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www.ildialogo.org GIAN ALBERTO E I CLASSICI LATINI,di Sebastiano Saglimbeni

GIAN ALBERTO E I CLASSICI LATINI

di Sebastiano Saglimbeni

Nec prorsum vitam ducendo demimus hilum
tempore de mortis… (Lucrezio)
Il suo nome nel titolo di questa mia ennesima scrittura, dopo il suo cognome che è Soardi. Per quest’uomo, un medico-radiologo di spicco nell’ospedale scaligero di Borgo Trento, l’essere entrato, dopo anni di lavoro, in quiescenza, non genera alcuna noia o scelte di ozi vacui, perché si dedica alla riscoperta dei classici antichi latini. Pertanto, non è come l’uomo – lo scriveva in poesia nel suo De rerum natura Lucrezio Caro – che si “spinge fuori spesso dal palazzo sfarzoso... che dentro si è annoiato…”. Ma perché il ricorso a queste grandi parole di Lucrezio? Perché, l’amico, tra i classici antichi, predilige questo poeta della latinità. In alcuni suoi fogli ha fermato tratti di scrittura di alcuni classici, per leggerseli e meditarli. Oltre a Lucrezio, Cicerone e Seneca, come ho inteso da un colloquio, ama leggere altri autori, perché nei banchi del Liceo classico che ha concluso con la maturità, li ha conosciuti, magari ne ha letti e tradotti alcuni, secondo i programmi ministeriali del suo tempo. Non avrebbe, come nessuno, potuto conoscerne di più. Ora, se non tradurli - impresa assai ardua – potrà studiarne e leggerne parecchi. Non mancano le traduzioni mirabili con tanto di commenti, a firma di valorosi latinisti.
Prima si accennava a Cicerone e a Seneca. Gian Alberto nei suoi fogli cita dell’opera ciceroniana Cato Maior de senectute una proposizione che l’avrà colpito e che recita: “Nessuno è tanto vecchio che non creda di poter vivere ancora un anno”. Penso che egli abbia riflettuto su questo pensiero di un grande di cui ha notato la sua fragilità e la sua tragica fine. Cicerone - va ricordato - pubblicò postumo, nello stato in cui l’aveva trovato, il poema di Lucrezio, entusiasmato da quella dottrina filosofica greca epicurea che traspare dal poema.
Di Seneca, invece, che visse nell’età imperiale e fu il precettore di Nerone, Gian Alberto, come rifatto, cita una proposizione di una rara efficacia. Essa recita: “… La vita è breve: evitiamo, dunque, programmi troppo estesi: ogni giorno, ogni ora ci mostra la nostra nullità e ricorda a noi smemorati, con qualche nuovo argomento, la nostra fragile natura”. E qui l’amico credo che si sia inoltrato nel pensiero del filosofo e si sia considerato di passaggio sul pianeta terra, pure un fragile, perché no?
Gian Alberto con il ricorso alla grandezza del pensiero scritto dei classici latini trova certo alimento alla sua esistenza avanzante, pure la consapevolezza che “tutti i beni più grandi, ci sono fonte di ansia, e di nessuna fortuna” e che “ bene fidarsi meno della più prospera”.
Voltiamo pagina. Con Gian Alberto, giorni fa, ci siamo portati in alto alla collina scaligera di Avesa, dove ho visto degli ulivi stracarichi del frutto. Mi è parso, come in un incanto o in un sogno, che fossi sulla collina della mia piccola comunità, Limina, in Sicilia, con gli alberi della luce, molti un tempo quando non era esplosa la febbre dell’emigrazione. L’amico aveva invitato una rosa di suoi amici ad una cena in un ristorante di Avesa. Era ora là, la rosa degli amici, la maggior parte colleghi e colleghe, a parte la cena, per onorare l’amico in quiescenza.
In attesa delle pietanze, Gian Alberto ha provato a pronunciare un breve discorso riguardante l’esistenza di uno uscito dal lavoro, di uno, che, come lui, non si farà sconfiggere dagli assalti della noia, grazie alla sua devozione alle letture, non solo degli scrittori del passato remoto, ma a quelli del nostro tempo. Ha voluto pure dire di me, autore di libri, e ha voluto che io dicessi sul valore dei nostri classici latini. L’ho fatto con qualche sforzo, complice la mia fragile tarda età.



Mercoledì 27 Settembre,2017 Ore: 22:23
 
 
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