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www.ildialogo.org IL TEMPIO PUO' CROLLARE: DON ANDREA GALLO LANCIA L'ALLARME. Un'intervista a cura di Malcom Pagani,a cura di Federico La Sala

DON ANDREA GALLO. Entrò in sacrestia nel ‘59 e oggi, l’ottantaduenne che irride l’anagrafe e ama le rose più del pane, si guarda indietro...
IL TEMPIO PUO' CROLLARE: DON ANDREA GALLO LANCIA L'ALLARME. Un'intervista a cura di Malcom Pagani

Ha lavorato, Don Gallo, alla luce fioca delle tenebre, per portare in superficie i dimenticati. I suoi amici sono diseredati, no global, clochard, detenuti. Lui dice che riconosce le loro lettere dai caratteri e dalla carta. Gli scrivono e il prete “comunista” ricambia, portando in libreria (in testa alla classica, per quanto valga) “Così in terra, come in Cielo”(Mondadori,135pag.,17 euro), istantanea di più di mezzo secolo fuori dalle regole.


a cura di Federico La Sala

intervista a don Andrea Gallo

Abbiamo sbagliato, il tempio può crollare

a cura di Malcom Pagani (il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2010)

Annusa, fiuta, scava. Uomo tra i cani, cane tra gli uomini. Poi si getta con la tonaca e le nere falde del cappello, nell’inesausta pozzanghera dei guai. Dagli anni ‘20, don Andrea Gallo li ha prediletti, accarezzati, risolti. L’amico di Fernanda Pivano “Ho appena conosciuto don Gallo e sono già incinta”, il fratello maggiore di Vasco e Manu Chao, il confessore di De André, il curato che fronteggia lacrimogeni, ingiustizie di Stato e pseudo-scomuniche, al pianto preferisce da sempre la musica della barricata. Entrò in sacrestia nel ‘59 e oggi, l’ottantaduenne che irride l’anagrafe e ama le rose più del pane, si guarda indietro.

Il sigaro perennemente acceso che adora le sfumature della follia, perché riconosce sagome conosciute senza dimenticare tutti i divieti che dalla metà degli anni ‘50, lo hanno messo sotto la lente del conservatorismo ecclesiastico, costantemente a disagio con una pecora del gregge, perennemente nera. Antiproibizionista convinto: “Se la Marijuana è sopravvissuta al Diluvio Universale, significa che Noè le aveva trovato posto sull’Arca”, Don-Don come lo chiamano tra i carrugi, abituati al tono della sua voce e al dialetto imbastardito con il latino, non si è legato alla schiera dei vincenti, dei troppi che sanno sempre come andrà a finire.

Ha lavorato, Don Gallo, alla luce fioca delle tenebre, per portare in superficie i dimenticati. I suoi amici sono diseredati, no global, clochard, detenuti. Lui dice che riconosce le loro lettere dai caratteri e dalla carta. Gli scrivono e il prete “comunista” ricambia, portando in libreria (in testa alla classica, per quanto valga) “Così in terra, come in Cielo”(Mondadori,135pag.,17 euro), istantanea di più di mezzo secolo fuori dalle regole. “Ho scelto Gesù a vent’anni, venivo dalla Marina Militare e dall’esperienza partigiana fuga e reazione dall’educazione clerico-fascista che recitava stanca il trittico dogmatico Roma-Berlino-Tokyo. Fu don Bosco a cambiarmi l’esistenza”.

A proposito di don Bosco, tempo fa, ne parlò con Berlusconi.

Mi fermò eccitato dopo una trasmissione con Santoro su Mediaset. “Don Gallo, sono stato allievo di don Bosco anche io’. Risposi Mi raccomando non lo evochi, rischia di rigirarsi nella tomba. Credo che nel tempo gli sia accaduto davvero.

Se si guarda intorno, cosa vede?

Città che non saranno mai a misura d’uomo, differenze, odio, paura. Io sono nato sul mare, noi genovesi siamo sempre stati curiosi di accogliere gli stranieri. Quando dico messa, ammonisco i fedeli.

In che modo.

Li guardo negli occhi: ‘Se non siete pronti a recitare il Padre Nostro quando uscite, non lo fate. Il santo benedetto non fulmina nessuno. Loro mi interrogano con lo sguardo e io continuo: ‘Tutti quelli che incontrerete tra mezz’ora, i cinesi, gli africani, saranno vostri fratelli. Se non siete disposti all’abbraccio, non proferite verbo. In fondo il mio precetto è sempre lo stesso.

Dica.

Sono venuto per servire e non per essere servito. È un biglietto da visita che non ho mai sostituito. Puttane, spacciatori, criminali comuni. Lei non gira le spalle. Qualche anno fa, ero ancora molto giovane, mi è capitato anche di rubare.

Scherza?

La notte, per quelli come me è sempre lunghissima. Mi capita di rientrare tardi, di confessare tassisti verbosi alle tre di mattina. Una volta incrociai una vecchia conoscenza. Stava caricando casse su un furgone, mi vede e pronto fa: ‘Ma voi preti non faticate mai?’ Così senza replicare, accendo un sigaro e mi metto a sollevare bauli e a infilarli sul camioncino. Due minuti dopo, a sirene spiegate, arrivò la polizia.

Conseguenze?

Avevano avuto una soffiata ma fortunatamente, quel commissario mi conosceva molto bene. Provai a scherzare: ‘Rimettiamo tutto a posto, non c’è bisogno di arrabbiarsi’.

Se le chiedessero le coordinate del suo viaggio sentimentale in direzione ostinata o contraria?

Non saprei tracciare un diagramma ordinato. Non credo nelle regole che strozzano l’istinto, nella coercizione, nella repressione. Quando ogni cosa diventa illegittima, la vera rivoluzione è l’illegalità.

Cosa la immalinconisce di più?

L’ipocrisia, il fariseismo, l’indifferenza, il fascismo che leggo tra le linee, nei piccoli gesti quotidiani, nel disprezzo gratuito. Io sono un miracolato. Resistenza, democrazia, Concilio Vaticano secondo. Ho rischiato di diventar matto a forza di tragedie. Ma al tempo stesso non voglio correre il rischio di negare a chiunque mi si pari davanti, due diritti fondamentali: alla non sofferenza e al piacere.

Suo padre era semianalfabeta.

Ferroviere di Campo Ligure. Un giorno, in uno dei tanti sotto le spire del Regime, portai a casa la pagella. In fondo c’era scritto: ‘Andrea Gallo, ariano’. Lui scosse la testa. ‘Si sono sbagliati, noi siamo razza di Campo’. Era ignorante ma aveva capito tutto. Come quelle maschere del teatro genovese che in occasione del tributo a De André, cercarono di confinare i suoi amici in piccionaia. C’era tutta la città in doppio petto. Notabili, miliardari, signore incipriate. Dori Ghezzi mi aveva riservato centinaia di biglietti.

I dipendenti erano terrorizzati.

Mi misi in mezzo e lasciai proscenio libero ai miei tossici, ai miei santi bevitori. Pellicce e barboni, l’uno al fianco all’altro. Un bel delirio.

Insidiò persino le poltrone ministeriali.

C’era Giovanna Melandri, e quel ragazzo, poverino, era diventato bianco dalla paura: ‘Qui no, assolutamente no, c’è il ministro’. E io pronto: ‘Le mettiamo accanto una bagascia delle vecchie case e senz’altro, uscirà arricchita dalla commistione di generi’.

Questioni più serie. La Chiesa e l’incubo della pedofilìa.

Dio manda i segnali. Quello della pedofilìa nella chiesa, come avrebbe detto Papa Giovanni, è un segno dei tempi. Il mio pensiero va alle vittime, per le quali mi auguro ci sia almeno il risarcimento economico. Però, la vicenda è più complicata.

Dica.

Qui crolla il Tempio.

Le gerarchie hanno reagito.

Sì certo, ho ascoltato lo sdegno del Papa, ma io sto ai fatti e lui, senza voler gettare fango sul mio Pontefice successore di Pietro, a Monaco di Baviera era addirittura Arcivescovo. Ora Ratzinger grida, ma cosa gridi?

Duro.

E come dovrei essere? Nessun prelato da le dimissioni, fossimo stati all’epoca dei roghi, questi empi sarebbero stati bruciati. Io sono prete da oltre 50 anni e sento su di me la responsabilità di quella sciocca, ipocrita, demenziale educazione alla sessualità. Siamo tutti responsabili nella chiesa. Comunità parrocchiali e comunità religiose, seminari, tutti.

Le colpe hanno un’origine?

Tutte queste crociate moralistiche per la fecondazione assistita, quest’aborto ancora incasellato come se chi scegliesse quest’opzione fosse un omicida, un assassino senza patria, un reietto. E poi il resto.

Quale resto?

I casi Welby ed Englaro. Puro oscurantismo. Tornando al discorso di prima, la Chiesa offre l’impressione di essere contro la sessualità che al contrario, è un grande dono di Dio. Bisogna assumersi le proprie responsabilità.

E lei?

Magari ho sbagliato anche io. Non sono un pedofilo, ma quando ho parlato con i ragazzini cosa ho davvero trasmesso loro?

Come ne uscirà la Chiesa?

Stiamo assistendo al suo crollo, ad anni di silenzio che deflagrano in un ambito vergognoso ed è persino scontato che poi la devianza scoppi. E’ tutto un sistema da cambiare. Nella Chiesa madre, come nelle famiglie più praticanti. Ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio

Una Riforma?

Arriva la riforma, un capovolgimento, una rivoluzione, oppure no?

Come è possibile che non la caccino?

Perché sono a casa mia e ho il diritto di dire quello che penso. I miei capi, che non dovrebbero conoscere solo il comando, ma la consapevolezza di essere padri (conosco anche il diritto canonico). Comunque, io sono stato il primo a suggerirgli il mio allontanamento.

Coraggioso.

Mandatemi via. Glielo ricordo sempre. In ogni famiglia esistono i figli degeneri, diseredati, io sono pronto a obbedire. Non devono far altro che decidere pubblicamente, annunciandolo sul giornale: ‘Don Gallo stia zitto’ e io per un anno lo farei. Zitto.

Difficile crederle.

La prima lettera di Pietro dice che è meglio obbedire a Dio che agli uomini, a me, le garantisco, non mi mandano via.

Perché?

Semplice. Non sono nessuno, non ho cariche, non conto nulla.

La sua allergia alle gerarchie è nota.

Le racconto una cosa. Era il ventesimo anno di pontificato di Wojtyla ed eravamo in tv con David Sassoli. Presi la parola: ‘Santità complimenti per le celebrazioni, tutte meritate, ma già che son qui, mi permetta una domanda’.

Gelo in studio.

Un certo imbarazzo. Poi parto: ‘Perché ha ucciso i miei maestri della teologia della liberazione? Sassoli era preoccupatissimo: ‘Andrea ti distruggono’. Non accadde. Pur di non concedere lusso e diritto di riflettere su ciò che si ignora o peggio indagare, preferiscono non punirmi.



Martedì 23 Marzo,2010 Ore: 14:50
 
 
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