare verità immutabili, lascia tutti noi in una sorta di infantilismo culturale, psicologico e di comportamenti;

c)pensatori, scrittori, filosofi e teologi ricordati per inciso o citati per esteso, sono persone di grande spessore culturale e fortemente estimolanti per profondità di pensiero e anche di coerenza umana e spirituale;

d)l'autore non è autoreferenziale, non impone il suo pensiero; ma sembra quasi interpellare il suo, lettore reale o ipotetico quasi per sollecitarne una risposta;le riflessioni non sono quasi mai fini a sé stesse, ma pongono delle domande che sollecitano comunque delle risposte.

Forse per questo motivo, prima o poi, si ritorna a riprendere in mano il saggio di GILBERTO SQUIZZATO, che esige risposte almeno nell'arco di tempo psicologico; e ti dà quasi l'impressione, di avere dialogato con una persona, più che avere letto un libro di cultura.

(CARLO CASTELLINI)

 



Martedì 27 Agosto,2013 Ore: 16:25
 
 
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