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www.ildialogo.org CARMELO ALIBERTI PER CARLO SGORLON,di Sebastiano Saglimbeni

CARMELO ALIBERTI PER CARLO SGORLON

di Sebastiano Saglimbeni

Carmelo Aliberti, poeta e saggista, reca in memoria lo scrittore friulano Carlo Sgorlon con un saggio divulgato dalle Edizioni Terzo Millennio.
Una fatica di 240 pagine dal titolo, piuttosto lungo, “Carlo Sgorlon / Cantore delle minoranze emarginate e La ricerca scientifica di Dio / Tra Storia, Scienza, Mito e Razionalità”. Un impegno questo titolo o libro che si aggiunge ad altri di Aliberti, vissuto, per qualche tempo, a Trieste, dove ha inteso l’eccelsa cultura della città con i suoi uomini come Sabba, Svevo e Magris. A questi - mi si consenta di scriverlo - si può aggiungere lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, di cui Aliberti ha scritto pagine, tra le più sentite, interpretative di un uomo inqueto, che ha vissuto la complessa e tragica storia della sua terra.
Il saggio su Sgorlon si apre con una Prefazione di Jean-Igor Ghidina, docente di lingua e Letteratura Italiana - Blaise Pascal University - Francia-, e si conclude con una Post-fazione di Alessandra Scarino, scrittrice e giornalista. E’- va precisato - una edizione che è stata rinnovata, approfondita e aggiornata. Aliberti, assillato da certo rigore, non appagato di quanto aveva, precedentemente, scritto sullo scrittore, insignito di guiderdoni e di contributi critici, ha ritenuto che questa sua fatica fosse più completa e “sostenuta” da una intensa nota, a firma di Jean-Igor Ghidina, che, fra l’altro, scrive con acume: “Secondo Sgorlon, la pretesa di autonomia eslege dell’uomo moderno, in seguito alla proclamazione della morte di Dio e dell’avvento della civiltà industriale capitalistica, diventa il fomite di ideologie atee come il nazismo e il comunismo i cui presupposti e la cui prassi reificano l’uomo rincivilito a mero a mezzo, a massa da soverchiare, da strumentalizzare e perfino da sterminare palesemente o subdolamente”.
Aliberti, sul romanzo Il trono di legno, letto da molti italiani all’inizio degli anni Settanta, quando venne premiato al Campiello, scrive che Sgorlon “approfondisce la concezione della vita come inconsistenza, salvata dalla poesia”. Stupendo se la poesia, non sempre intesa da una società distrutta e distratta, potrà costituire una salvezza, sia pure illusoria. Il discorso che segue è chiarissimo, pertanto, leggibile, illuminante. Ed è questo un merito del nostro poeta e saggista, il quale si è sempre prefisso il fine di un linguaggio latino, vale a dire, agevole che non può non conseguire scelte di lettori. Operazione, questa, che segue in tutti i XXVIII capitoli che trattano le varie opere di Sgorlon. Ma conta, soprattutto, come Aliberti abbia potuto rianalizzare tutto il patrimonio letterario di Sgorlon, pure quello meno noto, come Il filo di seta. Qui v’è uno Sgorlon che scava nell’ossario del tempo e fa riemergere e rivivere di memoria uomini del Friuli che sono il frate Marco d’Aviano e Odorico da Pordenone. Aliberti con questo richiamo a Il filo di seta si aggiunge allo scrittore mentre ricorda quegli uomini del Friuli. “Il filo di seta”, egli scrive, “è l’amore di Odorico per la natura, gli animali, le piante la vita in generale”. Il mondo saggio e puro che ha sorretto ed ispirato Sgorlon, come pure, negli anni giovanili che visse a Casarsa, Pier Paolo Pasolini, il cui esordio di poeta si legge nel dialetto friulano dei contadini analfabeti strumentali o con poca scuola. Ed ancora: Aliberti, con un suo racconto al racconto dello scrittore, scrive di un episodio della recente storia, tutta contemplata nelle pagine La malga di Sir. Qui può giovare una seria riflessione su quanto è polemologico. Se la scrittura di Sgorlon è rivolta ai perdenti o ai vinti – come è stato osservato -, in risposta si può scrivere che in guerra non v’è alcuna salvezza (nulla salus bello) e quando si è in guerra si uccide alla pari e alla pari cadono vincitori e vinti (caedebant pariter pariterque ruebant/ victores victique). Così si esprimeva nella sua Eneide, un romanzo della guerra, Virgilio. Oltre duemila anni or sono. Morti e morti, che sono quelle dei vincenti e dei perdenti, in quel massacro, a lungo taciuto, di Porzùs, ricordato nelle pagine de La malga di Sir.
Sull’interpretazione dell’ intensa scrittura di Sgorlon si può apprendere dell’altro. Che si legge bene in due tratti della Post-fazione di Alessandra Scarino. Questa scrittrice osserva: “Un universo concepito, sulla scia della moderna teoria della fisica quantistica, come sottile gioco di energie invisibili che ricreano senza sosta il cosmo e lo vestono di parvenze magiche”. Qualche paio di righi prima scrive che “Sgorlon si presenta subito con una fisionomia del tutto originale e in controtendenza alla realtà: ad un mondo spogliato di ogni aura e di ogni incanto, ridotto a un oggetto scarnificato dal freddo linguaggio scientifico e convalidato esclusivamente da funzioni economiche e finalità produttive”. E paiono consistenti questi tratti di analisi al pensiero scritto dell’autore friulano.



Mercoledì 25 Gennaio,2017 Ore: 22:38
 
 
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