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www.ildialogo.org PER SALVATORE CAPUTO,di Sebastiano Saglimbeni

PER SALVATORE CAPUTO

di Sebastiano Saglimbeni

Una premessa: nella comunità di Naso, dove nel 1964 ero arrivato ed avevo soggiornato per circa un anno, insegnavo materie letterarie in una prima classe della Scuola Media Unica. In quegli anni verdi, caratterizzati da fermenti creativi, andavo divulgando una mia silloge poetica inedita dal titolo Le favole e la guerra. Un raffinato lettore di varia scrittura, il medico Gaetano Caprino, l’aveva letto e ne era rimasto come rifatto per la prevalenza di alcuni testi a sfondo sociale e per lo stile. Un testo, soprattutto, dedicato alla solitudine disperata di una donna, Francesca Serio, la madre di Salvatore Carnevale, trucidato dalla mafia, l’aveva impressionato talmente che volle apprestarmi un recital di quella mia silloge poetica al Circolo “Agatirso” e così parteciparmi alla comunità di anziani e giovani.
Fu in quella circostanza che l’allora giovane sedicenne Salvatore Caputo di Castell’Umberto volle essere con noi esprimendosi con una sua opera pittorica ispirata ad un testo de Le favole e la guerra. Il suo segno, di pura apertura figurale, venne esposto in una sala del Circolo “Agatirso” durante il recital, dalle molte presenze, e lì rimase per parecchi anni.
Non pochi da quella sola opera di Caputo avevamo inteso l’incipit di una promessa pittorica che nel tempo si sarebbe espansa, come, in effetti, si verificò. Caputo, che vive a Palermo, da allora - sono trascorsi 50 anni - è considerato un pittore di spicco.
In quell’inizio degli anni Sessanta con Caprino, con gli insegnanti Nino Caliò e Gianni Ranieri, pure cronisti locali per conto dei quotidiani “Giornale di Sicilia” di Palermo e “Tribuna del Mezzogiorno” di Messina, commentavamo con orgoglio i nostri scrittori, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e i pittori Renato Guttuso, Giuseppe Migneco e Pietro Consagra. Andavano allora emergendo altri scrittori, poeti e pittori, come Bartolo Cattafi, Vincenzo Consolo, Melo Freni, Salvatore Fiume, Giovanni Giambecchina, Pippo Rizzo e Bruno Caruso. Fine della premessa.
Tante opere, dalle varie e singolari tecniche costituiscono ora la storia di uomo e d’opera di Caputo. Ma sono trascorsi, si accennava, 50 anni, e l’artista conta 67 anni di esistenza, trascorsa non senza un percorso estenuante che, in vero, aggiunge del prestigio all’esteso panorama della letteratura artistica della Sicilia. Caputo, lungo le sue fasi creative, si è probabilmente confrontato con le ultime tendenze dell’arte d’oggi, di cui, in un raro titolo, edito a Milano nel 1961 da Feltrinelli, parla Gillo Dorfles evidenziandone gli sviluppi singolari e indicandone i diversi artisti italiani e stranieri. Caputo, che pure non ha indugiato in proposte d’arte tradizionali, ancora tanto diffuse ed accattivanti, non si è inabissato nel vortice, ad esempio, dell’informale o di altro, come lo spazialismo o il concettualismo per passare per un très nouveau. Caputo si distingue ugualmente nuovo, ma di un nuovo limpido e, come tale, fruibile. Nel suo lungo percorso di artista degli anni Settanta si legge la Sicilia con i paesaggi surreali e antropomorfi e con i paesaggi lunari e, successivamente, nel percorso degli anni Novanta, si leggono i paesaggi che erogano una luce di azzurri e di verdi. Qui ancora protagonista la Sicilia con le sue stagioni e l’uomo che vi resta e non salpa. Si legge pure nella messe artistica del “poliedrico” e “prolifico” Caputo la fede cristiana. Pertanto, con la trattazione di un tema del genere, egli si è ornato di forme artistiche che hanno riproposto il sacro fermato nelle opere “Natività”, “Pasqua” e “Pentecoste”. Temi, questi, classici, se ricordiamo che nel 1480 Martin Schongauer aveva eseguito la grande opera “Natività”, una tempera su tavola; temi che, molto più tardi, leggemmo nella più alta poesia di Alessandro Manzoni; temi che sciolgono chi si rifugia, in questa nostra età barbarica e corrotta, nella fede cristiana.
Una nota sull’artista, che indica il suo percorso creativo, recita, fra l’altro, che il suo ultimo decennio “è segnato dalla ripresa dei toni del grigio e del nero e dalla comparsa del dorato, utilizzati per dar vita ad affascinanti notturni”. Di Caputo non vanno dimenticate le singolarissimi produzioni di oggettistica d’arte su mezzi di riutilizzo, tavole di legno, neglette, vecchie. Potrà darsi, se non l’ha fatto, che darà anima ai pali delle strade e delle campagne con gli azzurri, come Jackson Pollock. Infine, una storia artistica intensa, di pregio, quella di Caputo, come quella di una moltitudine di pittori che oggi credono, in luogo di altro vacuo, ad un esistere di conoscenza e di creatività, atti a generare elevazione e degna memoria.
Nell’ immagine del 1964, da sinistra: G. Brancato, S. Saglimbeni, G. Caprino, S. Caputo.



Lunedì 03 Febbraio,2014 Ore: 23:48
 
 
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