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Ginevra: cristiani e musulmani a colloquio

Dal 1º al 4 novembre, si è svol -to, al Centro ecumenico di Ginevra, un colloquio tra cri­stiani e musulmani sul tema «Trasformare le comunità: cristiani e musulmani costruiscono un fu­turo comune». Il colloquio è stato organiz­zato dal Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), dall’Associazione mondiale dell’ap­pello islamico, dall’Istituto reale Aal al-Bayt e dal Consorzio «Una parola comu­ne».
Il colloquio si è aperto con un discorso del principe Ghazi Bin Muhamad bin Talal, in­viato perso­nale e con-sigliere spe­ciale del re Abdullah II di Giorda-nia, e del -l’arci vescovo Anders Wejryd, della Chiesa di Svezia. Fra i 60 invitati vi erano: il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Cec, Mu -hammad Ahmed Sharif, segre tario gene­rale dell’Associazione mondiale del ­l’appello islamico, Abdulrahman Al-Za -yed, rappresentante della Lega islamica mondiale, l’ayattolah Muhammad Ali Al-Tashkiri, segretario generale dell’Assem ­blea mondiale per la prossimità delle scuo ­le di pensiero islamiche, il pastore Thomas Wipf, presidente della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera e del Con siglio svizzero delle religioni, lo sceic ­co Yussef Ibram, imam della moschea di Ginevra.
I partecipanti hanno affrontato tre temi chiave nel contesto dei rapporti islamo-cristiani: 1) Al di là della maggioranza e del la minoranza; 2) Dal conflitto alla giu­stizia compassionevole: costruire delle ecologie di pace; 3) Imparare a superare: immaginare strumenti educativi per risol­vere i problemi».
Sul primo tema è intervenuto il ministro libanese dell’Informazione, Tarek Mitri, il quale ha affermato che le discussioni sulle «minoranze e maggioranze» religiose han­no assunto, nel discorso politico, l’aspetto di una «dualità sterile». Secondo Mitri è più importante riconoscere che tutte que ­ste persone sono dei cittadini che condivi­dono la responsabilità della vita della na­zione e un obbligo reciproco di assicurare la giustizia per tutti. Queste parole hanno fatto eco all’appello a favore di un uso ade­guato della parola «noi» nelle nostre so­cietà, lanciato dal segretario generale del Cec durante la seduta di apertura. Il prof. Mahmud Ayub, della Hartford Se-minary Foundation (Usa), ha chiesto ai membri delle varie religioni di «affrontare i nostri conflitti attraverso una giustizia compassionevole». Nel caso delle comu ­nità musulmane che vivono in Occidente, ha parlato del «dilemma» che soprag ­giunge quando si vuole allevare bambini in modo tale che venga mantenuta la loro identità religiosa e culturale tradizionale, pur incoraggiandoli a «realizzarsi» nel Pae se di accoglienza. Farid Esack, profes­sore di studi islamici all’Università di Jo ­han nesburg, ha detto che, a suo parere, si va nella giusta direzione quando si am ­mette la propria colpevolezza nei sistemi d’ingiustizia e quando ci si riconosce in co­loro che patiscono questa ingiustizia: «L’i­dea di giustizia senza compassione - ha detto - è in un certo senso una sorta di tra­dimento della giustizia».
Il metropolita Emmanuel di Francia, presidente della Conferenza delle chiese europee (Kek), ha dichiarato che il colloquio ha contribuito alla costituzione di un insieme di valori che possono rafforzare l’esercizio della libertà religiosa e dei diritti della per­sona.
Aprendo il colloquio, il principe Ghazi bin Muhammad bin Talal di Giordania ha det-to: «La nostra teologia non è la stessa, ma siamo tutti nella stessa barca». Da parte sua, l’arcivescovo di Uppsala Anders Wej -ryd ha affermato che i due grandi coman­damenti d’amore che le religioni hanno in comune risalgono ad Abramo, anche se, a suo parere, persone di differenti culture possono anche ispirarsi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Gli intervenuti hanno pubblicato una dichia­razione comune di condanna in segui to al­l’attentato contro la chiesa cattolica di Bag­dad del 31 ottobre, che ha provocato la morte di 58 persone. La dichiarazione esorta «l’Onu e il Consiglio di sicurezza, nonché tutte le organizzazioni impegnate per una pace giusta, e in particolare le au­torità irachene, a intervenire per porre fine a tutti gli attacchi terroristici tesi ad avvilire gli iracheni, qualunque sia la loro affiliazione religiosa, e a profanare i luoghi sacri del cristianesimo e dell’islam». In un comunicato comune presentato ai media al termine del colloquio, i parteci­panti hanno dichiarato che «la religione viene spesso invocata come origine dei con flitti anche quando altri fattori, come una distribuzione ingiusta delle risorse, l’oppressione, l’occupazione e l’ingiustizia, sono le vere cause del conflitto. Dobbiamo trovare modi di “disimpegnare” la religio ­ne da questo tipo di ruoli e di “reimpe­gnarla” nella risoluzione dei conflitti e nella giustizia compassionevole». Il comunicato afferma inoltre «l’importan­za di un inse-gnamento appropriato ed equilibrato sulla religione dell’“altro” a tut ti i livelli dell’educazio-ne religiosa. I partecipanti raccomanda­no agli orga­nizzatori del colloquio di predisporre  un progetto comune che miri a promuovere la condi­visione delle espe rienze e delle pratiche esemplari per «vi vere insieme in modo costruttivo in società pluraliste» e per edificare «una cultura del dia logo e della cooperazione interreligiosa», e di colla­borare nei campi sociale e ambientale. (cec media)
Da Riforma NUMERO 43 19 NOVEMBRE 2010 • ANNO XVIII • www.riforma.it


Marted́ 16 Novembre,2010 Ore: 17:13
 
 
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Dialogo cristiano-islamico

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