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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Della Terra, il brillante colore,di <b>Federico La Sala</b>

Segnalazione libraria
Della Terra, il brillante colore

Parmenide, una “Cappella Sistina” carmelitana con 12 Sibille (1608), le xilografie di Filippo Barberi (1481) e la domanda antropologica


di Federico La Sala

Federico La Sala

Della Terra, il brillante colore

Parmenide, una “Cappella Sistina” carmelitana

con 12 Sibille (1608),

le xilografie di Filippo Barberi (1481)

e la domanda antropologica

Prefazione di Fulvio Papi

Edizioni Nuove Scritture

Pagg. 156 € 15.00

Per richieste a:

latoestremo@gmail.com

maxluciani@katamail.com

federicolasala@tin.it

Ed.Nuove Scritture

Tel. 02-9462323

“Il luogo di inizio è nella chiesetta di S. Maria del Carmine, a Contursi, dove, a causa di recenti restauri, viene scoperto un poema pittorico (tempera su muro) di un ignoto carmelitano dell’inizio

del ’600. Il testo raffigura le Sibille che annunciano al mondo pagano la prossima nascita del Cristianesimo. Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale

che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo. Ne deriva un’immagine del mondo come presenza divina nella quale abita l’uomo come unità di corpo e anima.”

(Dalla Prefazione del filosofo Fulvio Papi)




Giovedì 27 Giugno,2013 Ore: 19:01
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2013 22.51
Titolo:ALLA SOPRINTEDENZA DI SALERNO ... LETTERA APERTA
LETTERA APERTA

ALLA SOPRINTEDENZA per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Salerno e Avellino

CH.MO SOPRINTENDENTE

Egr. dott. Miccio

Le scrivo, in riferimento allo stato della Chiesa di Maria SS. del Carmine di Contursi Terme. Del restauro di questa chiesa (convento carmelitano dal 1561 al 1652), dopo il terremoto del 1980, se ne sono occupati i tecnici della Soprintendenza, il dott. Domenico Palladino e la dott.ssa Maria Giovanna Sessa: i lavori furono conclusi nel 1989 (scheda restauro - pdf, in fondo).

Purtroppo, dopo molti anni di totale incuria, la sua situazione ora sta precipitando paurosamente. Solo per darle un’idea, Le ho qui allegato una foto relativa allo stato attuale del tetto (si veda, qui, in fondo).

Uno scenario orribile: non sono cresciute solo erbacce che intasano il corretto deflusso delle acque e che poi vanno ad infiltrarsi nel muro (con conseguenti danni - già disastrosi ed evidenti all’interno), ma si è avviato anche il cedimento dell’orditura che tiene l’intero manto delle tegole!!!

Anche se non sono un tecnico, è facile supporre che la situazione andrà peggiorando anche da un punto di vista strutturale con pericolo per la privata e pubblica incolumità.

All’interno, la parete sinistra (ormai fradicia di umidità e sempre più ricoperta di muffe verdeggianti) sta perdendo tutti i suoi preziosi affreschi (12 Sibille) portati alla luce dai lavori di restauro.

Entrando, e avanzando verso l’altare a Sx: 1. Sibilla PERSICA, 2. Sibilla LIBICA, 3. Sibilla DELFICA, 4. Sibilla CUMEA [CHIMICA], 5. Sibilla ERITREA, 6. Sibilla [SAMIA]
- a Dx: 7 Sibilla CUMANA, 8. Sibilla LESPONTICA, 9. Sibilla FRIGGIA,10. Sibilla TIBURTINA,11. Sibilla E[V]ROPEA, 12. Sibilla EGIPTIA
- In alto, dietro e sopra l’altare, una Pala del 1608 di Jacopo de Antora, con - sotto a sx, - il Profeta Elia, - e a dx, il profeta Giovanni Battista, in alto, sulla nuvola, - Maria con il Bambino, e alle loro spalle, - le colline del Carmelo, con chiese e grotte... (si veda, in fondo, tavola sinottica)

Tenga presente che le Sibille presenti sono 12 (al contrario della volta della Cappella Sistina di Michelangelo, ove ne sono rappresentate solo 5 con 7 profeti) e che questa grande novità ovviamente non è di poco rilievo per la storia dell’arte e della storia culturale e religiosa italiana.

Sulle "decorazioni parietali di modesta fattura e complessa lettura" (come accennato dai dott. Palladino-Sessa nella loro relazione), si veda la documentazione presente nel mio lavoro: Federico La Sala, Della Terra, il brillante colore. [...]

In particolare, è bene ricordarlo: "Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo".

Il mio unico desiderio è che il prezioso lavoro fatto dalla stessa Sovrintendenza non vada assolutamente perduto! E che questa bandiera della cultura tardo-rinascimentale piantata nell’area salernitana non ricada per sempre nell’oblio (o, diversamente, nel fango).

Mi auguro che Ella possa intervenire quanto prima, per sollecitare e contribuire a salvare il salvabile.

La ringrazio vivamente della sua attenzione e La saluto

Federico La Sala (12.03.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/6/2013 21.44
Titolo:nel libro tutte le 28 xilografie del Barberi del 1481....
- Rubati due preziosi incunaboli
- di cui uno ha un valore di 24 mila euro

Mostra del libro antico con furto

- Nel corso della diciannovesima edizione alla «Permanente».
- Si tratta di due volumi stampati nella seconda metà del 1400

MILANO - Sono due rari volumi, entrambi stampati nella seconda metà del 1400, i libri rubati stamattina poco dopo l’apertura al pubblico della diciannovesima mostra del libro antico in corso alla «Permanente» di via Turati a Milano. Da due stand peraltro vicini all’ingresso sono spariti due preziosi volumi di piccole dimensioni: il primo è un testo di medicina di Marsilio Officino, «De Triplici vita» stampato a Parigi nel 1506 per il quale era richiesto un prezzo di 6 mila euro. Secondo il catalogo della mostra il volume (10 cm x 15) è il quarto esemplare completo al mondo dei sette esistenti in totale. Stampato in carattere romano su una sola colonna, senza illustrazioni, e scritto in latino con copertina in pelle scura e incisione in oro di aquila su piatti.

IL SECONDO VOLUME - Ventiquattromila euro era invece il prezzo richiesto per una raccolta di scritti di Philippus Barberiis, professore di teologia e monaco domenicano. L’Incunabolo (18 cm per 12,5) è datato 1 dicembre 1481. Il volume, restaurato nell’800, è completo di illustrazioni e rilegato con una copertina di pelle nocciola. Era esposto, insieme ad altri libri antichi, nella vetrina dello stand della Libreria Antiquaria Philobiblon di Milano.

LA DINAMICA - I ladri hanno approfittato della grande affluenza di pubblico e hanno prelevato i volumi dalle vetrine aperte all’interno degli stand. «Purtroppo - ha spiegato uno dei titolari dello stand 10 lo studio bibliografico Ozzano dell’Emilia, Giuseppe Solmi - non è possibile custodire meglio i volumi perché i compratori devono poterli toccare e osservare da vicino». I ladri, tra le 11 e le 11.30, in rapida successione hanno quindi prelevato i due piccoli volumi dai due stand e si sono allontanati senza problemi. Secondo quanto si è appreso le opere rubate sono comunque coperte da assicurazione. La mostra, che ospita 38 stand, resterà aperta fino al 16 marzo.

* Corriere della Sera, 14 marzo 2008
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/7/2013 18.03
Titolo:ERMETISMO CRISTIANO. Le Sibille del mosaico di Siena che accompagnano Ermete
STUDI

Un saggio di Claudio Moreschini getta nuova luce sul percorso e sugli intrecci dell’ ermetismo cristiano e su come fu interpretato dal tardo mondo antico a Marsilio Ficino

Ermete, dio del discorso e del silenzio, araldo di una segreta salvezza

Una visione del mondo che affonda le sue radici nell’ antico Egitto, condannata da Agostino, custodita dai sapienti medievali

di Giovanni Filoramo *

STUDI Un saggio di Claudio Moreschini getta nuova luce sul percorso e sugli intrecci dell’ ermetismo cristiano e su come fu interpretato dal tardo mondo antico a Marsilio Ficino Ermete, dio del discorso e del silenzio, araldo di una segreta salvezza

Tra i simboli che hanno contribuito a fissare in immagini pregnanti il destino dell’ ermetismo, accanto al famoso pavimento a mosaico della cattedrale di Siena (XV sec.), in cui si condensa la millenaria tradizione cristiana (fu inaugurata agli inizi del IV sec. d.C. da Lattanzio) di un Ermete, contemporaneo di Mosè, profeta pagano del cristianesimo, merita di essere evocato un emblema di Achille Bocchi (1555).

Ermete, il dio del discorso, è rappresentato con in mano un candeliere a sette braccia, mentre con l’ indice dell’ altra mano fa segno di tacere. Segreto e divulgazione: ecco il paradosso, ricco di potenzialità, di una tradizione come l’ ermetismo, in cui fin dai primordi, legati al sorgere stesso della cultura ellenistica, si mescolano, in modo quasi indistricabile, le scienze occulte tipiche dell’ antichità (alchimia magia astrologia) e un sapere filosofico-religioso che aspira a portare all’ umanità l’ annuncio salvifico di una nuova pietà, una gnosi nutrita di devozione, una pia philosophia, come dirà poi Ficino.

Le straordinarie fortune di questa tradizione, capace di conservarsi nei secoli attraverso mille metamorfosi, dalle riletture cristiane tardo-antiche alle recentissime forme di neo-ermetismo che circolano negli ambienti della New Age, si muovono continuamente tra esoterismo e propaganda.

Una dialettica creativa cui fa da contraltare, sul piano dottrinale, una cosmo-teo-sofia: una tensione a conoscere il mistero del cosmo come unità in cui si manifesta, attraverso la molteplicità delle sue forme, la stessa unità del divino cui l’ uomo è invitato a partecipare.

Oggi si è sempre più d’ accordo nel riconoscere le radici egizie di questa visione del mondo. Si tratta di una struttura di pensiero capace di mediare tra spinta centrifuga di tipo politeistico e panteistico ed intima tensione centripeta verso un monoteismo inclusivista.

È stato, però, l’ ellenismo e la simbiosi da esso promossa tra varie tradizioni culturali a costituire il terreno più favorevole perché questa visione, di per sé esoterica, assumesse valenze soteriche e, sotto il patrocinio di un dio, il tre volte grandissimo Ermete-Thoth, si diffondesse attraverso una miriade di scritti, tra cui i trattati dell’ ermetismo filosofico (per una recente messa a punto si può vedere Scritti ermetici in copto, a cura di A. Camplani, Paideia).

In realtà, la linea di divisione, che un tempo appariva chiara e invalicabile, tra ermetismo filosofico ed ermetismo popolare non ha resistito a una serie di critiche. L’ intreccio tra scienza e magia, tra procedimento scientifico e visione religiosa, è un tratto tipico del pensiero antico.

Nel tardo-antico, così come poi, con le variazioni del caso, nell’ umanesimo, alchimia e magia si mescolano coi saperi filosofici, usando un nuovo linguaggio e attingendo parte del loro materiale dalle tradizioni filosofiche, ma nel contempo imprestando tecniche e immagini alchemiche e magiche per descrivere processi cosmogonici e psicogonici: un intreccio fecondo, che costituisce una ragione profonda della fortuna di questa tradizione.

La sua storia attende ancora l’ autore in grado di disegnarne il profilo complessivo, ricostruendone i tanti rivoli, senza però perdere di vista la corrente principale. Un significativo contributo in questa direzione viene oggi dal lavoro di Claudio Moreschini (Storia dell’ ermetismo cristiano, Morcelliana, Brescia).

Senza pretese di esaustività in un campo in cui ancora molto vi è da dissodare e sulla base di una serie di lavori precedenti dedicati in particolare a Marsilio Ficino e a Ludovico Lazzarelli (di cui in appendice sono riportati alcuni testi fondamentali), l’ autore ha il merito, dopo aver ricostruito i tratti essenziali dell’ ermetismo tardo-antico e riassunto i temi fondamentali dell’ Asclepio, di abbozzare un profilo del modo in cui nell’ Occidente cristiano, sulla base soprattutto della traduzione latina dell’ Asclepio, nonostante le condanne di un Agostino, la figura di Ermete e i testi a lui attribuiti siano stati riletti, anche durante il Basso Medioevo, come una prefigurazione di aspetti fondamentali della rivelazione cristiana.

Come ricordano le Sibille del mosaico di Siena che accompagnano Ermete, la storia dell’ ermetismo medievale è anche storia dell’ intreccio con le innumerevoli tensioni profetiche che caratterizzano il Basso Medioevo. È così che lo vedrà un Ficino: non come un filosofo, ma come un profeta che preannuncia la futura rovina della religione egizia (e cioè del paganesimo) sulle cui ceneri nascerà una nuova fede. Aver contribuito a mettere in luce il fatto che questa fede ficiniana, così profondamente intrisa di succhi ermetici, fosse erede in realtà di una lunga tradizione medievale non è uno degli ultimi meriti del libro di Moreschini. Giovanni Filoramo

* Corriere della Sera, 8 ottobre 2000, Pagina 31
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2013 19.12
Titolo:SIBILLE E PROFETI, OGGI, E LA DOMANDA ANTROPOLOGICA INEVASA
Il papa, i non credenti e la risposta di Agostino

di Vito Mancuso (la Repubblica, 13 settembre 2013)

Qual è la differenza essenziale tra credenti e non-credenti? Il cardinal Martini, ricordato da Cacciari quale precorritore dello stile dialogico espresso dalla straordinaria lettera di Papa Francesco a Scalfari, amava ripetere la frase di Bobbio: “La vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa”.

Il che significa che ciò che più unisce gli esseri umani è il metodo, la modalità di disporsi di fronte alla vita e alle sue manifestazioni. Tale modalità può avvenire o con una certezza che sa a priori tutto e quindi non ha bisogno di pensare (è il dogmatismo, che si ritrova sia tra i credenti sia tra gli atei), oppure con un’apertura della mente e del cuore che vuole sempre custodire la peculiarità della situazione e quindi ha bisogno di pensare (è la laicità, che si ritrova sia tra gli atei sia tra i credenti).

Gli articoli di Scalfari e soprattutto la risposta di papa Francesco esemplare per apertura, coraggio e profondità, sono stati una lezione di laicità, una specie di “discorso sul metodo” su come incamminarsi veramente senza riserve mentali lungo i sentieri del dialogo alla ricerca del bene comune e della verità sempre più grande, cosa di cui l’Italia, e in particolare la Chiesa italiana hanno un enorme bisogno.

Rimane però che, per quanto si possa essere accomunati dalla volontà di dialogo e dallo stile rispettoso nel praticarlo, la differenza tra credenti e non-credenti non viene per questo cancellata, né deve esserlo. Un piatto irenismo conduce solo alla celebre “notte in cui tutte le vacche sono nere”, per citare l’espressione di Hegel che gli costò l’amicizia di Schelling, conduce cioè all’estinzione del pensiero, il quale per vivere ha bisogno delle differenze, delle distinzioni, talora anche dei contrasti.

È quindi particolarmente importante rispondere alla domanda sulla vera differenza tra credenti e non credenti, capire cioè quale sia la posta in gioco nella distinzione tra fede e ateismo. Pur consapevole che sono molti e diversi i modi di viverli, penso tuttavia che la loro differenza essenziale emerga dalle battute conclusive della replica di Scalfari al Papa: “Quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie. Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista”.

“Scimmia pensante... bestia da cui proveniamo”: queste espressioni segnalano a mio avviso in modo chiaro la differenza decisiva tra fede e non-fede. Per Scalfari noi proveniamo da una “bestia” e quindi siamo sostanzialmente natura animale, per quanto dotata di pensiero; per i credenti, anche per quelli che come me accettano serenamente il dato scientifico dell’evoluzione, la nostra origine passa sì attraverso l’evolversi delle specie animali ma proviene da un Pensiero, e va verso un Pensiero, che è Bene, Armonia,Amore.

La differenza peculiare quindi non è tanto l’accettare o meno la divinità di Gesù, quanto piuttosto, più in profondità, la potenzialità divina dell’uomo. La confessione della divinità di Gesù è certo importante, ma non è la questione decisiva, prova ne sia che nei primi tempi del cristianesimo vi furono cristiani che guardavano a Gesù come a un semplice uomo in seguito “adottato” da Dio per la sua particolare santità, una prospettiva giudaico-cristiana che sempre ha percorso il cristianesimo e che anche ai nostri giorni è rappresentata tra biblisti, teologi e semplici fedeli, e di cui è possibile rintracciare qualche esempio persino nel Nuovo Testamento (si veda Romani 1,4).

Peraltro il dialogo con l’ebraismo, così elogiato da papa Francesco, passa proprio da questo nodo, dalla possibilità cioè di pensare l’umanità di Gesù quale luogo della rivelazione divina senza ledere con ciò l’unicità e la trascendenza di Dio. Naturalmente tanto meno la differenza essenziale tra credenti e non-credenti passa dall’accettare la Chiesa, efficacemente descritta dal Papa come “comunità di fede”: nessun dubbio che la Chiesa sia importante, ma quanti uomini di Chiesa del passato e del presente si potrebbero elencare che non hanno molto a che fare con la fede in Dio, e quanti uomini estranei alla Chiesa che invece hanno molto a che fare con Dio.

Il punto decisivo quindi non sono né Cristo né la Chiesa, ma è la natura dell’uomo: se orientata ontologicamente al bene oppure no, se creata a immagine del Sommo Bene oppure no, se proveniente dalla luce oppure no, ma solo dal fondo oscuro di una natura informe e ambigua, chiamata da Scalfari “bestia”.

Un passo di sant’Agostino aiuta bene a comprendere la posta in gioco nella fede in Dio. Dopo aver dichiarato di amare Dio, egli si chiede: “Quid autem amo, cum te amo?”, “Ma che cosa amo quando amo te?” (Confessioni X,6,8). Si tratta di una domanda quantomai necessaria, perché Dio nessuno lo ha mai visto e quindi nessuno può amarlo del consueto amore umano che, come tutto ciò che è umano, procede dall’esperienza dei sensi.

Nel rispondere Agostino pone dapprima una serie di negazioni per evitare ogni identificazione dell’amore per Dio con una realtà sensibile, e tra esse neppure nomina la Chiesa e la Bibbia, che appaiono così avere il loro giusto senso solo se prima si sa che cosa si ama quando si ama Dio, mentre in caso contrario diventano idolatria, idolatria della lettera (la Bibbia) o idolatria del sociale (la Chiesa), il pericolo protestante e il pericolo cattolico.

Poi Agostino espone il suo pensiero dicendo che il vero oggetto dell’amore per Dio è “la luce dell’uomo interiore che è in me, là dove splende alla mia anima ciò che non è costretto dallo spazio, e risuona ciò che non è incalzato dal tempo”. Dicendo di amare Dio, si ama la luce dell’uomo interiore che è in noi, quella dimensione che ci pone al di là dello spazio e del tempo, e che così ci permette di compiere e insieme di superare noi stessi, perché ci assegna un punto di prospettiva da cui ci possiamo vedere come dall’alto, e così distaccarci e liberarci dalle oscurità dell’ego, da quella bestia di cui parla Scalfari che certamente fa parte della condizione umana ma che, nella prospettiva di fede, non è né l’origine da cui veniamo né il fine verso cui andiamo.

Occorrerebbe chiedersi in conclusione quale pensiero sull’uomo sia più necessario al nostro tempo alle prese come mai prima d’ora con la questione antropologica. Ovviamente da credente io ritengo che la posizione della fede in Dio, che lega l’origine dell’uomo alla luce del Bene, sia complessivamente più capace di orientare la coscienza verso la giustizia e la solidarietà fattiva.

Se infatti, come scrive papa Francesco, la qualità morale di un essere umano “sta nell’obbedire alla propria coscienza”, un conto sarà ritenere che tale coscienza è orientata da sempre al bene perché da esso proviene, un altro conto sarà rintracciare nella coscienza una diversa origine da cui scaturiscono diversi orientamenti.

Se non veniamo da un’origine che in sé è bene e giustizia, se il bene e la giustizia cioè non sono da sempre la nostra più vera dimora, perché mai il bene e la giustizia dovrebbero costituire per la nostra condotta morale un imperativo categorico? In ogni caso sarà nell’assumere tale questione con spirito laico, ascoltando le ragioni altrui e argomentando le proprie, che può prendere corpo quell’invito a “fare un tratto di strada insieme” rivolto a Scalfari da papa Francesco nello spirito del più autentico umanesimo cristiano, e accolto con favore da Scalfari nello spirito del più autentico umanesimo laico.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/9/2013 19.26
Titolo:I PROTOCOLLI DI ERMETE TRISMEGISTO
I protocolli del Trismegisto

La differenza tra vero e falso non interessa chi parte già dal pregiudizio, dalla voglia, dall’ansia che gli venga rivelato un mistero

di Umberto Eco (L’Espresso/"La bustina di Minerva", 12 maggio 2005)

Sino a oggi chi voleva studiarsi il "Corpus Hermeticum" (su un’edizione critica, con testo a fronte, non attraverso le innumerevoli confezioni da strapazzo che ne circolano nelle librerie di scienze occulte) aveva a disposizione la classica edizione delle Belles Lettres, a cura di Nock e di Festugière, apparsa tra 1945 e 1954 (un’edizione precedente era quella di Scott, Oxford, 1924, in traduzione inglese).

È bella impresa editoriale che oggi il "Corpus" appaia da Bompiani, nella collana diretta da Eugenio Reale, riprendendo sì l’edizione critica delle Belles Lettres, ma aggiungendovi cose che Nock e Festugière non potevano conoscere e cioè alcuni testi ermetici dai codici di Nag Hammadi - di cui la curatrice Ilaria Ramelli ci offre a fronte, per chi volesse proprio controllare, il testo copto.

Anche se queste 1.500 pagine vengono offerte a soli 35 curo, sarebbe snobistico consigliarle come un libro che tutti possono divorarsi prima di prender sonno. È un insostituibile e prezioso strumento di studio, ma coloro che degli scritti ermetici volessero soltanto assaporare il profumo potrebbero accontentarsi dell’edizione di uno solo di questi, il "Poimandres", cento paginette edite da Marsilio nel 1987.

La storia del "Corpus Hermeticum" è in ogni caso appassionante. Si tratta di una serie di scritti attribuiti al mitico Ermete Trismegisto - il dio egizio Toth, Hermes per i greci e Mercurio per i romani, inventore della scrittura e del linguaggio, della magia, dell’astronomia, dell’astrologia, dell’alchimia, e in seguito addirittura identificato con Mosé. Naturalmente questi trattati erano opera di autori diversi, vissuti in un ambiente di cultura greca nutrita di qualche spiritualità egizia, con riferimenti platonici, tra secondo e terzo secolo dopo Cristo.

Che gli autori siano diversi è ampiamente dimostrato dalle numerose contraddizioni che si trovano tra i vari libelli, e che fossero filosofi ellenizzanti e non preti egizi è suggerito dal fatto che nei trattatelli non appaiono riferimenti consistenti né alla teurgia né ad alcuna forma di culto di tipo egizio.

Che questi testi potessero avere un fascino su molte menti assetate di nuova spiritualità è dovuto al fatto che, come annota Nock nella sua prefazione, rappresentavano «un mosaico di idee antiche, spesso formulate per mezzo di allusioni brevi... e prive di logica nel pensiero quanto erano prive della purezza classica nella lingua». Come vedete (accade anche per molti filosofi moderni) il borborigmo è fatto apposta per scatenare la deriva infinita delle interpretazioni.

Questi trattatelli (salvo uno, "Asclepio", che da secoli circolava in latino) erano rimasti a lungo dimenticati sino a che un loro manoscritto non era pervenuto a Firenze nel 1460, in periodo umanistico, proprio quando ci si volgeva a una saggezza antica e precristiana. Affascinato, Cosimo de’ Medici ne affida la traduzione a Marsilio Ficino, che intitola l’opera "Pimandro", dal nome del primo trattatello, e la presenta come opera autentica del Trismegisto, fonte della più antica delle sapienze a cui non solo lo stesso Platone, ma la stessa rivelazione cristiana avevano attinto. Ed ecco che inizia la straordinaria fortuna e influenza culturale di questi scritti. Come diceva Frances Yates nel suo libro su Giordano Bruno, «questo enorme errore storico era destinato a produrre risultati sorprendenti».

Ora accade che nel 1614 il filologo ginevrino Isaac Casaubon dimostri con argomenti inoppugnabili che il "Corpus" altro non era che una raccolta di scritti tardo ellenistici - come ormai oggi non mettiamo in dubbio.

Ma la storia veramente straordinaria è che la denuncia di Casaubon rimane confinata agli ambienti degli studiosi, ma non scalfisce di un millimetro l’autorità del "Corpus". Basta vedere lo sviluppo di tutta la letteratura occultistica, cabalistica, mistica e - appunto - "ermetica" dei secoli successivi (sino a insospettabili autori del nostro tempo): si è continuato a considerare il "Corpus" come prodotto, se non proprio del divino Trismegisto, almeno di sapienza arcaica su cui giurare come sul Vangelo.

La storia del "Corpus" mi tornava in mente un mese fa, quando era apparso "The Plot" di Will Eisner (New York, Norton): Eisner, uno dei geni del fumetto contemporaneo (scomparso proprio mentre il libro era in bozze) racconta per testo e immagini la storia dei "Protocolli dei savi anziani di Sion".

La parte interessante del suo racconto non è tanto quella della fabbricazione di questo falso antisemita, ma proprio quello che è accaduto dopo, quando il "Times" nel 1921 e poi tutti gli studiosi seri hanno dimostrato e scritto dappertutto che si trattava di un falso. Direi che è proprio da allora che i "Protocolli" hanno intensificato la loro circolazione in tutti i paesi e sono stati presi ancora più sul serio (basta andare per Internet...).

Segno che, si tratti di Ermete o dei i savi di Sion, la differenza tra vero e falso non interessa chi parte già dal pregiudizio, dalla voglia, dall’ansia che gli venga rivelato un mistero, qualche sconvolgente preludio in cielo o all’inferno.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2013 12.18
Titolo:DONNE E UOMINI, SIBILLE E PROFETI, OGGI ....
Anche gli uomini recitano il rosario

di Katie Grimes (Adista” - documenti - n. 33 del 28 settembre 2013)

Il mese scorso, di ritorno dal suo celebratissimo viaggio in Brasile, papa Francesco ha espresso alcuni commenti a braccio, producendo reazioni in tutta la blogosfera cattolica. Pur riaffermando il perenne divieto della Chiesa all’ordinazione delle donne, il papa ha fatto appello a ciò che ha definito «una vera e profonda teologia delle donne nella Chiesa».

In molti hanno accolto con favore le sue parole, interpretandole come prova del suo apprezzamento per il genere femminile. Ma io non sono così sicura che dovremmo leggere queste parole come “una buona notizia”. Il problema sembra esattamente l’opposto di ciò che papa Francesco ha sostenuto. Io non biasimo la mancanza di questa “teologia delle donne”, ma il fatto che tanti rappresentanti della Chiesa la considerino necessaria.

Prima di lui, Giovanni Paolo II aveva già tentato di delineare “una teologia delle donne” con la sua lettera apostolica del 1988 Mulieris dignitatem, individuando due dimensioni della vocazione delle donne: la maternità di stile mariano e la verginità. Tuttavia, piuttosto che criticare questa specifica teologia delle donne, voglio individuare i problemi legati ai presupposti di tale progetto.

La ricerca di una teologia delle donne, sostengo io, rende queste ulteriormente estranee, ponendole sotto la luce circoscritta dello sguardo maschile. Perché nessun papa ha mai scritto una lettera sul ruolo degli uomini nella Chiesa e nella società? O ha mai riflettuto su una “teologia dei maschi”?

La risposta è semplice: i papi non hanno mai messo in discussione il significato teologico del loro sesso, perché il potere ha trovato nella mascolinità la propria giustificazione. Esercitando il potere sociale ed ecclesiale, i maschi hanno voluto dare l’impressione di legiferare in quanto esseri umani. Gli autori del Magistero hanno anche utilizzato la parola “uomini” per indicare l’intera specie umana: le donne possono essere uomini, ma gli uomini non possono mai essere donne. Le donne non sono mai il metro di paragone, rappresentano l’eccezione.

Ciò vale per tutti i gruppi socialmente potenti. Ad esempio, negli Stati Uniti, i tradizionali opinionisti hanno sempre fatto riferimento alla costante supremazia bianca nel Paese non come al “problema bianco”, ma come al “problema nero”, o alla “questione razziale”. Allora come oggi, il fatto di essere bianco appare normativo, scontato e subliminale. Solo i neri devono spiegarsi. Invece di chiedere una «vera e profonda teologia delle donne», avrei preferito che il papa invocasse una critica più incisiva del sessismo, della misoginia e dell’androcentrismo. Invece di una teologia più profonda delle donne, avrei voluto che riconoscesse la necessità di più teologia fatta dalle donne.

Un papa non ha mai scritto una lettera affermando la dignità della popolazione maschile, anche perché questa non è mai stata messa in dubbio. La Chiesa ha sempre onorato e rispettato la dignità della mascolinità. Noi di solito dobbiamo affermare esplicitamente la dignità solo di quei gruppi a cui essa viene negata nelle vicende concrete della vita quotidiana.

Analogamente, il posto degli uomini nella Chiesa è stato dato sempre per scontato: sembra così ovvio da non dover essere discusso. Ma se papa Francesco parla della mancanza di un’adeguata teologia delle donne, vuol dire che 2000 anni non sono stati sufficienti per capire ciò che Dio vuole per le donne. Come può essere? Cosa c’è di così difficile da capire delle donne?

Forse gli autori contemporanei del Magistero considerano le donne così fastidiosamente complesse perché mirano all’impossibile: la produzione di una teoria che le renda sostanzialmente e complessivamente diverse dagli uomini, ma fondamentalmente uguali a loro. Le autorità cattoliche non hanno mai trovato questo problema così complicato. Tommaso d’Aquino ha dedicato una sola quaestio (ST 92 I.) in tutta la sua Summa alla discussione esplicita sulle donne. Ha parlato più spesso degli angeli che della “donna”.

Per gran parte della sua storia, la Chiesa non ha avuto bisogno di giustificare la sua fede nella supremazia maschile dinanzi a un coro di scettici. Le società in cui la Chiesa era inserita erano in genere d’accordo con loro. Gli autori cattolici hanno dunque investito la maggior parte delle risorse della retorica ecclesiale nella difesa della posizione della Chiesa su punti controversi.

Nel XX secolo, però, qualcosa ha iniziato a cambiare. La fede della Chiesa nella superiorità degli uomini rispetto alle donne non è sembrata più così ovvia. Nel tentativo di difendere la Chiesa da un fiorente movimento per i diritti delle donne, Pio XI ha scritto nel 1930 la Casti Connubii. Riaffermando la condizione dell’uomo come capo famiglia, ha insistito sull’importanza della sottomissione coniugale delle mogli, criticando aspramente tutti coloro che sostenevano «essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro» e che «i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali».

Quando Giovanni Paolo II è stato eletto, tali proclami erano caduti in disgrazia anche presso le donne cattoliche più conservatrici. I vecchi insegnamenti non erano più difendibili. Capovolgendo le posizioni, Giovanni Paolo II ha affermato l’incondizionata uguaglianza di donne e uomini per la prima volta nella storia della Chiesa.

Ma questo non ha risolto tutti i problemi. Non volendo in alcun modo aprire il sacerdozio a “uomini di genere femminile”, la Chiesa aveva bisogno di giustificare la sua intenzione di continuare a riservare l’ordinazione solo agli “uomini di genere maschile”. E dal momento che il divieto in relazione al sacerdozio femminile aveva sempre poggiato in maniera piuttosto decisa sull’evidente disuguaglianza delle donne rispetto agli uomini, la Chiesa si è trovata in un vicolo cieco. La complementarità sessuale, che fonda il sacerdozio esclusivamente maschile sulla differenza sessuale, piuttosto che sulla disuguaglianza sessuale, è diventata la soluzione a questo problema.

Tale ideologia divide sempre più il discepolato in base a criteri sessuali, sottolineando nelle donne l’iconica rappresentazione di Maria e negli uomini la rappresentazione di Gesù. Solo gli uomini possono stare sull’altare in persona Christi, perché Gesù Cristo era un uomo. Una “teologia del corpo” che tenta di attribuire importanza teologica e ontologica agli organi riproduttivi. Cosicché il significato di “donna” e di “uomo” può essere colto nel funzionamento eterosessuale dei loro organi genitali.

Nel suo libro del 2010, In cielo e in terra, l’allora cardinal Bergoglio ha descritto perfettamente questa linea di pensiero: «La tradizione fondata teologicamente vuole che ciò che è sacerdotale passi per l’uomo. La donna ha un’altra funzione nel cristianesimo, riflessa nella figura di Marta. È colei che accoglie, colei che contiene, la madre della comunità. La donna ha il dono della maternità, della tenerezza: se tutte queste ricchezze non si integrano, una comunità religiosa si trasforma in una società non solo maschilista, ma anche austera, dura ed erroneamente sacralizzata. Il fatto che la donna non possa esercitare il sacerdozio non significa che valga meno dell’uomo. Nella nostra concezione, in realtà, la Vergine Maria è superiore agli apostoli. Secondo un monaco del II secolo, tra i cristiani esistono tre dimensioni femminili: Maria, come madre del Signore, la Chiesa e l’Anima. La presenza femminile nella Chiesa non è stata sottolineata molto perché la tentazione del maschilismo non ha permesso di dare visibilità al ruolo che spetta alle donne nella comunità».

Giovanni Paolo II presenta nella Mulieris dignitatem una descrizione più completa di Maria come icona della femminilità. Come «il nuovo principio» della dignità e della vocazione della donna, di tutte le donne e di ciascuna, vanificando la disobbedienza di Eva. Attraverso il suo “fiat” liberamente esercitato, Maria ha la funzione di «rappresentante e archetipo di tutto il genere umano». In questo, «rappresenta l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne». Ma «d’altra parte, l’evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla “donna”, Maria: l’unione tra madre e figlio». Allo stesso modo in cui Maria agisce come un modello per le donne più che per gli uomini, così Gesù serve da modello per gli uomini più che per le donne. «Proprio perché l’amore divino di Cristo è amore di Sposo», argomenta Giovanni Paolo II, «esso è il paradigma e l’esemplare di ogni amore umano, in particolare dell’amore degli uomini-maschi».

I papi identificano giustamente la gravidanza come una capacità unica delle donne, ma interpretandola in modo teologicamente discutibile. Stando a loro, ci troviamo nella strana posizione di sostenere che il semplice possesso di un utero fornisce alle donne una più intensa esperienza di unione corporale con Dio rispetto a quanto possa fare un uomo. Tuttavia, se Maria ha effettivamente raggiunto l’unione con Dio portando il Figlio di Dio nel suo corpo, e se unicamente le donne possono rimanere incinte, nessuna donna prima o dopo Maria ha mai dato vita a Dio. La gravidanza di Maria si pone come un evento storico unico e irripetibile. (...). Contrariamente a quanto sostenuto dal papa, con la sua gravidanza Maria rivela la sua differenza da tutte le altre donne almeno tanto quanto la sua somiglianza come loro rappresentante. Nessuna donna, tranne Maria, è giunta all’unione del corpo con Dio attraverso la gravidanza. Esattamente come gli uomini cattolici, le donne cattoliche vivono l’unione corporale con Dio durante l’Eucaristia.

Dobbiamo affrontare un altro problema. Giovanni Paolo II crede che Maria e Gesù rappresentino un modello di genere per una seconda ragione. La femminilità, sostiene Giovanni Paolo II, esprime una passività essenziale, mentre la mascolinità incarna l’attività. «Lo Sposo è colui che ama. La Sposa viene amata: è colei che riceve l’amore, per amare a sua volta».

Ma il “sì” di Maria alla gravidanza è davvero così diverso dal “sì” offerto da Gesù nel giardino del Getsemani? Entrambi i “fiat” sono stati una risposta di sottomissione alla volontà di Dio. Proprio come Maria ha accolto la gravidanza, così Gesù ha accettato la crocifissione. (...). Sia Maria che Gesù rispondono all’amore offerto da Dio e dicono di sì con i loro corpi. Come spose, accettano il dono del loro amante e lo restituiscono con i loro corpi. Seguendo lo schema di Giovanni Paolo II, Dio Padre ha amato sia Maria che Gesù in modo maschile e sia Maria che Gesù lo hanno riamato in modo femminile. (...).

Le donne non rappresentano né un problema da risolvere né un mistero da spiegare. Contro la volontà di papa Francesco di attribuire alle donne una categoria teologica a se stante, affermiamo l’esistenza di un solo discepolato e di una sola salvezza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/10/2013 20.53
Titolo:LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA
LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA

di Michele Zarrella *


- Recensione del libro di Federico La Sala
- DELLA TERRA IL BRILLANTE COLORE
- Parmenide, una ”Cappella Sistina” carmelitana con 12 Sibille (1608), le xilografie di Filippo Barbieri (1481) e la domanda antropologica
- Edizioni Nuove Scritture, Milano 2013, pp. 156, € 15,00


Un libro di eccezionale rarità che tenta a grandi linee, di mettere in evidenza una inedita prospettiva di ricerca e una possibile via di uscita da duemila e più anni di labirinto: un’ontologia non più zoppa e segnata dalla cieca cupidigia del sapere-potere, ma chiasmatica e illuminata dal sapere-amore.

Il luogo di inizio del ’viaggio’ è dalla chiesetta di S. Maria del Carmine (monastero carmelitano dal 1561 al 1652) di Contursi Terme (SA), e dall’antica Elea (Velia, Ascea), ma subito ci si trasferisce a Firenze, a Rimini, a Siena, a Roma, e, infine, fuori dal pianeta Terra, da dove, finalmente, è possibile vedere "il brillante colore"! Il pianeta in cui viviamo non è una caverna e, con lo sbarco sulla Luna, ora tutti lo sappiamo - anche fisicamente! Siamo tutti nella stessa barca e che siamo tutti fratelli, ... è ora di cambiare strada, di riorganizzare e riformulare tutto il nostro sapere - a partire da questa nostra nuova consapevolezza acquisita”: il pianeta è un granello nell’Universo ed è necessario un cambiamento radicale di prospettiva altrimenti non riusciremo mai a capire chi siamo.

La società moderna non può più accontentarsi di una filosofia e di una scienza ancora legate alla catena della dea Giustizia-Necessità di Parmenide e ancor più non deve contare sul sapere che il Platone o il politico di turno porta a noi prigionieri nella «caverna». Abbiamo preso coscienza di dove siamo nell’Universo e non possiamo più far finta di nulla. Sarà compito nostro mostrare come è la nostra casa: non era e non è né una caverna, né un’arena per gladiatori.

Sulla base di questa coscienza l’autore ci spinge a lavorare a una nuova cultura e a una nuova scienza che siano all’altezza del nostro orizzonte. “Non è più concepibile né possibile (il rischio è altissimo - la fine della nostra avventura, quella dell’intero genere umano) seguire le tracce di Parmenide, né di Platone.”

Il nostro orizzonte si è elevato e non è più possibile pensare che: «Per lo scienziato esiste solo l’essere, non il desiderio, il valore, il bene, il male, l’aspirazione» (Einstein, 1950). La posizione einsteiniana è parziale, unilaterale, e soprattutto pericolosa, perché ci fa vedere e agire - rispetto a noi stessi e rispetto agli altri e rispetto alla natura che ci circonda e sostiene - ancora con gli occhi e la mente di chi vede il pianeta Terra ridotto a un campo di guerra ove i mortali che nulla sanno giocano le loro battaglie. La Terra è di un colore brillante: è azzurra. «La Terra è blu [...] Che meraviglia. È incredibile», esclamò Jurij AlekseeviÄŤ Gagarin quando, il 12 aprile 1961, la vide, primo fra tutti gli uomini, dallo spazio.

Se vogliamo migliorare non è a Parmenide che dobbiamo pensare. Ma, se si vuole, a Talete, il quale sapeva che l’azzurro circondava la Terra. E Federico La Sala, al pari di Gagarin, ci invita ad uscire fuori a guardare dalla reale prospettiva la questione della nascita nostra, del nostro pianeta, del nostro sistema solare e del nostro Universo. La Sala si pone, al pari di Talete, la domanda delle domande: qual è il principio di tutte le cose? Questi sono i problemi così nasce la filosofia, così nasce il suo bellissimo libro DELLA TERRA IL BRILANTE COLORE.

Come Talete, La Sala riporta a galla dalle profondità oceaniche dell’essere i due problemi fondamentali del sapere (tutte le cose e il principio) e soprattutto sollecita a pensarli insieme. Spesso l’uomo moderno dimentica il secondo: il principio. L’autore, sulla base delle nuove conoscenze acquisite, invita a partire, anzi, a nascere nuova-mente - da capo, guardando al nostro ombelico e a ri-pensare l’Uno a partire dal Due. Noi (ognuno e ognuna) siamo uno ma siamo nati da due: nati da un uomo e una donna, e di entrambi siamo portatori non tanto e non solo dei loro geni, quanto e soprattutto lo spirito delle loro Unità.

E allora, conclude l’autore, il problema dei problemi non è più né quello metafisico («che cosa posso sapere?») né quello morale («che cosa devo fare?») né quello religioso («che cosa posso sperare?»), ma quello antropologico («che cos’è l’uomo?»).

Il problema dei problemi è rispondere alla domanda «chi siamo noi in realtà?» (Nietzsche). A questa domanda l’autore risponde in termini di speranza e di salvezza e ci invita a guardare al nostro ombelico, a qual è la nostra origine? Riconosciamoci, come siamo, figli di un uomo e una donna, di una maternità e di una paternità alla pari e che la Terra sia il luogo del nostro fiorire e non il luogo delle nostre dualistiche contrapposizioni e scissioni.

A tale permeante domanda non può rispondere solo un genere che domina sull’altro, ma insieme con le Due metà del genere umano. Solo così, con la parità, autonomia e dignità fra uomo e donna, potremo dar vita a una nuova antropologia (e, con essa, a una nuova scienza e, ovviamente, a una nuova politica) - oltre l’edipo e oltre il capitalismo - finalmente degna del nostro pianeta dal brillante colore.

Buona lettura.

Michele Zarrella

Gesualdo, 30-09-2013

* Il dialogo, Lunedì 30 Settembre, 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/11/2013 19.57
Titolo:OLTRE IL SACRO E LE RELIGIONI. ALLA RICERCA DI DIO....
ALLA RICERCA DI DIO. OLTRE IL SACRO E LE RELIGIONI. IL XXXIV INCONTRO NAZIONALE DELLE CDB


Adista Notizie n. 40 del 16/11/2013



37375. CASTEL SAN PIETRO (BO)-ADISTA. (dall’inviato) È la prima volta, negli oltre quarant’anni dalla nascita del loro movimento, che le Comunità Cristiane di Base scelgono Dio come “oggetto” di un loro incontro nazionale, il XXXIV, svoltosi a Castel San Pietro Terme dal 1° al 3 novembre scorso. A tutta prima, una contraddizione, visto che alla fine degli anni ‘60 la storia delle CdB iniziava proprio mentre si affermava la teologia della morte di Dio, si discuteva di alienazione religiosa e si rifletteva sull’affermazione della fede senza religione proposta da Bonhöffer. C’era, all’epoca, una certa diffidenza verso la teologia che si considerava scienza impegnata a investigare sull’esistenza di una realtà di cui nulla dice la ricerca scientifica e su cui si sono date, e si danno, definizioni le più disparate. Si preferiva allora guardare alla teologia “negativa” (di Dio si può dire solo che nulla si può dire) o a quella della liberazione, che incentrava sull’essere umano e sulla sua liberazione “l’evangelo” di Gesù e il messaggio della Bibbia.


Ma oggi siamo in un contesto storico ed ecclesiale radicalmente mutato, in cui prepotente è il “ritorno di Dio” e più in generale, un’attenzione al divino che si traduce in tanta parte della società laica e credente in una risposta al senso di smarrimento, alla mancanza di senso, alla difficoltà di leggere ed interpretare il presente in termini prettamente, se non esclusivamente, religiosi (è la religione, infatti, che si è sempre occupata di veicolare l’immagine di Dio). Valeva certo la pena da parte delle CdB di proporre la loro particolare lettura di Dio. Un Dio non consolatorio, ma la cui ricerca spinge ad un rinnovato impegno alla cittadinanza, lontano da stereotipi vecchi e nuovi, dall’immagine patriarcale come da quello tradizionale veicolato da secoli di teologia.



Si fa presto a dire Dio?


Forti anche dell’esperienza più che ventennale dei gruppi donne delle CdB italiane, che, insieme ad altri gruppi di donne, hanno avviato innovativi percorsi di ricerca e che sono state tra le organizzatrici e tra le animatrici del seminario, le CdB, nel corso del dibattito che ha caratterizzato i lavori del loro seminario nazionale – dal significativo titolo “Si fa presto a dire Dio…” – hanno così ribadito il loro saldo ancoraggio ad una visione militante della fede, alla preferenza per il Dio di Gesù, che non si fa attrarre da tentazioni “accademiche” o spiritualistiche. Soprattutto, il seminario ha ribadito l’istanza, portata avanti in questi anni soprattutto dalle donne delle comunità, di demistificare il modello di «Dio come uno, maschio, onnipotente, universale», per dare spazio, come è stato rilevato nel momento di spiritualità e condivisione di domenica 3 novembre, «ad una lettura aperta» in campo teologico, per «decostruire e rinominare un divino che supera concetti astratti come “trascendenza” e “immanenza”»; per «far nascere una relazione fra il divino che è in noi e quello fuori di noi, il “Dio” cosmico», che è sempre stata l’opzione radicale delle Comunità di base, oltre che di altre realtà ecclesiali di base.


In questo percorso di “riscoperta”, ma soprattutto di rivelamento di un Dio sottratto al monopolio del sacro, le CdB non sono sole. Anche “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, il cartello di realtà ecclesiali che diede vita al partecipato incontro al “Massimo” di Roma per i 50 anni dell’apertura del Vaticano II (settembre 2012), dedicherà il suo prossimo appuntamento (maggio 2014) ad una riflessione su quale Dio per quale Chiesa.


Importanti e significativi i contributi al convegno portati dai relatori “interni” ed “esterni” al movimento delle Comunità: nei tre giorni dei lavori sono intervenuti Giancarlo Biondi, ordinario di Antropologia all’Università de L’Aquila (il titolo della sua relazione era: “Prodotti dalla sola evoluzione”), Giulio Giorello, ordinario di Filosofia della Scienza all’Università di Milano (“Ateismo tra giustizia e libertà”), Luciana Percovich, scrittrice e ricercatrice della Libera Università delle Donne di Milano (“Dipanando il mito di Adamo ed Eva”), Letizia Tomassone, teologa e pastora valdese (“Al di là di Dio Padre. Il percorso di fede e di ricerca di Mary Daly”), i gruppi Donne delle CdB italiane e altri gruppi femminili/femministi (“Una sottile striscia di futuro”); Giovanni Franzoni, della CdB S. di Paolo, Roma (“Misericordia chiedo, non sacrifici. Come parliamo di Dio nelle CdB italiane”).



A confronto con chi non crede


Diversi i contributi al dibattito di studiosi e ricercatori non credenti. Tra essi, Biondi ha spiegato i meccanismi che regolano l’evoluzione all’interno delle specie viventi. Ha poi parlato del difficile rapporto tra la teoria darwiniana e la Chiesa istituzionale. Dalla condanna irrevocabile dell’800, all’accettazione dell’evoluzionismo da parte di Pio XII, che la considerava una ipotesi con la stessa dignità di quella creazionista; fino a Giovanni Paolo II, che accettava l’evoluzionismo asserendo che è più di un’ipotesi, ma escludeva che il criterio evoluzionista fosse integralmente applicabile all’essere umano, cui ad una natura biologica si affianca una natura non biologica, l’anima, che viene direttamente da Dio. Per Biondi tutto, anche i comportamenti morali, è frutto dell’evoluzione, perché legato alla dimensione sociale di molte specie animali. In particolare dei primati. Tra essi, e Biondi lo spiega con dovizia di esempi tratti da esperimenti scientifici fatti su animali in cattività, esiste un diffuso sentimento compassionevole che porta a stare vicini a chi soffre.


Giorello ha raccontato come il suo rapporto con la religione sia sempre stato molto conflittuale, sin da quando, «giovane e intemperante», era «drastico nel sostenere che la condizione del religioso è servile perché presume una forma di obbedienza a figure, istituzioni o tradizioni che è contraria all’attività scientifica». La religione come sottomissione aveva per Giorello la sola “giustificazione” storica di essere una schiavitù – indotta da abitudine, o volontaria – da mostrare alle persone che volevano essere libere affinché evitassero di ripeterne meccanismi e forme. Allo stesso modo però Giorello ha sostenuto con forza il rifiuto di una qualsiasi forma di “religione della scienza”, perché – ha detto – anche nel campo scientifico ci sono forme di opportunismo, dogmatismo, esistono lotte di potere, condizionamenti economici e politici che fanno degli scienziati uomini e donne come tutti gli altri. La religione come distruzione del dubbio e del pensiero critico, che Giorello ha detto di aver conosciuto sui banchi del liceo Berchet, durante le lezioni di religione cattolica tenute da don Luigi Giussani, è un modello da continuare a rifiutare con forza; ma a cui si può oggi contrapporre un dialogo franco e paritario tra chi sceglie di essere ateo come metodo, cioè per sondare quali possibilità si aprano a chi decida di procedere senza Dio e senza fondamenti teleologici, e quella parte dei credenti che, come ha mostrato il card. Carlo Maria Martini, prediligono il dubbio alla certezza, una religione positiva nel contesto di una società pluralistica.


Percovich, studiosa attiva nel movimento delle donne sin dagli anni ’70, ha indagato il mito ebraico di Adamo ed Eva collegandolo alle tantissime narrazioni fondanti dell’intera umanità, che chiamano in causa il tema del rapporto tra femminile e maschile. Le più antiche civiltà, ha sottolineato Percovich, hanno immaginato un’origine esclusivamente femminile, dove la Madre o la Dea, l’elemento femminile che rappresentava il ciclo della natura e dell’esistenza, il mistero della nascita e della riproduzione, dava la vita ma anche la forma, ossia quell’insieme di regole, insegnamenti e strumenti indispensabili per continuare la creazione. Attraverso la partenogenesi o una qualche emanazione di sé, questa prima Madre generava una o più figlie, poi i figli maschi, e tutte e tutti venivano educati all’armonia e all’equilibrio. Nel nuovo ordine patriarcale, l’energia femminile è stata progressivamente o traumaticamente compressa, marginalizzata finché, snervata e chiusa in gabbia, non ha più saputo fornire nessun insegnamento né contenimento.


I lavori, seguiti da oltre 170 persone, mostrano una forte vitalità del movimento delle CdB, nonostante siano molte le realtà ecclesiali nate in tempi recenti che non vi si riconoscono, anche se in alcuni casi esprimono istanze simili di partecipazione del Popolo di Dio nel cammino di una fede adulta, responsabile, liberante. Segno che la radicalità di una scelta che da oltre quarant’anni rivendica il diritto di essere Popolo di Dio fatto di cittadini e non di sudditi, dentro la Chiesa come nella società, produce ancora frutti. (valerio gigante)

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