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www.ildialogo.org Crocifisso e identità italiana,di Letizia Tomassone

Crocifisso e identità italiana

di Letizia Tomassone

Roma (NEV), 7 luglio 2010 – Proponiamo in anteprima un editoriale di Letizia Tomassone che verrà pubblicato sul prossimo numero del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi “Riforma” (www.riforma.it). L’autrice è pastora valdese e vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.
 
Tutti noi siamo cresciuti con il crocifisso nelle aule scolastiche, a volte nascosto nel cassetto della cattedra. Chi ha vissuto sotto il Concordato del ’29 ha anche goduto di molti giorni di vacanza legati alle ricorrenze cattoliche, e ha fatto le battaglie per non imparare a memoria le poesie sui santi o su Maria. In fondo la nostra avversione per un simbolo come il crocifisso, che portava con sé alleanze di potere tra chiesa e scuola, ha originato la nostra ricerca di una laicità possibile in Italia. Con il Concordato del 1984 si aprivano molti spazi per una libertà religiosa in Italia prima difficilmente immaginabile. Ora, la Corte europea per i diritti del l’uomo ha affrontato il tema dell’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici nel nostro paese.
Si attende questa decisione in un clima di contrapposizione e di affermazione di identità. Perfino il presidente Napolitano, solitamente molto delicato e discreto, ha voluto sottolineare che il crocifisso fa parte della cultura del popolo italiano. Come quando ero bambina e venivo messa in corridoio durante l’ora di religione o mentre la mia classe si recava a messa, mi domando se faccio davvero parte di questo popolo. Così infatti ha affermato il legale che ha difeso la posizione dell’Italia alla Corte europea, Nicola Lettieri: “Se il crocifisso è presente nelle aule, il motivo non è l’indottrinamento, ma si tratta dell’espressione di un sentimento popolare che è alla base dell’identità nazionale”. In un mondo in rapido movimento, voler fissare l’identità nazionale attraverso un simbolo è una mossa degna della Lega (e non per questo meno vincente!). Sarà che la visione di una religione o società liquida ha contagiato l’analisi non soltanto di chi vive la fede dei valori irrinunciabili, ma anche dei cosiddetti laici. Eppure il crocifisso ha una storia molto pesante, storia di potere, e di imposizione di una presenza schiacciante, che non lascia spazio a pensarsi altrimenti.
Come protestanti italiani siamo del tutto contrari a questo simbolo, al punto da confondere le idee a chi simpatizza con noi e, viaggiando in Nord Europa, si ritrova a visitare chiese protestanti con tanto di crocifisso e di immagini. Anche noi ci dimentichiamo troppo spesso di dire che l’assenza di immagini è una nostra scelta per il contesto italiano, che non corrisponde alle scelte di tutti i protestanti in tutto il mondo. Anche noi cadiamo nella tentazione di pensare universale la nostra esperienza e soprattutto la nostra idea di società plurale e laica. In Italia non siamo seguiti neppure dalle comunità ebraiche, che vedrebbero di buon occhio un’ora di religione ebraica nella scuola pubblica.
Ma veniamo ai nostri argomenti in difesa di una laicità che spogli le aule pubbliche di simboli religiosi. Assieme a molti cattolici del dissenso ci viene da dire che l’evangelo non è onorato attraverso un segno appeso ai muri, ma attraverso azioni di giustizia. Dato che la società italiana, proprio nelle sue istituzioni pubbliche, non esprime grandi capacità di praticare i principi della pace e della giustizia che sarebbero propri dell’evangelo, è meglio non darle una patente che non le spetta. Ma c’è di più. Per noi protestanti italiani questo simbolo non rimanda a Dio. La croce che sta nelle nostre chiese è vuota: in primo luogo perché Cristo è risorto, non è inchiodato in eterno a quella croce, anche se il risorto ne porta i segni nel corpo.
Ma la croce è vuota anche perché Dio non legittima in alcun modo quell’antico strumento di esecuzione su cui vennero torturate e uccise migliaia di persone. Eppure non possiamo legittimare la nostra posizione su questa base. Ci possiamo battere per una società senza simboli imposti per legge, ma dobbiamo intanto impegnarci per una società che sia attraversata veramente dalla trasformazione evangelica. La priorità è il cammino del discepolato, con o senza simboli appesi ai muri. Possiamo sentirci italiani a pieno titolo, anche se portatori di un sentimento diverso da quello della maggioranza. E aiutare così altri, nuovi cittadini di questo paese, a non farsi discriminare per le appartenenze religiose altre. Siamo discepoli di un maestro senza potere religioso, ma che pone con decisione la spiritualità come cardine nelle decisioni sociali. Non basta difendere la laicità, bisogna saper esprimere la speranza che ci muove, quei criteri di riconciliazione e accoglienza che danno origine a una società aperta e pienamente umana.
 


Mercoledì 07 Luglio,2010 Ore: 21:30
 
 
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Il crocifisso nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici? Facciamo chiarezza

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