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www.ildialogo.org PASQUE LONTANE. L’INNOCENZA DELLA MEMORIA. DI MICHELE PRISCO.,A CURA DI CARLO CASTELLINI.

GLI UOMINI DI CULTURA INCONTRANO LA PAROLA.
PASQUE LONTANE. L’INNOCENZA DELLA MEMORIA. DI MICHELE PRISCO.

A CURA DI CARLO CASTELLINI.

CHI E’ MICHELE PRISCO ?
 MICHELE PRISCO E’ ORIGINARIO DI TORRE ANNUNZIATA (NAPOLI).E’ studioso di Legge, ma soprattutto narratore e saggista. Ha collaborato a numerose pagine culturali di quotidiani italiani di grande tiratura. In questo testo fa riemergere dalla memoria alcuni ricordi della sua infanzia, del suo rapporto con la madre e con l’educazione al sacro. I suoi teneri ricordi gli servono anche a riagganciarsi ai suoi rapporti materni ed alla educazione religiosa ricevuta in famiglia. La preparazione in cucina della Festa della Pasqua, da parte della mamma. Ma al di là del folclore, il senso del rispetto del sacro è rimasto. (A CURA DI CARLO CASTELLINI).
 
“Di primavera, si sa, fioriscono le violaciocche, e il loro caldo profumo di cannella mi ricorda sempre quello della pastiera, e la pastiera mi fa pensare sempre alla P A S Q U A: che cade – stavo per scrivere: fiorisce – anch’essa sempre di primavera, settimana prima, settimana dopo.
Così ogniqualvolta riodo l’odore (sì, posso dire “riodo”, perché esso ha una violenza e un’intensità quasi sonore ) e s’avvicina la P A S Q U A, rivedo mia madre nella grande cucina di casa – la casa dell’infanzia – che nella larga conca di maiolica verde sul tavolo sul tavolo di marmo pazientemente consuma interi pomeriggi alla preparazione delle pastiere.
 Tuttavia questo lavoro non era l’unico a occupare la settimana santa: c’erano soprattutto le grandi pulizie, da compiersi, - come per innovare la casa e renderla più accogliente – e confacevole al Giorno della Resurrezione – entro la mattina del Giovedì Santo. Poi, a partire da quel momento, non era più permesso spazzare o lavare i pavimenti sino a mezzogiorno di sabato, quando si “scioglievano” le campane: per rispetto a Gesù, ripeteva mia madre, che “STA IN TERRA”, sepolto.
 Questa consuetudine non rappresentava un banale o bigotto ossequio alla tradizione ma credo costituisse, almeno per mia madre, un naturale, semplice atteggiamento di devozione,, il sentirsi partecipe d’una religiosità che escludeva certe altre forme esteriori, per realizzarsi più in profondità e con più umiltà.
Quel divieto di spazzare i pavimenti o passarvi anche solo lo traccio bagnato – perché Gesù “sta in terra” – mi turbava. Alle sorelle era interdetto sonare il pianoforte o cantare, in quei giorni, a noi ragazzi erano inibiti giochi irruenti e rumorosi o ridere scompostamente; e se per caso mi capitava di far cadere qualche cosa in terra, un libro o un altro oggetto, mi affrettavo a raccoglierlo quasi con un senso di colpevolezza. Avevo mancato di rispetto a Gesù? Peggio: gli avevo fatto male con quel colpo accidentale?
 Il pensiero di avere contribuito anch’io per la mia parte, sia pure senza volerlo, a far “soffrire” Gesù, mi costernava. Allora rivedevo il CROCIFISSO esposto in chiesa, nei giorni dei sepolcri, sopra un catafalco, fra candele smoccolanti e vasetti di tenero grano fatto crescere al buio e all’umidità per l’occasione: sul nudo, magro, lungo corpo di legno le macchie rossastre che raffiguravano il sangue, la corona di spine che gli cingeva la fronte, con relative stille di sangue che la rigavano, rappresentavano l’emblema tangibile delle tribolazioni che Gesù aveva patito prima d’essere inchiodato sulla croce, e non potevo sopportare l’dea di averne aggiunta una mia, di sofferenza.
 Per un attimo, in quel momento, mi si riaffollavano davanti agli occhi le immagini confuse della Passione, una ridda:Gesù schernito dalla folla mentre viene condotto al GOLGOTA, gli sputi e le offese che lo accompagnavano, le cadute sotto il peso della croce, il gesto pietoso della donna che gli deterge il volto sanguinante e il gesto brutale del soldato che gli conficca la lancia nel costato…..e, ora, lo colpivo anch’io?
 Subito, come per punirmi,o meglio come per espiare il mio “peccato”, mi veniva spontaneo recitare per ammenda un paio di requiem ch’è, come si sa, preghiera per i morti, e insomma confondevo, nel mio candore di bambino, i crimini di cui si erano macchiati gli uccisori di Gesù e le infrazioni in fondo assai più lievi che potevamo commettere noi altri, facendo cadere un libro a terra o scoppiando improvvisamente a ridere. Non solo: ma per completare meglio la mia penitenza mi ripromettevo di dedicare a Gesù la prossima comunione: in fondo, era stato Gesù nell’ultima cena, proprio mentre celebravano la FESTA DEGLI AZZIMI chiamata appunto P A S Q U A , a istituire il Sacramento dell’Eucarestia.
 In appresso gli anni avrebbero, con la maturità, stemperato questi affanni infantili, in una serena e pacata dimensione, e se il ricordo, adesso, s’è fatto tenero, e non si colora più di nostalgia o rimorsi, è perché esso mi ha insegnato questo: che forse allora, attraverso i turbamenti di quei giorni lontani, imparavo anch’io a sentire dentro di me la P A S Q U A, e a capirne il significato, a prenderne coscienza. E oggi l’odore delle violaciocche, l’odore della pastiera, e l’odore delle stanze intriso del profumo molle e giallastro di quelle spezie rappresentano solo, ormai, una maniera di gettare un ponte tra mia madre e me, una maniera di annullare certe distanze e ritornare alla sorgente di una innocenza stabile e incorrotta, dove si formava, sedimentando e stratificandosi, la mia iniziazione alla vita, il mio modo di essere e sentirmi cristiano.(MICHELE P R I S C O ). A CURA DI CARLO C A S T E L L I N I ).


Martedì 30 Marzo,2010 Ore: 16:17
 
 
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