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www.ildialogo.org Conversione al bene, nella propria religione,di Enrico Peyretti

Dialogo con l'Islàm/3
Conversione al bene, nella propria religione

di Enrico Peyretti

Ringraziamo l'amico Enrico Peyretti che ci ha messo a disposizione questo articolo sul dialogo con l'islam pubblicato su il foglio n. 424, settembre 2015. Il foglio è un mesile online di alcuni cristiani torinesi. Per info: www.ilfoglio.info

Per vivere insieme tra differenti religioni nell'attuale società pluralista – cioè per non distruggerci e non opprimere le coscienze – bisogna ammettere la libertà di cambiare religione. Ogni persona, se riconosce una maggiore bellezza, o maggiore verità di vita in un'altra religione, o in una concezione non religiosa, ha libertà di coscienza Questa libertà non significa indifferenza tra le religioni, ma è necessaria perché la mia adesione ad una religione sia autentica, non sia finta. La mia religione è falsa se l'accetto senza l'intima libera persuasione della sua bontà, ma soltanto per obbligo e pressione sociale o per costrizione politica, quindi non sono fedele ma ipocrita se non ho il diritto di allontanarmene qualora ciò sia giusto per la mia coscienza profonda.
Parte essenziale dei diritti e della dignità, voluta da Dio per ogni persona umana - dignità che i poteri politici, sociali, religiosi, ideologici, o anche solo il costume di una società, non hanno il diritto di violare – è appunto la libertà di cambiare religione, di non avere religione, di criticare una religione, sempre col dovere di non offendere le sensibilità e le convinzioni altrui, perché non è giusta libertà l'offesa di ciò che per altri è valore, anche se posso discuterlo e criticarlo.
Molto saggiamente Gandhi si diceva contrario a ogni proselitismo (anche papa Francesco ha detto questo) ma non alle missioni come azioni di carità verso i più deboli. Ognuno ha diritto di proporre la propria visione religiosa, ma la ricerca accanita di adesioni religiose facilmente diventa corruzione. Gandhi ammetteva in linea di principio la conversione come approdo autonomo di una profonda ricerca spirituale personale, però riteneva che per avvicinarsi il più possibile alla verità e al bene basta che ciascuno approfondisca la propria fede, per avvicinarsi a quel centro comune di tutte le fedi, senza bisogno di conversioni. Anche l'appello di Gesù, all'inizio della sua predicazione - «Convertitevi!» - non significa passare da una religione ad un'altra, ma da un modo di vivere ingiusto ad uno giusto. Questo è proprio fondamentale nel dialogo tra le religioni.
Gandhi pensava Dio come l’unità di tutte le cose, e la verità come il termine unico di tutte le visioni. Era felice della sua religione induista, ma per lui tutte le religioni sono vere perché hanno ciascuna un punto di vista sulla verità. Scriveva: «La nonviolenza ci insegna il rispetto di tutte le altre religioni come rispetto la mia, e questo è un modo di ammettere l’imperfezione della mia religione. La religione è nell’uomo e l’uomo è imperfetto». Quindi, per Gandhi, tutte le religioni sono imperfette e tutte sono vere. Hanno quindi tutte da imparare l'una dall'altra e da rispettare la verità che è nelle altre.
Simone Weil osava dire: «Ogni religione è l'unica vera», non perché ognuna possa rivendicare questo titolo solo per sé, e tanto meno imporsi come verità unica (se viene imposta, una verità viene falsificata, perché non è vera per chi non ne è convinto), ma perché ciascuno, nella religione che abbraccia, incontra il suo raggio di verità, che perderebbe se passasse con leggerezza ad altra religione.
Mi sembra preziosa la prospettiva culturale e spirituale della “pluralità delle vie” (Pier Cesare Bori, a partire da Pico della Mirandola). Coltivare la verità ricevuta, senza pretese di superiorità e di dominio, è, in ogni religione, il modo migliore di servirla e viverla. Nel Corano stesso troviamo ecumenismo e pluralismo religioso: «Ad ognuno di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi» (Corano 5, 48).
Nella storia, noi cristiani abbiamo peccato con l'imporre la nostra religione a popoli dominati. Anche altre religioni hanno fatto violenze quando hanno avuto potere sociale e politico. Oggi, insieme ai musulmani sinceramente fedeli, dobbiamo condannare moralmente quelle bande violente che, per avere potere, offendono l'Islàm perché pretendono di imporlo e di eliminare quelli che essi giudicano infedeli. Solo Dio giudica, ed egli ama tutti.
«Gareggiate in opere buone», dice a tutti Dio nel Corano: ecco la vera gara tra le persone di religioni diverse. Dunque, abbiamo diritto a convertirci, anche cambiando religione, ma anzitutto dobbiamo convertirci al bene, nella via su cui ci troviamo.
Enrico Peyretti



Lunedì 02 Novembre,2015 Ore: 19:40
 
 
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Dialogo cristiano-islamico

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