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VINI ABBONDANTI IN VERONA

di Sebastiano Saglimbeni

“Vinum vita est”. Un detto dei padri latini, agevole ad intenderlo nella nostra lingua. Oìnos, chiamavano il vino i greci antichi. Va ricordato che è’ contemplato in tante scritture, ad iniziare da quella del mitico Omero, che nell’Odissea parla del succo delle uve come un “rosso vino di miele”. Si riferiva al vino che Ulisse portava con sé in un otre nella sua nave. Con quel vino, l’ orditore di inganni, era riuscito ad ubriacare il ciclope Polifemo e a salvare la sua vita e quella dei compagni. Vive restano quelle pagine dei poeti latini Orazio e Virgilio. Il primo nelle Epistole scrive che vuole passare per spudorato, pur di bere e di spargere fiori. Per lui, l’ebbrezza diventa rivelatrice di arcani, rende veraci le speranze, infiamma il pusillanime a lottare, solleva gli animi afflitti, ammaestra all’arte. In un’ode, tra le più lette, la undicesima del I libro, canta, fra l’altro:
Filtra i vini e non rendere
lunga una speranza ad una
breve vita. Mentre spargiamo
parole, il tempo ci consuma.
Goditi questo giorno,
che se ne va, senza porre
molta fiducia a quello
che verrà.
Il secondo Virgilio, per dire del vino, descrive nella V bucolica una vite, quella tipica della sua Mantova, la lambrusca, con i suoi grappoli meravigliosi. Nella bucolica successiva, il vino ispira Sileno, un satiro dei campi, che, da ubriaco, canta l’origine del mondo. Nelle Georgiche è cantato Bacco, il dio del vino, che i coloni italici invocano per propiziarsi fertili vigneti con conseguenti esplosioni di produzione.
Tra i poeti cantori del vino, più vicino a noi, Giosue Carducci. Quando dai suoi rivali venne indicato come un “ubriacone”, egli si oppose proferendo che non è il vino che lo ubriaca, ma l’azzurro. Di un’ ironia sferzante quei suoi endecasillabi che fanno parte del “Canto dell’Amore” rivolti a Pio Nono. Recitano:
Aprite il Vaticano, io piglio a braccio
Quel di sé stesso antico prigionier.
Vieni a la libertà brindisi io faccio:
Cittadino Mastai, bevi un bicchier!
 
Sino a qui una premessa a quanto ora accenno ai vini abbondanti in Verona e ad alcuni espositori. Vini abbondanti da anni negli spazi della Fiera scaligera, che si svolge all’inizio della primavera, quando gemono le viti potate. Una Fiera, quest’anno, più sorprendentemente frequentata da giovani. Da un decennio, motivato dalle sopraddette letture delle lettere che contemplano il vino, la visito. Un evento, tanto divulgato dai media. La cartella stampa, fra l’altro, titola: “VINITALY 2015, CON BUYE E DELEGAZIONI DA 5 CONTINENTI E’ LA PIAZZA D’AFFARI E DI ANALISI DEI MERCATI INTERNAZIONALI”.
Ma quanti sono gli espositori quest’anno? Oltre 4.000, dalle grandi aziende e dalle piccole aziende. Gli espositori dalle piccole aziende, a parte qualche profitto, potranno orgogliosamente scrivere di essere apparsi con il loro succo delle uve alla grande Fiera scaligera e intensificare la loro storia di produttori. Di questi, che tanto mi affascinano, ne ho scelto, come esempio, tre della Sicilia. Sono: Paolo Calì di Vittoria, Santino Scibetta di Noto e Saverio Abbate, con la Cantina dell’ Alto Belice.
Paolo Calì, che da anni è un espositore dei suoi vini, si descrive un “contadino speziale”, gestore di “un’azienda di 15 ettari, situata nel cuore dell’unica DOCG del sud Italia: il cerasuolo di Vittoria”.
L’Azienda agricola Natura Iblea, di cui fa parte Santino Scibetta, è “nata dalla determinata passione per l’antica attività agreste dei soci proprietari”. Si estende su 12 ettari di cui 10 interamente coltivati a nero d’Avola, ricredenti nel comprensorio Eloro DOC nelle contrade Buonavini e Barone”.
La Cantina dell’Alto Belice, di cui è enologo Saverio Abbate, è stata “costituita nel 1971 da 36 soci”; attualmente “ne conta oltre 800”. La sua produzione è di “vini da tavola bianchi e rosati, sia sfusi che imbottigliati”.
Mi è parso, da un colloquio con questi tre uomini, di vedere l’autentico volto umano e laborioso della mia terra.



Martedì 24 Marzo,2015 Ore: 18:34
 
 
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