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www.ildialogo.org Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia. Un volume e un convegno, curato da Angelo d'Orsi. Una nota di Leonardo Pompeo D’Alessandro - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

L'ITALIA E L'UNITA'. L’identità italiana con gli occhi di Antonio Gramsci...
Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia. Un volume e un convegno, curato da Angelo d'Orsi. Una nota di Leonardo Pompeo D’Alessandro - con alcuni appunti

Il progetto che ha portato al volume e all’incontro di Torino muove dall’idea che il tema fondamentale di tutto il pensiero di Gramsci sia il problema storico della nazione italiana. I 31 giovani studiosi che hanno contribuito alla sua realizzazione si sono confrontati sia con gli scritti giornalistici e politici che con la riflessione dei Quaderni del carcere, ricostruendo 52 profili di protagonisti della storia d’Italia (letterati, filosofi, politici) con i quali Gramsci ha dialogato dal 1915 al 1935. Si tratta infatti di quasi tutti gli autori italiani presenti nei suoi scritti.


a c. di Federico La Sala

 


MATERIALI  SUL TEMA (cliccare sui titoli, per andare ai testi):

 

ANTONIO GRAMSCI, SULLA "ZATTERA DELLA MEDUSA". Una lettera dal carcere: una grande lezione di vita, di pensiero, e di libertà  

PER GRAMSCI (COME PER KANT), TUTTO DA RIVEDERE. L’infinita scoperta di Gramsci. Un saggio di Angelo D’Orsi - con una premessa (fls)

 

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Profili di letterati e politici attraverso gli occhi di Gramsci

-  Un volume curato da una trentina di giovani studiosi 
-  e un convegno a Torino per discutere dell’identità dell’Italia

-  di Leonardo Pompeo D’Alessandro (l’Unità, 25.01.2012)

L’identità italiana con gli occhi di Antonio Gramsci. È stato il tema di un incontro svoltosi a Torino, organizzato da Angelo d’Orsi e promosso dall’Istituto Gramsci piemontese. Occasione del convegno è stata la pubblicazione del volume Il nostro Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia, curato dallo stesso d’Orsi ed edito da Viella. Il volume contribuisce a una messa a punto sul pensiero di Gramsci e consente di rivisitare, attraverso il suo pensiero, i processi che hanno condotto alla formazione dello Stato nazionale.

LA NAZIONE ITALIANA

Il progetto che ha portato al volume e all’incontro di Torino muove dall’idea che il tema fondamentale di tutto il pensiero di Gramsci sia il problema storico della nazione italiana. I 31 giovani studiosi che hanno contribuito alla sua realizzazione si sono confrontati sia con gli scritti giornalistici e politici che con la riflessione dei Quaderni del carcere, ricostruendo 52 profili di protagonisti della storia d’Italia (letterati, filosofi, politici) con i quali Gramsci ha dialogato dal 1915 al 1935. Si tratta infatti di quasi tutti gli autori italiani presenti nei suoi scritti.

Questi stessi personaggi sono stati al centro della giornata torinese, evocati dalla voce degli autori secondo il profilo tracciatone da Gramsci nei suoi scritti. Così, Petrarca, «l’intellettuale cosmopolita», ha potuto rivivere accanto ad un Foscolo «icona della retorica nazionale». Il «grande statista» Cavour accanto a Verdi, che ha saputo mettere in musica il «nazionale-popolare», e al letterato e «uomo di Stato» De Sanctis. Crispi, il giacobino «deteriore», accanto a Giolitti, «Machiavelli in sessantaquattresimo», e al meridionalista Fortunato, «conservatore», ma «illuminato». Il casto socialista e «colonialista di programma» Pascoli, col «fenomeno sociale» D’Annunzio; la «faciloneria di un linguista» come Panzini, con l’«ardito del teatro» Pirandello. E ancora, la riflessione sull’egemonia attraverso la figura di Croce, sui limiti dell’antigiolittismo attraverso Salvemini, e sul fallimento della classe politica liberale, attraverso Nitti, hanno potuto rivivere accanto alla figura del «geniale pagliaccio» Marinetti e dell’«onesto massimalista» Serrati. E, infine, il «gladiatorismo gaglioffo» di Gentile con un «intellettuale che non prende parte» come Prezzolini, col «capopopolo» Mussolini e col «camaleonte snob» Malaparte.

L’iniziativa si inserisce a pieno titolo nel dibattito sull’identità italiana sviluppatosi attraverso le innumerevoli iniziative che hanno caratterizzato le celebrazioni per il 150o anniversario dell’unità. L’individualità della figura di Gramsci viene così illuminata dalla sua riflessione su questi protagonisti e simboli della storia lunga della politica e della cultura italiana.

L’orizzonte concettuale entro cui ha preso corpo l’incontro torinese si individua nell’interesse che il Gramsci dirigente politico mostrava per la storia. Ciò è più evidente nelle note sul Risorgimento, in cui egli avvertiva che le sue ricerche erano finalizzate a un programma politico ed erano concepite «col fine di distruggere concezioni antiquate, scolastiche, retoriche, assorbite passivamente per le idee diffuse in un dato ambiente di cultura popolaresca», e suscitare «un interesse scientifico per le questioni trattate».

È quanto emerso nel corso della stessa presentazione del volume, per la quale sono stati chiamati a discutere, col curatore, Vera Schiavazzi e Giuseppe Vacca. Quest’ultimo, pur rimarcando l’assenza nel volume della riflessione di Gramsci sul ruolo dei cattolici nella storia d’Italia (emblematica la mancanza di una voce dedicata a Sturzo, fondatore del Partito popolare, la cui nascita Gramsci considerava «il fatto più grande della storia italiana dopo il Risorgimento») ha sottolineato l’originalità del contributo offerto dai giovani studiosi, che colloca il loro lavoro tra le migliori iniziative su Gramsci realizzate in questi anni.

RINNOVATO INTERESSE

Anche questo volume e questa iniziativa documentano l’ampiezza e la vivacità di una nuova stagione di studi gramsciani favorita anche dalla preparazione della Edizione nazionale degli scritti. Una stagione che ha riportato in Italia il centro propulsore degli studi dedicati a un classico del Novecento, uno dei pochi autori italiani sempre più letti, tradotti e studiati in tutto il mondo.

Grazie ai profili dei numerosi protagonisti della storia risorgimentale presenti nel volume, è possibile rileggere nella sua vera luce anche il dibattito sull’interpretazione del Risorgimento sviluppatosi nel secondo dopoguerra.

Lo stereotipo che ha attribuito a Gramsci la visione del Risorgimento come «rivoluzione agraria mancata», tuttora presente in volumi di carattere sia scientifico che divulgativo, fa risalire a Gramsci un’idea del Risorgimento che non fu sua e che, se mai, ha avuto come principale interprete in campo marxista Emilio Sereni.

La manifestazione è stata intervallata da musiche medievali e rinascimentali suonate da Antonio Gramsci Jr. e conclusa da un suo intervento che raccontava la scoperta del nonno cominciata venti anni fa in Italia quando, insieme a suo padre Giuliano, venne da noi per alcuni mesi e cominciò ad impadronirsi della nostra lingua.



Mercoledì 25 Gennaio,2012 Ore: 17:43
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/1/2012 13.03
Titolo:I DUE CARCERI. Un saggio di Franco Lo Piparo ...
L’altro carcere di Gramsci

"Il giallo del quaderno sparito che svelava le critiche al Pci"

Un saggio di Franco Lo Piparo ricostruisce una biografia parallela dell’intellettuale censurato e messo a tacere dal suo partito
L’edizione revisionata della sua opera in 33 volumi avrebbe "cancellato" il trentaquattresimo
Nel libro vengono trascritte molte lettere che mostrano, tra le righe, i rapporti sempre più difficili


di Nello Ajello (Repubblica, 28.01.2012)

Un romanzo storico e un romanzo a tesi. Sono i "generi" che s’intrecciano nel volume di Franco Lo Piparo, I due carceri di Gramsci, appena uscito per Donzelli. Mai come questa volta spiegare un titolo non sarà superfluo. La trama storica percorre il destino toccato all’esponente sardo che nel 1928 il Tribunale speciale fascista condannò a vent’anni di reclusione (ne avrebbe scontati sei, ovvero otto se si calcola la fase d’arresto preventivo). Ecco, invece, la tesi. Secondo l’autore, alla pena inferta a Gramsci si sarebbe aggiunta, dopo la concessione della libertà condizionata, una condanna al silenzio. La decretò, a suo danno, il partito di cui egli era stato a capo. Fu un altro carcere, metaforico, di cui Gramsci avrebbe sofferto fino alla morte, nell’aprile del ’37 (con una postilla finale in cui si avanza la tesi di un quaderno, l’ultimo, scomparso).

È in questa seconda direzione che si sviluppa la ricerca di Lo Piparo, un filosofo del linguaggio che con Gramsci si è più volte misurato. Egli illustra ogni passo degli scritti gramsciani che sorreggono l’assunto. Il quale, agli occhi di chi abbia familiarità con la figura del leader sardo, risulterà meno provocatorio di quanto prometta. È infatti lontano il tempo in cui veniva data per scontata la concordia fra i testi gramsciani e le posizioni di quel Pci che lo avrebbe assunto a proprio nume tutelare.

Ben presto il carattere strumentale dell’operazione era emerso fra gli studiosi. Non a caso un certo sentore, se non di liberalismo, certo di socialdemocrazia emergeva dagli scritti gramsciani, anche se questi erano stati revisionati da Togliatti con l’aiuto di intellettuali di comprovata ortodossia comunista. Non a caso sia Benedetto Croce a proposito delle Lettere dal carcere, sia un suo seguace indocile come Luigi Russo, avevano espresso su Gramsci un giudizio quanto meno comprensivo.

Basterà, d’altronde, scorrere la bibliografia che Lo Piparo include nel suo saggio per notare la presenza di studiosi che di Gramsci hanno posto in risalto l’eterogeneità rispetto alla liturgia staliniana. Vi si trovano, per esempio, Aldo Natoli, Carlo Muscetta, Paolo Spriano e Giuseppe Fiori. Di quest’ultimo aggiungerei all’elenco di Lo Piparo la monografia Gramsci Togliatti Stalin (Laterza, 1991), in cui viene documentato quel contrasto fra l’obbedienza di partito e il dovere della verità, che nell’autore dei Quaderni fu centrale.

Nelle pagine di I due carceri (sostantivo maschilizzato nel plurale con l’autorevole consenso di Tullio De Mauro) ciò che più conta non è la tesi generale, quanto l’insieme dei personaggi. Soprattutto due: Tania, la cognata di Gramsci, e Piero Sraffa. Essi rappresentano la metà d’un quadrilatero che presiede al passaggio di impressioni, invocazioni ed ukase fra "dentro" e "fuori" il luogo di pena. I terminali del tragitto sono Gramsci e Togliatti. Tania, che può avvicinare il prigioniero e forse prova amore per lui, ne trasferisce i messaggi a Sraffa, che li trascrive per Togliatti a Mosca. La stessa trafila funziona in direzione inversa.

Le censure, sia fascista sia bolscevica, trasformano le lettere, rendendole, a tratti, esemplari nell’arte del dire e non dire. Sraffa, intellettuale raffinato, amico di Togliatti ma vigile nei rapporti con il vertice sovietico e apparentemente opaco quanto a ideologia (sarà «un comunista coperto»?), rappresenta la parte più ardua del rebus. Tania è un interrogativo in forma di donna. Della sua «vita privata», scrive Lo Piparo, «si sa pressoché niente», se non che è «la meno comunista delle sorelle Schucht» (meno di Giulia, la moglie di Antonio, donna dalla psiche delicata, legata come le sue sorelle ai servizi segreti sovietici. Meno ancora si sa di Eugenia, considerata una "bolscevica" integrale). Trascritte e commentate da Lo Piparo, molte delle lettere di Gramsci, pur sottoposte a quegli arrischiati tragitti, conservano un fascino inquieto.

Non sapremmo, costretti alla brevità, quali scegliere tra le missive. In quella datata 27 febbraio 1933, Lo Piparo mette in rilievo la dichiarazione, da parte del prigioniero, della «propria estraneità, filosofica anzitutto, al comunismo»: e infatti sarà espunta da Togliatti nell’edizione del ’47 delle Lettere dal carcere. Ce n’è una del 14 novembre 1932 in cui il prigioniero comunica la sua decisione di divorziare da Giulia, madre dei suoi figli. Segna il massimo dell’emotività epistolare, esprimendo il doppio ruolo interpretato da quella donna nell’animo del recluso: è sua moglie ma, nota Lo Piparo, «è la Russia sovietica».

L’eco di un’altra lettera aleggia nel libro. La scrisse nel 1928, durante il processo Gramsci, l’alto esponente comunista Ruggero Grieco. Indirizzata a Mosca, dove risiedeva Togliatti, e poi spedita a Gramsci nel carcere di San Vittore, s’intrattiene sui casi del comunismo nel mondo. All’intellettuale sardo non sfugge però di essere lui il protagonista di quei fogli. Vi si sottolinea il ruolo centrale che egli ha svolto nel Pci. Il giudice istruttore del processo non mancherà infatti di osservare: «Onorevole, lei ha degli amici i quali certamente desiderano che rimanga un pezzo in galera». Un «atto deplorevolissimo» Gramsci avrebbe sempre giudicato la lettera di Grieco.

Nel complesso, quella tracciata da Lo Piparo è la parabola di un comunista a sé stante, di cui il partito volle reprimere ansie e anticonformismi. Il trattamento a lui riservato dopo la morte, con l’edizione revisionata dei suoi trentatré Quaderni (in una lunga postilla finale del volume emerge la possibile esistenza di un quaderno poi scomparso, il trentaquattresimo: per mano di chi?) resta un promemoria della perfidia di Togliatti. Quegli scritti - così si sarebbe espresso il segretario del Pci il 25 aprile 1941 - «possono essere utilizzati solo dopo un’accurata elaborazione»: solo così il partito li darà alle stampe.

Dopo non essersi troppo adoperato per liberare il suo ex-segretario dalle carceri fasciste, il Pci decise in ritardo di ricordarsi di lui onorandone la memoria. Ma l’interpretazione di Lo Piparo è, a questo riguardo, molto netta: un Gramsci libero, in era fascista, non avrebbe avuto lunga vita: «Un plotone di esecuzione o un attentato erano a portata di mano». Su questa linea è la conclusione dell’autore dei Due carceri di Gramsci: proprio perché opportunista, Togliatti salvò Gramsci. Al che non si sa bene che cosa replicare. A volte, in tempi politicamente atroci, c’è più verità in un paradosso che in cento professioni di fede.

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