- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (837) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org LA MISTERIOSA VITA DEI SUMERI,di Daniela Zini

COME FU SVELATA
LA MISTERIOSA VITA DEI SUMERI

di Daniela Zini

Gilgamesh ed Enkidu

a M, l’Amico ritrovato

Essi lo benedissero, diedero consigli a Gilgamesh per il viaggio:

Oh, Gilgamesh! Non confidare nella tua forza eccelsa;

scruta attentamente ogni cosa, ma fidati solo del tuo primo intuito;

colui che va avanti salverà il suo compagno;

colui che conosce i sentieri proteggerà il suo amico.

Fa’ che Enkidu vada davanti a te:

egli conosce la via della Foresta dei Cedri;

egli è esperto nella lotta, è avvezzo alle guerre;

fa’ che Enkidu protegga l’amico, difenda il compagno;

fa’ che egli riporti sano e salvo il suo corpo per il sepolcro:

noi nell'assemblea abbiamo confidato in te, o sovrano,

come tu, o sovrano, devi confidare in noi. (...)”

Epopea di Gilgamesh, Tavola III, Raccomandazioni per il pericoloso viaggio (1-12)

Nel corso della nostra esistenza potremmo incontrare, in qualsiasi istante, il nostro Enkidu, saremmo in grado di riconoscerlo?

 Verso la metà del XIX secolo si ebbe, finalmente, la conferma dell’esistenza di questo grande popolo sconosciuto: strani ruderi apparivano nella piatta distesa di sabbia, che si stendeva tra i corsi meridionali del Tigri e dell’Eufrate.

Avventurose ricerche archeologiche portarono alla scoperta di una civiltà di straordinario rilievo storico, che risaliva all’inizio del IV millennio a.C.

Prima che gli Assiri e i Babilonesi dominassero la Mesopotamia, i Sumeri avevano, già, abitato quelle terre favolose, soprattutto nel tratto che va dall’odierna Baghdad fino alle coste del Golfo Persico.

Fu un agente consolare francese, Ernest Choquin de Sarzec, a scoprire le prime tracce del popolo dei Sumeri, intorno al 1877. Come in altri casi celebri, quindi, non si trattò di un archeologo di professione, ma soltanto di un appassionato ricercatore di antichità, il quale, prima di porre piede in Mesopotamia, non aveva la minima idea di uno scavo.

Già da diversi anni, ci si era accorti, nella piatta distesa di sabbie e di terre, coltivate tra i corsi meridionali del Tigri e dell’Eufrate, della presenza di ruderi, che appartenevano a un popolo misterioso. Quando, nel 1840, Paul Emile Botta – anch’egli agente consolare francese – aveva iniziato a scavare nei dintorni di Mossul e aveva trovato l’antica Ninive e i palazzi assiri di Khorsabad, gettando un fiotto di luce sulla storia, fino allora sconosciuta, dell’antica Assiria, il mondo scientifico si era messo a rumore. Ma la fama di Botta sarebbe stata, ben presto, oscurata da quella di Henry Layard, che, proseguendo negli scavi a Ninive e a Nimrud, confermò le leggende e le antichissime tradizioni tramandate dai testi cuneiformi, per la prima volta, interpretati dal tedesco Georg Friedrich Grotefend. 

Per Layard, Ninive, Damasco, Baghdad e la Persia costituivano il sogno della sua giovinezza. Fu alimentato, nella sua passione, dalla lettura delle Mille e una Notte. Non seppe attendere, come Heinrich Schliemann per le rovine di Troia e di Micene, di possedere, personalmente, i denari per lo scavo e le cognizioni scientifiche, acquisite con lo studio. Senza un soldo si recò, a cavallo, nella “terra tra i due fiumi”, la Mesopotamia, e scoprì più di quanto avesse mai immaginato.

Attraversata la Turchia interna, con una sola sacca dietro la sella e con un solo compagno, si trovò, ben presto, di fronte ai misteriosi cumuli di terra che rompevano la monotonia della pianura assira. Dopo aver scavato e trovato cornici e capitelli scolpiti, riuscì a ottenere in prestito 60 sterline dall’ambasciatore inglese, a Costantinopoli: l’8 novembre 1845, Layard risaliva con una zattera il Tigri e raggiungeva Nimrud, mentre il Paese era in rivolta contro il governatore turco. Le sue scoperte entusiasmarono il mondo: interi palazzi semidistrutti, tori alati, leoni alati, steli funerarie sorsero come per incanto dalla sabbia.

Il bottino di Layard sulla collina di Nimrud stava oscurando i successi di Botta, ma per gli studiosi, un fatto si faceva sempre più evidente: prima ancora che gli Assiri dominassero nel nord della Mesopotamia, prima ancora che i Babilonesi, nel sud del Paese, conseguissero una potenza tale da far giungere la loro fama ai confini del mondo, un popolo sconosciuto aveva abitato quelle lande, soprattutto dalla zona, dove, attualmente, sorge Baghdad, fino al Golfo Persico. Questo popolo fu chiamato da alcuni con il nome di  Accadi; il francese Jules Oppert, per primo, parlò di Sumeri, altri li chiamarono Asiatici; si trattava, indubbiamente, di una stirpe che parlava una lingua affine al ceppo indoeuropeo, mentre gli Assiri erano Semiti.

I Sumeri si rifornivano di rame sia in Anatolia sia in Persia, avevano perfezionato la metallurgia prima degli Egizi e per la invenzione della scrittura (i loro segni cuneiformi precedono di qualche secolo l’apparire dei geroglifici in Egitto) si possono considerare i fondatori della civiltà mediterranea insieme agli Egizi e ai Cretesi. Oggi, possiamo affermare, con sicurezza, poiché vi sono ampie prove, che l’influenza delle loro invenzioni fosse giunta fino sulle sponde dell’Egeo.

La prima civiltà sumerica risale all’inizio del IV millennio a.C.; note sono le dinastie reali di Kish, Uruk, Ur (la patria di Abramo) e di molte altre città. La III dinastia di Kish, verso la fine del IV millennio, è storicamente autentica e, all’inizio del III, grande splendore, ebbe la dinastia dei Re di Lagash. Il potere di Lagash fu, poi, distrutto dal primo grande conquistatore sumerico del quale siamo ben informati dai testi cuneiformi: Lugal-zaggisi, Re di Umma e di Uruk, che riuscì non solo a porre sotto il suo unico dominio tutte le Città-Stato sumeriche, ma anche a intraprendere campagne in terra straniera fino alle rive del Mediterraneo. Questi avvenimenti portano la storia sumerica fino a circa il 2450 a .C.

Suo rivale fu Sargon I, Re della città sumerica di Akkad. Verso il 2370, Sargon sconfisse il Re sumerico e riunì tutte le terre tra il basso Tigri e il basso Eufrate, stabilendo la supremazia dei Semiti sui Sumeri, per quanto nelle iscrizioni gli Dei invocati da Sargon siano sumerici e molti membri della famiglia del Re avessero nomi sumerici. Ciò portò, appunto, alcuni ricercatori a ritenere Sumeri e Accadi un popolo solo. Il regno creato da Sargon durò, circa due secoli, fino a circa il 2250, quando,  con la nuova dinastia di Ur, si ebbe quello che gli storici chiamano il “rinascimento sumerico”.

I Sumeri, dei quali si ignora con esattezza il Paese di origine, ma che, molto probabilmente scesero in Mesopotamia dalle montagne dell’odierno Turkestan e della Persia attraverso i valichi dei Monti Zagros, possedevano una ceramica diversa da quella che, in precedenza, si era affermata in Mesopotamia, soprattutto nelle città di Tell Ubaid  e di Susa: qui si elaborano forme semplici ed equilibrate, un impasto finissimo bianco e quasi traslucido, decorazioni in bruno, ocra, giallo e rosso. La prima ceramica sumerica presenta meno decorazioni e si limita a una produzione strettamente utilitaria. I Sumeri portano, però, due arti nuove, la glittica, vale a dire l’incisione su pietra, e la scultura.

Cilindri di pietra recano incisioni e rilievi che, se si fanno rotolare sull’argilla fresca, lasciano l’impronta di fantastiche figure di animali o di scene di vita quotidiana. Vasi di pietra recano immagini religiose scolpite in bassorilievo. La scultura a tutto tondo è rappresentata, circa nella stessa epoca, dallo straordinario volto della donna di Warka, i cui occhi e le cui sopracciglia erano probabilmente incrostati di pietre preziose.

Questa epoca vide, infine, l’edificazione del Tempio Bianco di Uruk, costruito con mattoni crudi essiccati al sole, secondo una struttura complessa che permetteva alle mura di sporgere o rientrare, creando zone di ombra e di luce. I muri erano rivestiti di mosaico, costituito da innumerevoli coni di pietra inseriti nell’intonaco di fango essiccato. In questo tempio i Sumeri adoravano il Dio celeste An, ma soprattutto la più terrestre Dea dell’amore e della fecondità Inanna, che si riteneva ritrovasse qui, periodicamente, il Dio-pastore Dumuzi: i loro incontri (mito questo comune alle antiche civiltà mediterranee) promuovevano il rifiorire della terra, ogni anno, a primavera e la fecondità degli armenti.

I templi sumerici non erano, tuttavia, esclusivamente dimore degli Dei. Il Re-Sacerdote vi amministrava la giustizia, vi si riponevano le messi; molti artigiani (fabbri incisori, scultori) vi erano impiegati. I lavoratori appartenevano agli Dei che li pagavano, per il tramite dei sacerdoti, dividendo tra loro i prodotti delle coltivazioni e dell’allevamento, invitandoli ai banchetti religiosi. Questa organizzazione richiedeva una rigorosa contabilità: compare, infatti, in questa epoca la primissima scrittura sumerica, composta da punti, trattini, sbarrette che indicano le numerazioni. In breve, i segni si moltiplicano fino a costituire un sillabario di duemila segni che vengono chiamati cuneiformi perché sono impressi nell’argilla molle delle tavolette contabili (odierni registri e nastri) mediante un bastoncino di canna a sezione triangolare.

Già, all’inizio del III millennio, le Città-Stato dei Sumeri sono indipendenti l’una dall’altra e governate da un patesi, il Re-Sacerdote. Intermediario tra gli Dei e gli uomini, è anche il capo militare, amministra la giustizia, in nome della divinità, e gode di un potere assoluto ed ereditario.

Quando alla supremazia della città di Kush succede quella di Ur, l’architettura inaugura un materiale più perfezionato, il mattone cotto al forno, che serve da rivestimento ai muri di mattone crudo. Una nuova concezione presiede anche alla costruzione dei templi: il santuario, propriamente detto, si eleva su una terrazza, che sporge su una vasta corte cinta da un muro. Risale a questa epoca (circa il 2250 a .C.) quel tipico tempio che volle essere “una scala verso il cielo”: la ziggurat.

La prima di esse è quella arcaica di Mari, composta di basamenti monumentali disposti come giganteschi gradini, i quali conducevano a un santuario dove la divinità doveva discendere per unirsi alla terra.

Nasce un’arte particolare: l’intarsio ornamentale, per il quale gli artigiani utilizzano una materia molto difficile da tagliare, la madreperla, da cui essi ricavano minuti pezzetti che, applicati su fondi scuri di legno o di bitume, formano mosaici dai soggetti molto espressivi. A questi abili incisori dobbiamo i celebri pannelli, tra il mosaico e l’intarsio, chiamati “stendardi”: il più bello che si conosca è lo stendardo di Ur, appartenente alla prima dinastia, in cui sono raffigurati carri trainati da quattro cavalli, sui quali trovano posto due combattenti. Si tratta di un intarsio di madreperla su fondo di lapislazzuli, rinvenuto da Leonard Woolley, nel 1928.

A Ur, alcune tombe esplorate dall’inglese Woolley, hanno rivelato ricchezze inestimabili che attestano la padronanza acquisita nella lavorazione dei metalli: il “casco d’oro” che serve da copricapo a una statuetta, pugnali d’oro, vasellame d’oro, teste di tori tempestate di pietre preziose, gioielli e diademi, collane, braccialetti e infiniti anelli e pietre incastonate.

Tutto il Paese dei Sumeri va, giustamente, celebre, tuttavia, per la sua statuaria. Il rilievo di Ur-Nanshe rappresenta il Re di Lagash prima seduto in atto di bere tra i suoi figli e i suoi servitori, poi, più in alto, in piedi e recante un copricapo rituale con il quale assisteva alla costruzione del tempio. Il Re è raffigurato, convenzionalmente, più grande degli altri personaggi. Così la “stele degli avvoltoi”, prodotto di un’arte assai raffinata, mostra il gigantesco Re Eannatum che combatte contro le falangi di Umma.

Benché la pietra sia rara, la statuaria è molto ricca: i soggetti più comuni sono gli Dei e gli adoratori. La statua del Dio Abu, rinvenuta a Tell Asmar, è singolare: il volto reca due immensi occhi incrostati, i capelli (costituiti, come la barba, da una massa finemente pieghettata) ricadono sulle spalle, le mani  sono unite su una ciotola, una lunga veste arriva fino alle ginocchia. Moltissime statue di questo stile sono uscite dalle sabbie: l’impressione che deriva dal loro atteggiamento le ha fatte chiamare “adoratori” o “presentatori di offerte”. A Mari, furono scoperte le celebri statue dell’intendente reale Ebih II e la toccante statua di Ur-Nina “la cantante”, che testimonia la forza di un’arte in cui una visione armoniosa della vita si accompagna con la maestà e la potenza.

È questo il periodo in cui i Semiti hanno il sopravvento sui Sumeri, ma, verso il 2290 a.C., un’orda di invasori, non meglio identificati che come Guti, occupa il “Paese tra i due fiumi” e abbatte  la supremazia semitica. Per trenta anni questo popolo nomade, che non lascia tracce di una propria arte, tiene le fertili terre bagnate dal Tigri e dall’Eufrate, poi, scompare dalla storia.

I Sumeri ritrovano la propria forma e ha inizio quello che è stato, concordemente, chiamato il “rinascimento sumerico”. Lagash, Ur, Umma, e, per ultima, anche Uruk, riacquistano la loro indipendenza e rieleggono il loro patesi, il Re-Sacerdote, e riprendono le loro antiche consuetudini. Questo periodo è caratterizzato da una prima supremazia di Lagash, grazie a una serie di gloriosi patesi e, più in particolare, dalla fondazione della terza dinastia di Ur, che regnerà sui Paesi degli Accadi e dei Sumeri con una certa stabilità.

Si erigono in questi anni potenti costruzioni: dobbiamo, a questi tempi, le celebri ziggurat. Guardando questi edifici non si può fare a meno di pensare alla Torre di Babele, di cui parla la Bibbia. Dovevano, infatti, innalzarsi fino a toccare il cielo: erano luoghi di residenza e di riposo per le divinità invitate a lasciare le nubi per discendere sulla terra. Il grande sacerdote officiava al sommo dell’edificio, per essere più vicino alla misteriosa dimora dei celesti. A Ur, la ziggurat, costruita sotto il regno di Ur-Nammu, consta di tre ripiani; la base è uno zoccolo di 62 metri per 46 e il materiale impiegato è, proprio come lo descrive la Bibbia, il mattone cotto con un connettivo di bitume; tuttavia, questi mattoni cotti non fanno che rivestire blocchi di argilla cruda. La costruzione aveva una altezza originaria di circa 21 metri .

Molte altre ziggurat furono costruite in quella stessa epoca; a esempio, a Uruk e a Lagash. In quest’ultima località la torre aveva sette ripiani. In questi terrazzi, su cui i Sumeri costruivano i loro templi, si è voluto, da taluni, vedere un richiamo e un ricordo delle colline della ragione dove avrebbero abitato un tempo. È possibile che questo sia vero, ma un’usanza del genere era, anche, resa obbligatoria dalle inondazioni annuali dei grandi fiumi, che, se pure non giungevano fino ai monumenti stessi, impregnavano per un vasto raggio il sottosuolo di un’umidità dannosa per gli edifici in argilla secca. Il nome dato più tardi al tempio a torre fu Etemenanki, vale a dire “fondamento del cielo e della terra”, in quanto i Babilonesi costruirono su ciò che era stato il prototipo delle ziggurat una ulteriore torre a ripiani.

I Sumeri erano assai progrediti nelle scienze e nelle matematiche, come le chiameremmo, oggi: il sistema di numerazione era basato sul numero sei e sui suoi multipli. È questo lo stesso sistema adottato anche dai Greci e dagli Arabi e di cui noi, oggi, ci serviamo per la misurazione degli archi, degli angoli e per la divisione del tempo. Abbiamo, infatti, archi di 180 gradi, circoli di 360 gradi, angoli di 90 gradi o di 45, il giorno diviso in 24 ore e le ore in 60 minuti, e così via.

Ci si è chiesto quale vantaggio fosse attribuito a questo sistema, che ha lasciato, ancora ai nostri tempi, in cui regna il sistema decimale, tracce evidenti, come l’importanza data alla dozzina. Possono essere stati indotti a ciò dal fatto che il numero 60 è il più basso numero ad avere il maggior numero di divisori. I Sumeri, che contavano da 1 a 10, che è il modo più naturale, utilizzando le dita, invece di passare da dieci a cento, hanno segnato una battuta di arresto a 60 e, partendo di qui, hanno incrociato il sistema sessagesimale con quello decimale. Dobbiamo loro la divisione del giorno, dando l’ora di mezzanotte come inizio della giornata, misura che si presta meno a fluttuazioni che non il tramonto o l’alba. Di qui è uscita la divisione del cerchio e quella della eclittica (orbita reale descritta dalla Terra intorno al Sole) in archi di dodici doppie ore, dando così la successione dello zodiaco, ciascun segno del quale comporta una distanza di 30 gradi.

L’idea che i Sumeri avevano della Terra era, tuttavia, piuttosto negativa di fronte alla realtà attuale. Era costituita da un disco ed era sostenuta da un “abisso di acque”, in corrispondenza con il “fiume amaro” (il mare e gli oceani) che la circondava: ciò non impediva alle acque dolci di essere sotto la terra e di dare nascita alle sorgenti e ai fiumi e non era un ostacolo alla presenza degli inferi sotto il piatto terrestre. Le conoscenze matematiche di cui i Sumeri disponevano consentivano loro di affrontare i problemi di agrimensura: potevano stendere il piano delle loro città, usando di proporzioni corrispondenti alla realtà. Una tavoletta cuneiforme fa fede, riproducendo a grandi linee la pianta di Nippur che coincide, notevolmente, con quella stesa dagli archeologi americani che scavarono per liberare del tutto l’antica città.

Il calendario era basato sulla Luna e sul Sole e comportava dodici mesi di trenta giorni, per cui era previsto, in determinati tempi, un mese intercalare per sopperire alla manchevolezza del computo dell’anno in 360 giorni, anziché 365, come astronomicamente sarebbe risultato.

Quanto alla vita futura, i Sumeri avevano concezioni in parte diverse da quelle degli Egizi. Gli scavi di Ur hanno mostrato che, nel periodo più antico della loro storia, i Sumeri, come molti altri popoli, costruivano grandi e solide tombe sotterranee per i loro Re. In queste tombe si seppellivano anche tutte le suppellettili reali, oro, argento, pietre preziose, comprese le vesti e i gioielli che il sovrano e le sue compagne, così come i cortigiani e i servi (che venivano sepolti con lui) usavano indossare durante le cerimonie religiose. I Sumeri, però, non tenevano a far sì che il corpo si conservasse dopo la morte, come disperatamente si affannavano gli Egizi, per i quali i Faraoni e gli avvenimenti, accaduti durante un particolare regno, avevano importanza solo in riferimento a una determinata dinastia, o meglio, al nome di un particolare sovrano. Per i Sumeri una nuda lista di nomi reali poteva avere importanza solo se composta a fini pratici.

I loro documenti più antichi mostrano la tendenza a creare una storia coerente di tutta la Nazione e non soltanto dei Re. Nel campo letterario furono i creatori dell’epica mitologica e storica. La trattazione poetica di leggende, intimamente connesse con la presenza dell’uomo sulla Terra, iniziò qui, nella “terra tra i due fiumi”, assai prima che in Egitto o a Creta. Noi conosciamo molte di queste leggende perché furono riprese dagli Ebrei che abitarono a lungo in quelle terre (Ur fu la patria di Abramo) e perpetuate da loro nella Bibbia; tali sono la creazione del mondo e dell’uomo, la caduta, il diluvio e la storia dell’Arca e la costruzione della Torre di Babele. Altre leggende poetiche ebbero grandissima influenza sulla letteratura posteriore, soprattutto, il racconto delle gesta di Gilgamesh, probabilmente un antichissimo Re sumerico, realmente esistito, di cui si narrava fosse figlio della Dea Aruru, e forte e potente e spietato con i nemici, ma anche con i propri sudditi, i quali implorarono la Dea di dar lui un compagno come “moderatore” e amico. Questi fu Enkidu, con il quale Gilgamesh compì una lunga spedizione sulle montagne della Siria a combattere il mostro Kumbaba; probabilmente, nella realtà, ad assoggettare quella regione, da cui proveniva il legname per il fabbisogno dell’intera Mesopotamia. Le avventure di Gilgamesh proseguono con il racconto dell’amore che nutrì per lui la Dea Ishtar e con la morte di Enkidu che rese Gilgamesh quasi pazzo. L’eroe riesce anche, grazie all’aiuto di Utnapishtim (il Noè della Bibbia), unico scampato al Grande Diluvio, a raggiungere il mondo dei morti, dopo aver navigato l’oceano per quaranta giorni, e apprende quale sia la sorte dell’uomo sulla terra, ossia la conferma del destino mortale e dell’immortalità come dono degli Dei. Il problema della morte angustiava i Sumeri alla stessa stregua degli Egizi o dei Greci: un altro eroe, Etana, era salito, per primo,  in cielo, alla ricerca della vita eterna, senza riuscire. La mitologia greca fu, certamente, influenzata da queste leggende. Inoltre, gli inni dei Sumeri alle loro divinità sono pieni di sentimento religioso e di belle immagini.

La terra dei Sumeri ci ha tramandato anche i più antichi documenti di diritto internazionale che si conoscano; a esempio, i documenti tra un Re sumerico ed Elam e anche i primi tentativi di risolvere una controversia con un arbitrato anziché con la guerra; così Mesilim, antico Re di Kish, funge da arbitro in una controversia di confine tra i Re di Umma e di Lagash.

Abbiamo ricordato all’inizio Ernest de Sarzec, l’agente consolare francese che, senza conoscere le tecniche degli scavi, “inventò”, praticamente, il popolo dei Sumeri, quando iniziò le sue ricerche, nel 1877. Trovò,  dapprima, una statua “strana”, nel senso che nessuno ne aveva mai visto, prima, una simile; poi, iscrizioni, e, infine, uno dei pezzi più straordinari che l’archeologia abbia dato, la testa del Re-Sacerdote Gudea, eseguita in diorite e meravigliosamente levigata, uscita dalle sabbie di Lagash, oggi, vanto del Museo del Louvre, a Parigi. Sono evidenti le caratteristiche somatiche dei Sumeri: occhi grandi e folte sopracciglia, naso robusto e labbra carnose, una capigliatura folta e ricciuta, certamente scura, che giustifica l’appellativo loro dato dagli altri popoli, le “teste nere”.

Ernest Choquin de Sarzec scavò fino al 1881, dopo di lui, si occuparono dei misteriosi Sumeri gli americani, poi, i tedeschi, poi, ancora, gli americani, finché gli inglesi, con Leonard Woolley, non scoprirono a Ur le splendide tombe dei Re e, con scavi metodici e sistematici, dimostrarono che il Diluvio narrato dalla Bibbia era lo stesso dell’epopea di Gilgamesh, scoprendo le tracce di una tremenda alluvione che sommerse città e Paesi. Accanto a Leonard Woolley vi era anche un altro archeologo, T. E. Lawrence, che sarebbe divenuto, poi, il celeberrimo Lawrence d’Arabia. Quando Wolley, tra il 1927 e il 1928, iniziò a scavare le rovine di Ur sull’Eufrate, il mondo si trovò di fronte alla più straordinaria raccolta di tesori mai trovata, superata solo dalla contemporanea scoperta della tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re, in Egitto.

Nel sepolcro di una Regina furono rinvenuti gli ornamenti delle acconciature in pietre preziose; in quella di un’altra, vasellame d’oro e due modelli di barche dell’Eufrate, uno di rame e l’altro d’argento, lunghi 60 cm. Fu trovato anche il celebre “stendardo “ in madreperla e lapislazzuli; collane e monili di corniole rosse e pietre quasi sconosciute, anelli, e foglie di quercia d’oro; pettini d’oro incrostati di lapislazzuli; orecchini a mezzaluna e vezzi in fili d’oro che ornavano, a più giri, gli esili colli delle Regine. Woolley fece anche una macabra scoperta: accanto agli scheletri dei Re e delle Regine, completamente sommersi da diademi, ornamenti, collane, anelli e scettri, si presentavano anche numerosi altri cadaveri. In una tomba vi erano, evidentemente, i corpi della guardia reale: file di scheletri ancora con l’elmo di rame e la lancia in pugno. Accanto a una Regina nove scheletri di donne rivestite dei resti di quelli che sembravano mantelli principeschi decorati d’oro e d’argento, evidentemente dame di corte. Due carri, su cui giacevano gli scheletri dei cocchieri, occupavano un ingresso e davanti alla stanga del timone furono trovate le pariglie dei buoi che le trainavano. Sembrava che tutto fosse crollato sopra una tranquilla processione. La Regina Puabi (1), nella sua tomba, era attorniata da due fila di dame; per ultimo, lo scheletro di un arpista, con lo strumento ancora in mano. Sopra la bara della Regina giacevano i resti di due uomini proni, evidentemente uccisi all’ultimo istante. Era evidente che, in onore dei sovrani, si uccidevano tutti coloro che li avevano serviti e che, si pensava, potessero servirli ancora nell’aldilà. Una cosa, tuttavia, era chiara dall’atteggiamento dei resti di tante persone uccise: non erano morte spontaneamente, contente di seguire il loro Re o la loro Regina nella morte, tutti erano stati massacrati a loro insaputa.

Un simile avvenimento archeologico non si è mai più ripetuto, né alcun altro popolo ha, mai, concepito una cerimonia funebre così terrificante e massiccia. È questo un altro mistero che si aggiunge ai molti “perché” che, ancora, circondano la storia dei Sumeri, come quello che riguarda la loro origine. È chiaro, infatti, che non crearono la loro civiltà in queste terre, ma la recarono dallo sconosciuto Paese dal quale giunsero. Il loro principale merito sta nell’avere tramandato con gli scritti – primi tra tutti gli uomini – le loro tradizioni e le loro leggi, ponendo le basi del vivere civile.  

Metà dei ritrovamenti di Woolley sono rimasti in Iraq, l’altra metà venne divisa tra il Penn Museum e il British Museum. I siti archeologici erano stati “protetti” sotto la dittatura di Saddan Hussein, decretando la pena di morte per i saccheggiatori. Dopo la sua caduta, nel 2003, i saccheggi sono ripresi su larga scala, ma Ur è stata salvaguardata grazie alla vicinanza a una base militare statunitense.

La loro storia termina, nel 1800 a.C., con la splendida figura di Hammurabi, un condottiero del popolo degli Amorriti, che unificò il Paese e passò, definitivamente, il potere ai Semiti. Da questo momento i Sumeri scompaiono dall’orizzonte della storia, ma il loro erede, Hammurabi, darà al suo popolo il famoso Codice, derivato, chiaramente, dalle leggi sumeriche preesistenti, leggibile nella grande stele trovata a Susa, che presenta concetti straordinariamente moderni, riguardanti i rapporti tra cittadino e Stato.

Dalle sabbie della Mesopotamia i primi romantici archeologi non avrebbero, certo, mai immaginato di estrarre le vestigia dei popoli civili più antichi che onori, oggi, l’umanità!

Note

(1) Puabi (in lingua accadica “Parola di mio Padre”), conosciuta in lingua sumerica come Shubad, è stata una sovrana della prima dinastia della città di Ur. All’interno del Cimitero Reale di Ur è stato rinvenuto un sigillo cilindrico, in cui Puabi viene chiamata Nin, che può tradursi sia come Regina sia come Sacerdotessa. Si ritiene, dunque, possibile che ricoprisse entrambi i ruoli, come, sovente, accadeva nelle società più antiche, in cui potere religioso e politico si univano in una sola persona.

http://www.youtube.com/watch?v=9Y1oqVMmWDU&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=J79jyLBSbXs&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=OfdJct_3zpQ&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=PGhgfiyzmeA&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=FGEw-NkSeYQ&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=Vr54AQk4bfo&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=-eYzZ_0K4lg

http://www.youtube.com/watch?v=KDmyhyr3Z88&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=uW89hc79cj0&feature=related

http://www.youtube.com/watch?v=kZngHY1nriA&feature=player_embedded

Daniela Zini

Copyright © 18 settembre 2011 ADZ



Marted́ 20 Settembre,2011 Ore: 07:01
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Cultura

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info